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Non ti è nulla il tuo nome (di Paola Carini)
30.06.2009
Nella parte centro-settentrionale dello stato della California, a poco più di cento chilometri dalla costa, esiste un’area protetta di tremila chilometri quadrati che risponde al nome di Parco Nazionale di Yosemite. Adagiato a fianco della grande catena montuosa della Sierra Nevada, il parco ne racchiude il versante occidentale e, con esso, anche i numerosi corsi d’acqua che da lì si riversano nell’oceano. La spettacolarità di questo ambiente naturale scaturisce dall’abbondante biodiversità, dalla ricchezza di acqua e di boschi, dalle strabilianti e immense sequoie, dalle conformazioni rocciose frutto di sconquassi tettonici e vulcanici. Fu grazie alla pertinacia dei primi naturalisti americani che il territorio, dapprima spezzettato, venne unificato e posto sotto tutela, impedendo il progressivo abbattimento degli alberi – tra cui anche le sequoie giganti – e l’occupazione delle praterie da parte dei coloni.

Yo-se-mite, nome curioso di origini autoctone dalla sonorità morbida, in cui la “s” sorda sembra accompagnare dolcemente il suono verso l’ultima sillaba per chiudersi sussurrato verso la lieve “e” pronunciata come una “i”; Yo-se-mite, meta che attrae milioni di visitatori ogni anno, che siano appassionati di trekking o semplici amanti della natura. Questo luogo affascinante, variegato e verde la cui maestosità suscita da sempre stupore e meraviglia, rimase a lungo inesplorato e, quando lo fu, divenne nell’immaginario collettivo uno scampolo di California antica, quasi primordiale, come non esisteva più nel resto della penisola già a fine Ottocento. A seguito del tentativo di preservarlo dallo scempio nacque il Parco omonimo come scrigno ricchissimo di flora e fauna, ma nessuno pensò a coloro che vi vivevano da centinaia di anni, che lo attraversavano provenendo dalle aree desertiche del Great Basin o che vi si recavano per pregare, nessuno prese in considerazione l’inestricabile simbiosi tra abitanti autoctoni e ambiente. A parte qualche sporadica menzione ai pochi indiani che ancora risiedevano laggiù, della storia umana di questo paesaggio l’ente Parco non dette mai spiegazioni esaustive o complete. Oggi si conservano per lo più fotografie d’epoca, la più famosa delle quali è l’immagine scattata da J. T. Boysen nel 1901di Suzie MacGowan, paiute, con la figlia sulle spalle avviluppata in una cradle board. Si è anche ricostruito un “tipico villaggio indiano”, mentre nel museo omonimo si conservano i cestini che Suzie, le sue discendenti e la famosa Lucy Telles* intrecciarono nel corso dei decenni.

Sebbene la creazione del Parco fosse stata finalizzata a tutelare l’area, per molti anni le cose andarono diversamente. Nelle intenzioni, Yosemite doveva essere un museo all’aria aperta in cui flora e fauna venivano preservate dall’estinzione, nella pratica una manciata di allevatori si era appropriata di tutte le zone di pascolo, aveva abbattuto alberi secolari tra cui la sequoia chiamata Generale Sherman, e aveva innalzato reticoli di filo spinato. Non era rimasta traccia della convivenza armonica tra i paiute di Mono Lake o i sierra miwok e quell’ambiente bello ma aspro. In alternativa alla distruzione forsennata, il governo non trovò altra soluzione che il tentativo di congelare nel tempo e nello spazio quel che rimaneva, come fu per Ishi**, ultimo degli yahi rinchiuso in un museo, e come fu per Suzie e sua figlia, immortalate nella staticità di un’immagine in bianco e nero che le etichettava come “donna indiana con figlio”. Gli abitanti originari non facevano parte del quadro, e vennero allontanati e rinchiusi in una riserva vicino a Fresno, mentre orde di visitatori si recavano a Yosemite ogni anno incuranti, quando non infastidite, della presenza dei pochi nativo-americani rimasti.
Già a fine Ottocento della vita autoctona nella Parco di Yosemite si era persa quasi ogni testimonianza, mentre il nome Yo-se-mite conservava gli echi della vera storia di questo luogo e dei suoi abitanti.

