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Paradossi (di Paola Carini)
24.10.2008
"Laddove il fiume è soggetto alle maree”, “Il luogo delle barre di sabbia”, “il grande fiume soggetto alle maree”, “il luogo di sosta presso le cascate”, “il luogo dove c’è abbondanza di merlano” (un tipo di pesce), “il luogo presso le grandi colline”, “il luogo di acque violente”, “nel mezzo delle acque”, “il luogo delle rocce rosse”, “il porto riparato”.

Sono queste le traduzioni di termini nativo-americani che punteggiano a centinaia la toponomastica del New England e che stanno, rispettivamente, per Connecticut, Hammonassett Point, Mystic River, Nollesemic, Passamaquoddy Bay, Massachusetts, Chicopee, Nantucket Island, Swampscott, e Capawack (oggi Martha’s Vineyard), solo per citarne una manciata.

Coniati in tempi immemori da mi’kmaq, natick, massacchusset, wampanoag, narragansett, penobscot, e altre popolazioni locali di lingua algonchina, essi descrivono vie d’acqua, valichi montuosi, isolotti, correnti insidiose e zone pescose. Quando i Puritani giunsero nel Massacchussetts, “il luogo presso le grandi colline”, essi non videro che “una ributtante e desolata landa selvaggia piena di bestie selvagge e di uomini selvaggi”*, spaventati com’erano dai manti boscosi, dalle praterie verdi, dai corsi d’acqua abbondanti e impetuosi, da altri uomini. Quando vi giunsero, le malattie europee trasmesse da chi prima di loro vi si era avventurato avevano già falcidiato numerosi gruppi autoctoni.

Quando vi giunsero, rischiarono di morire se non fosse stato per un gruppo di wampanoag che li sfamò e gli insegnò a cacciare e coltivare. Da questo episodio scaturisce il Ringraziamento americano, col tacchino farcito, la salsa di mirtilli, il purè di patate con l’immancabile condimento e la torta di zucca. Di quella generosa spontaneità, di quello slancio di empatia non rimane nulla. La riconoscenza che senz’altro ci fu, venne confusa ben presto con l’idea che alla fin fine era un dovere per gli indiani aiutare i nuovi venuti.

Così, sbiadita dal tempo e travisata dalla tracotanza, l’essenza di quel fatto svaporò e l’evento stesso diventò la versione folkloristica, un po’ naif e poco rispettosa dei fatti storici di un incontro tra persone in gravi difficoltà e altre che vollero aiutarle. Mentre gli wampanoag di Mashpee, altro toponimo algonchino che sta per “il luogo vicino alla grande insenatura”, discendenti di coloro che avevano sfamato i Puritani, erano completamente dimenticati dalla legge e dalla società americana, gli “indiani veri”, riconosciuti, erano quelli celebrati dalla retorica che li voleva semivestiti, e ormai defunti, alla stessa tavola imbandita di inglesi in abiti del Seicento.

Indiani “veri” in cartolina.

Non “veri indiani” gli wampanoag, perchè persone con la pelle troppo chiara o troppo scura, perché senza più lingua e senza la gran parte dei costumi autoctoni, perché senza terra propria e con una struttura sociale e un’organizzazione tribale sfilacciate.

Così, essi hanno dovuto attendere trent’anni per vedere riconosciuta la loro esistenza, costretti a vivere nel bel mezzo del gigantesco paradosso di un’America che continuava a celebrare il Ringraziamento mentre negava loro il diritto di essere quello che erano.

