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Intervento Sarfatti alla Costituente lombarda del PD
11.11.2007
Intervento di Riccardo Sarfatti all’Assemblea Costituente Regionale della Lombardia del Partito Democratico

Milano, 10 Novembre 2007

Care amiche, cari amici, care compagne, cari compagni, cari tutte e tutti,

spero non risulti stonato esprimere, tra tanti dubbi, a proposito di quello che stiamo vivendo nella costruzione di questo nostro Partito Democratico, sentimenti di soddisfazione e, per certi versi, anche di entusiasmo.

Voglio farlo qui, con voi, perché questi sono quelli in me prevalenti. In me, persona che non ha mai avuto un partito e che certamente sta per averlo. Sono soddisfatto di essere qui, all’interno di questa Assemblea Costituente che certamente ben pochi di noi pensavano, soltanto un anno fa, che avrebbe potuto esserci ed esserci con questa consistenza e con il sostegno di questo appoggio “popolare”. Soddisfazione grande per chi da tempo desiderava che ci fosse, anche nel nostro Paese, un grande Partito Democratico, un grande partito del riformismo italiano. Più grande e diverso dalle formazioni politiche precedenti.

Questo partito presto ci sarà e ci sarà grazie allo scioglimento dei due partiti che hanno deciso, generosamente, di farlo nascere. Quanti credevano sino a qualche mese fa che questo scioglimento sarebbe potuto avvenire? Ma la soddisfazione è grande anche perché, è ormai chiaro, il PD non sarà l’esito della troppo paventata “fusione fredda”. Tre milioni e mezzo di cittadini l’hanno voluto e hanno fornito la spinta, entusiasmante, della loro partecipazione. Non sembra vero: il PD ci sarà e sarà completamente diverso da quello che sarebbe scaturito da una semplice sommatoria.

Esagero se affermo anche che ci sono tutte le condizioni perché possa essere assai vicino a quello che molti di noi hanno desiderato? Dipenderà molto da noi stessi. Dai lavori di questa Costituente, cui spetta di fissare gli statuti e le regole perché il Partito sia effettivamente nuovo. Nuovo nei metodi della sua successiva costruzione, nelle forme e nei modi della sua futura vita interna, nella sua capacità di elaborare proposte politiche innovative, coerenti con un progetto alto di futuro.

Veramente sono stati fatti passi giganteschi. Come non avere soddisfazione ed un senso di entusiasmo per quello che tutti insieme abbiamo fatto? Dobbiamo esserne orgogliosi, perchè l’entusiasmo e la freschezza sono le caratteristiche di ogni nuovo stato nascente. Già ora, possiamo constatare che grandi progressi sono stati fatti anche sulla strada del rinnovo dei ceti dirigenti: siamo qui metà uomini e metà donne, molti giovani, moltissimi che per la prima volta vogliono dare il loro contributo alla politica, tutti insieme perché non vogliamo più “lasciarla sola”.

Manifestate queste sensazioni e venendo alle questioni più politiche, mi sento di esprimere anche una personale soddisfazione per quello che giudico il positivo risultato di un tema, che ho molte volte sollevato nella campagna elettorale e, già in precedenza, in alcune altre occasioni. La sento, in fondo, questa sì, come una vittoria della lista che ho avuto il piacere e l’onore di guidare. Mi riferisco alla questione delle “alleanze variabili”. Per i pronunciamenti diffusi che vi sono stati, a seguito delle sollecitazioni da noi esercitate, credo che possiamo dire oggi che il rifiuto di logiche consociative è posizione maggioritaria nel nostro partito. Mi sembra che, nella nostra regione, questa questione possa considerarsi chiusa e che siano superate le tante sciocchezze sostenute al proposito. Il Partito Democratico in Lombardia non è disponibile ad alcuna alleanza strategica con Roberto Formigoni e con il centrodestra.

Il Partito Democratico opererà per giungere al governo di questa regione sulla base di un progetto alternativo al formigonismo, che abbiamo ben sperimentato e che abbiamo imparato a conoscere come la versione più subdola, ma non meno corrosiva, delle ideologie berlusconiane e leghiste, alle quali è strettamente connessa, non a caso del tutto incapace e impossibilitata ad ogni distacco.

Da questa prima constatazione politica, relativa in particolare alla Lombardia, e prima di toccare i temi più specifici della Costituente e della fase di transizione, vorrei accennare sia pure sinteticamente ad alcuni punti che mi stanno a cuore. Sinteticamente a braccio, senza l’ausilio dei congegni che in questo momento, invidio più che mai, a Walter Veltroni.

Comincerei, allora, proprio dalla nostra Regione. Impossibile non partire da qui per ogni altra considerazione. Abbiamo sempre detto che vogliamo un partito federale, che sappia ben considerare le peculiarità del Nord e che sia caratterizzato da queste specificità. Bene, ancora una volta, diciamoci alcune cose su questa specificità.

E’ necessario ridircele, perché in questa fase assai poco è rimasto di quella spinta verso il Partito del Nord, che si era evidenziata nella scorsa primavera. A me sembra che malgrado il buon numero di protagonisti, che si erano trovati d’accordo con quell’ipotesi ( ricordo i sindaci Chiamparino, Cacciari, Corsini, i presidenti di Provincia, Penati e altri, molti consiglieri regionali, provinciali e comunali), sotto la spinta di esigenze molto “romane” delle liste e della campagna elettorale, essa poi sia rientrata e si sia vanificata.

