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Leggende (2) di Paola Carini
25.06.2008
L’ultimo quarto del diciannovesimo secolo fu per gli Stati Uniti un periodo truculento e atroce. La Guerra Civile non mancò di coinvolgere massicciamente le nazioni indiane del sud-est, la guerra nelle Grandi Pianure (1874-1881), fu inaugurata dall’arrivo della spedizione di Custer a caccia di oro nelle Black Hills, proprietà sioux secondo il Trattato di Fort Laramie, mentre la guerriglia apache e i disordini navajo attizzavano il sud-ovest. Questo stato di guerra durerà per quasi un quarto di secolo, dal 1861, quando morirà il capo apache Mangas Coloradas, fino al 1886, quando Geronimo verrà catturato e imprigionato, e coinvolse le popolazioni di un’area compresa tra New Mexico, Arizona, Texas e Mexico. Con Cochise, apache chiricahua, combatté Beduiat, conosciuto come Victorio, e alla morte di Cochise il figlio diciassettenne Naiche prenderà il posto del padre. Negli stessi anni il paese subirà profonde trasformazioni geopolitiche – l’annessione progressiva di tutte le terre fino al Pacifico − devastazioni militari e ambientali – si pensi solamente alla distruzione e alla carneficina impressa dalla Guerra Civile - e rivolgimenti sociali. Ma nel sud-ovest, quando nel 1861 scoppierà la Guerra, il Colonnello Kit Carson diverrà comandante in capo di un corpo di volontari che nel New Mexico sconfiggerà i mescalero apache e li tradurrà, insieme a migliaia di navajo, al campo di prigionia di Bosque Redondo (come narrato nell’articolo “Il Bosco Tondo”), mentre ai chiricahua di Cochise verrà attribuita la responsabilità del rapimento di un ragazzino bianco e del furto di alcuni capi di bestiame. Recatosi spontaneamente dai militari per chiarire la faccenda, verrà preso prigioniero insieme ad un gruppo che comprendeva donne e bambini. Scappato, Cochise organizzerà un attacco ad una carovana di pionieri in cui ci sono morti e prigionieri che egli intende scambiare con la propria delegazione. L’esito sarà la morte di tutti i prigionieri, di una e dell'altra parte, e la promessa di Cochise di sterminare tutti i bianchi dell’Arizona.

La concatenazione violenta degli eventi proseguirà tra brevi tregue, rinnovate tensioni, e nuove deflagrazioni di ferocia. Naiche e i suoi verranno incolpati dell’uccisione di alcuni militari a Cibecue, in Arizona, così fuggiranno dalla riserva. Dopo essersi arresi, verranno di nuovo condotti a San Carlos e successivamente in un campo di prigionia. Nel 1884 Naiche con Geronimo e i loro seguaci fuggiranno per poi arrendersi, due anni dopo, al Generale Miles ed essere rinchiusi, alla fine, a Fort Sill, nell’attuale Oklahoma, luogo dove Geronimo morirà dopo aver condotto la rivolta per quasi dieci anni. E fu proprio a causa della creazione arbitraria della riserva di San Carlos, lontana dalle terre natali apache e soprattutto sterile, che dal 1877 al 1880 un altro gruppo di apache, accusati in maniera presunta dell’uccisione di alcuni coloni ad Alma, in New Mexico, si ribellò: si trattava di Victorio e dei suoi ottanta guerrieri, che riusciranno a trarre in inganno l’esercito americano e messicano per lungo tempo attraversando i confini dei due stati ripetute volte. Gli apache di Victorio furono sconfitti e uccisi, in gran parte, dai militari messicani nel deserto di Chihuahua quando un loro combattente, stratega eccellente ed ardito guerriero, non era presente. Il suo nome era Lozen.
Ed era la sorella di Victorio.

Victorio era il capo degli apache mimbreno quando, alla morte di Mangas Coloradas, si ritrovò a sostituirlo per guidare apache di vari gruppi, conosciuti col nome collettivo di Ojo Caliente, nella battaglia contro l’esercito americano. All’inizio chiedevano ben poco, solo che la nuova riserva fosse a Warm Springs, luogo più ospitale di San Carlos, ma essa fu loro negata e le rimostranze zittite con la violenza. Vi furono rinchiusi, ma dopo qualche anno per le pessime condizioni di vita in circa trecento riuscirono ad evadere. Lo sfinimento morale e fisico di tanti anni di lotta finì però col ridurre i seguaci di Victorio a poche decine, e quando si ritrovarono in una manciata di uomini, donne e bambini, la scelta della libertà si affinò.

Elusivi negli spostamenti, astuti nelle tattiche militari di dispersione delle numerose truppe del nemico, gli apache di Victorio riuscivano a prevenire e vanificare gli attacchi e a svanire nel nulla. Per molti mesi sopravvissero in zone semidesertiche con metodi di guerriglia che divennero leggendari. Ma oltre che le note capacità militari apache, il vero segreto di Victorio e dei suoi era Lozen.
Cresciuta in un clima di violenza, sorella di un capo guerriero, Lozen lo segue in giovanissima età imparando ad andare a cavallo e a battersi al pari di un uomo. Non era inusuale per le donne apache scegliere di diventare dei guerrieri, ma a quella particolare congiuntura della Storia il valore e la bravura di Lozen si distinsero. Degli scarni dettagli sulla sua vita, si sa di un episodio in cui si trovò con le donne e i bambini a dover attraversare il tumultuoso Rio Grande. Non c’era tempo da perdere, non c’era scelta se non quella di guadare, a cavallo, il fiume, e fu lei la prima, fu lei a trascinare le altre con l’esempio del suo coraggio. Bellissima, così la ricorda un testimone, su di un cavallo dal manto scintillante, affrontò le onde spronando l’animale fino all’altra riva. Le donne la seguirono, e per una volta ancora si salvarono dall’esercito. Ma Lozen aveva qualcosa in più: si dice che attraverso le sue preghiere ad Ussen, il Creatore apache, riuscisse a prevedere l’arrivo e la posizione esatta dei nemici, ed era questo il motivo per il quale Victorio e i suoi non vennero mai presi. Fu solamente quando lei si allontanò, sola, per accompagnare una donna (che partorì durante il viaggio) e il neonato nella riserva mescalero, lontana decine di chilometri e in territorio nemico, che il suo gruppo cadde in un’imboscata. Suo fratello, dopo aver combattuto, si uccise, e i pochi sopravvissuti vennero condotti di nuovo in Arizona. Lei, intanto, portava in salvo entrambi.

Saputo della disfatta si unì a Geronimo per proseguire la lotta, e venne imprigionata e portata in Alabama, nel campo di Fort Barracks, quando quest’ultimo venne catturato.
Morì di tubercolosi in data incerta, e di lei, come di Sacagawea, rimane un ricordo ammantato di leggenda. Diversamente da Sacagawea esiste un’immagine, la fotografia di una donna a cui si attribuisce la sua identità, scattata durante la prigionia. Occhi fieri, sguardo penetrante, sembra voltarsi ad un richiamo con la forza di un guerriero; ma come di Sacagawea, anche di Lozen si sa poco di più .
Quel che è certo, è che entrambe optarono per la scelta radicale di vivere, con coraggio, la propria vita.

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