Fino alla metà dell’Ottocento la California rimase relativamente inviolata dall’avanzata colonizzatrice proveniente da est***, ma quando l’oro fu scoperto nei corsi d’acqua delle zone collinari la frontiera si spalancò e laggiù si riversarono in migliaia in cerca di fortuna. La situazione delle popolazioni autoctone si aggravò e anche Yosemite, che per la sua conformazione naturale rimaneva luogo impervio e difficile, venne aggredito.
La sete di oro spinse le nuove genti senza scrupoli a stringere alleanze infide, esacerbando gli attriti già latenti tra gruppi tribali. Così fece un personaggio di nome John Savage, che per avere libero accesso alla zona creò una milizia agguerrita che compiva raid nei villaggi con l’aiuto di altri indiani. Come accadde ovunque nel continente americano, alla distruzione ambientale si accompagnarono le razzie e le violenze sugli esseri umani. Solamente un piccolo gruppo riuscì ad opporre strenua resistenza, gli ahwahneechee, una manciata di paiute che aveva fatto della Sierra la propria dimora da generazioni. Un gruppo che i miwok chiamavano yosemite, cioè gli assassini.

Ahwahneechee in lingua paiute sta per “coloro che abitano ad Ahwahnee”, cioè la “vallata profonda” che oggi è nota col nome miwok di Yosemite. La milizia di Savage, il Battaglione Mariposa, condusse scontri così efferati da esseri ricordati come la “guerra del 1851”, a seguito della quale il capo degli ahwahneeche, Tenaya, venne catturato e imbrancato come un animale, suo figlio brutalmente ucciso, la sua gente decimata, dispersa e rinchiusa nella riserva di Fresno. I pochi sopravvissuti scampati alla deportazione, sebbene costretti a vivere in clandestinità nelle proprie terre ancestrali, rifiutarono di cedere, e nel 1891 indirizzarono una petizione al Governo Federale. L’appello accorato descriveva la situazione di disperazione dei nativo-americani, ma anche la “graduale distruzione degli alberi, l’occupazione di ogni centimetro di territorio da parte di cavalli e bestiame da pascolo, la fauna ittica decimata”. Gli ahwahneechee chiedevano un risarcimento per compensare l’invasione, la brutalità, la perdita di un territorio che era un ecosistema e una fonte di sostentamento e il loro intero mondo fisico e metafisico, ma nulla venne loro riconosciuto.
Nonostante le deliberazioni del governo federale per la tutela del Parco, nonostante le pressioni al Congresso di naturalisti come Muir e Clark, occorsero decenni e l’intervento del Quarto Reggimento di Cavalleria per allontanare chi si era indebitamente appropriato di quelle terre. Intanto la “speranza nella giustizia” durò ben poco: nulla arrivò dal governo, né denaro, né diritti per gli ahwahneechee.

Col tempo anche i pochi ahwahneechee rimasti – poco più di una ventina tra uomini, donne e bambini – si dispersero. Con il Novecento la vita dei nativo-americani di California si fece progressivamente più dura e sempre più lontana dai modi tradizionali: le donne guadagnavano qualche spicciolo facendo le pulizie o il bucato nelle case dei ricchi, facendo le braccianti nei frutteti o le operaie nei conservifici; gli uomini erano spesso disoccupati, impossibilitati a provvedere alle loro famiglie se non cacciando o pescando di frodo e dunque facile preda di disperazione e alcol.

Oggi, nel nuovo centro allestito per i visitatori nel Parco, le didascalie delle foto in bianco e nero identificano gli “indiani” come miwok e non come paiute. Della vita dei paiute di Yosemite non sarebbe rimasto niente tranne l’epiteto in lingua miwok, se non fosse stato per la caparbietà dei loro discendenti che hanno puntigliosamente segnalato le grossolane imprecisioni e le macroscopiche assenze. Le autorità del Parco hanno accolto solo in parte le rimostranze dei paiute, e la storia di questo paesaggio a tratti alpino incastonato tra la costa pacifica e la spina dorsale montuosa della Sierra rimane oggettivamente nebulosa e incompleta.
Eppure questa vallata profonda non fu mai Yosemite, né per i miwok che con quell’aggettivo indicavano i nemici paiute e non certo il luogo, né di certo per i paiute ahwahneechee, e nemmeno per chi vi si reca oggi, ignaro sì delle circostanze storiche, ma conscio della bellezza prorompente della natura e del suo impatto intenso sull’animo umano.

*****

* A questo proposito si veda l’articolo “Intrecci” di questa rubrica
** Si veda l’articolo “Di Uomini e Musei”
*** La California fu dapprima invasa dagli spagnoli provenienti da sud; un accenno a questo capitolo violento della storia americana si trova nell’articolo “Civiltà”

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