Nel 1975, dopo aver istituito il proprio consiglio tribale, gli wampanoag di Mashpee citarono in giudizio la cittadina reclamando la restituzione di sedicimila acri di terra tribale. Come succedeva in altri processi di quegli anni, la difesa argomentava la restituzione basandosi su di una legge del 1790, il Non-Intercourse Act, che stabiliva che per alienare terra indiana era necessario il parere favorevole del Congresso. Per i penobscot e i passamaquoddy del Maine, per oneida, st. regis mohawks e cayuga dello stato di New York, per i narraganset del Rhode Island, per i mohegan del Connecticut e persino per un gruppo di wampanoag di Martha’s Vineyard, il presupposto riuscì alla fine vincente. Per gli wampanoag di Mashpee non fu così. Il processo si spostò sull’identità tribale e, una volta negata, decadde anche ogni diritto che gli wampanoag potevano accampare sulla terra. D’altra parte lo sconquasso sarebbe stato grande: quegli acri rappresentavano circa un terzo del territorio comunale sui quali c’era in progetto l’espansione urbanistica della città. Gli interessi in gioco, di singoli e di imprese, erano tanti, e nessuno voleva perderli.

Accusa e difesa schierarono antropologi e storici e vennero chiamate a testimoniare persone di discendenza wampanoag. Rintracciare la matassa della Storia della tribù non era per niente facile: l’accusa cercava di sostenere che non era mai esistito un gruppo tribale di wampanoag a Mashpee, ma che piuttosto gli indiani di laggiù erano il risultato di un amalgama di gruppi diversi che per la spinta della colonizzazione si erano fortuitamente trovati ed uniti. I veri wampanoag, si diceva, erano scomparsi poco dopo l’arrivo dei Pellegrini, per le malattie, gli espropri, la conversione al Cristianesimo, l’assimilazione nella società americana. La difesa risalì alle fonti storiche della zona, e diede loro una lettura totalmente diversa: le malattie avevano sì decimato le popolazioni autoctone di Plymouth, ma nell’odierno Cape Cod la virulenza giunse attutita e la comunità che vi si formò, pur essendo non omogenea, si era ricompattata seguendo le tradizioni wampanoag. E poi le fonti scritte sono solamente dei cronachisti bianchi dell’epoca, per cui manca totalmente la versione indiana dei fatti. Non si poteva giudicare con criteri occidentali se quella comunità fosse davvero una tribù, poiché i parametri che la definivano non erano gli stessi che gli indiani adottavano. La tesi della difesa si concludeva col sottolineare che la comunità aveva vissuto come tribù su terre ancestrali fino al ventesimo secolo adattandosi, e sopravvivendo, agli spaventosi cambiamenti che subì in tre secoli.

Nonostante gli atti legislativi settecenteschi e gli articoli di giornali di Ottocento e Novecento che testimoniavano la “vitalità” della comunità indiana di Mashpee, i giurati stabilirono che, tutto considerato, gli wampanoag di Mashpee non erano stati una vera tribù né nel 1790 e nemmeno nel 1976, cioè all’epoca del processo ma solamente per un breve periodo nel 1834 e nel 1842.

La difesa fece ricorso e, nonostante la sconfitta dei wampanoag, gli agenti immobiliari stentarono a fare affari: temendo una loro possibile e futura vittoria, nessuno voleva comprare della terra con il pericolo dell’esproprio che pendeva sulla testa.

Nel 1990 gli wampanoag richiesero il riconoscimento federale al Federal Bureau of Indian Affairs e finalmente, nel febbraio 2007, essi divennero ufficialmente tribù portando evidenze e prove, soprattutto genealogiche, della loro esistenza ininterrotta a Mashpee almeno sin dal 1763, anno in cui il governatore del Massacchussetts diede agli wampanoag la possibilità di esercitare una forma di autogoverno proprio in quella cittadina.

Che lo abbiano fatto o meno per poter imbarcarsi nell’avventura dei casinò, come alcuni sostengono, poco importa. Oggi, gli wampanoag di Mashpee possono decidere del loro futuro come meglio credono, e lo possono fare perché hanno avuto il coraggio di uscire dalle spire un paradosso che li voleva, a tutti i costi, inesistenti.

***

*L’argomento è trattato nell’articolo “Paesaggi” di questa rubrica.

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