Quale è, nel mio modo di vedere, il centro del ragionamento da sviluppare? Si deve innanzitutto partire dalla amara constatazione che in questi territori (Lombardia e Veneto innanzitutto) da 15 anni non governiamo. Qui in questi 15 anni è cambiato tutto, in ogni ambito. Sono cambiate, molto, le imprese. E’ cambiato il lavoro, la sua qualità, le sue caratteristiche, le sue necessità. Sono cambiate le professioni, il commercio, sono cambiati i territori, è cambiato l’artigianato, sono cambiati i servizi sociali, la cultura e l’ambiente.

Noi del centrosinistra, non siamo stati capaci di capire questi cambiamenti, di inserirci in essi, di fornire risposte adeguate, di saperle indirizzare verso un progetto alto di ripresa dello sviluppo, o comunque, di nuovo sviluppo.

Dopo la crisi di tangentopoli, in realtà, le nostre strutture politiche non sono state in grado di produrre un loro effettivo rinnovamento. Sono cambiati i nomi, ma non incisivamente i modi di essere e di fare. Abbiamo invece consentito che altri guadagnassero spazio, spesso conquistando alcuni dei temi e dei valori del nostro tradizionale lavoro politico. In tali carenze vi è stata una responsabilità collettiva, di tutte le componenti del centro sinistra. Sarebbe ingeneroso, oltre che non rispondente al vero, rimandare l’intera responsabilità ai partiti politici. Quando per un tempo così lungo si perde e, soprattutto, allorché nuovamente si invertono i segni della tendenza verso il recupero, come è avvenuto nelle ultime amministrative, vuol dire che le responsabilità sono vaste.

Responsabilità di partiti sì, ma anche di società civile, di intellettuali, dell’associazionismo. Vuol dire che ci sono mancati i quadri, politici e professionali, capaci di comprendere quei grandi fenomeni di cambiamento.

Si tratta ora di dotarsi, come assai bene disse Massimo Cacciari un paio di anni fa, di una forza organizzativa in grado di sviluppare una straordinaria e capillare capacità di ascolto, da attuare con duttilità ed elasticità. “Si è forti se si è un’organizzazione capace di ricevere immediatamente il mutamento culturale, il mutamento delle domande, il febbrile mutamento, il febbrile movimento, la mobilitazione continua ed universale propria del mondo contemporaneo”. Ma non basta l’ascolto, si deve avere la capacità di interpretare criticamente le trasformazioni, organizzare la domanda, e su queste basi saper sviluppare e condurre una lotta organizzata per il potere, per governare i nostri territori.

Parlare di Partito Democratico significa porre all’ordine del giorno la formazione di un nuovo ceto politico di questo tipo. Un ceto politico che, sia chiaro, sarà ben diverso dall’aristocrazia politica, per altro “gloriosa”, di altri tempi della nostra storia passata.

Questa nuova classe politica possiamo già averla, assai più di quanto non si pensi. Certo sono necessarie le nuove scuole di formazione politica, ma già oggi perché non pensare di affiancare alle ottime e collaudate professionalità politiche, che ci vengono dai partiti, la molteplicità di competenze che ci portano i tanti, che ora vogliono dare il loro contributo, proprio a partire dalle esperienze delle loro vite quotidiane? Nuovi volti, nuove esperienze, nuove storie, un patrimonio straordinario da valorizzare e da non disperdere. Insomma problemi che travalicano di molto i temi, ormai troppo comuni, di questi ultimi tempi come la sicurezza, le infrastrutture o il fisco, sulla cui importanza, comunque, non si può che essere d’accordo.

Questo per me sarebbe fare un partito del Nord, come analogamente si potrebbe fare nel Sud e nel centro del Paese. Per questo continuiamo a parlare di partito federale.

Tanto altro si potrebbe dire sulla nostra regione, ma non ne ho il tempo, né lo spazio. Vorrei che fosse di tutti la convinzione che da troppo tempo si è persa la capacità di connettere, in un progetto di ampio respiro che voli alto e sappia proporre futuro, le due caratteristiche strutturali che definiscono oggi la Lombardia. Una forte carica di modernità, effettivamente connessa con l’Europa e con il Mondo, e un’altrettanto diffusa presenza di disagio sociale, di povertà e di precarietà crescente. Un progetto capace di proporre un nuovo sviluppo, in armonia con le esigenze di qualità (non di tutti) del produrre, ma che trovi negli strumenti e nei modi del superamento del disagio sociale, ulteriore e decisivo impulso. Sia per la realizzazione effettiva di sviluppo, sia per rispondere al principio ineliminabile della universalità dei diritti. Perché una cosa è certa, non può esservi miglioramento complessivo della qualità della vita, se esso non tocca tendenzialmente tutti ed ognuno.

Per questa via, vorrei pure che ce lo dicessimo con forza, troveremo le possibilità per offrire un futuro, anche noi, ai nostri figli e alle generazioni a venire..Come è stato per noi, migliore di quello che i nostri padri hanno avuto per loro. Sfatando la presunta impossibilità di farlo, troppe volte ripetuta in questi ultimi anni. Sono comunque certo che presto potremo far uscire questa regione anche da quella condizione di forti intrecci tra politica e mercato, in cui l’hanno portata tanti anni di formigonismo. E’ sensazione ampiamente diffusa. Così come sono in tanti a ritenere non più tollerabili distorsioni come le vergognose interferenze esistent, per esempio, nell’ambito dei servizi. Qui, come altrove (si veda la sanità), le pratiche clientelari di attribuzione degli incarichi sono diffuse e sono pratica quotidiana. Mi riferisco alle continue segnalazioni sui prossimi ricambi nelle direzioni generali delle strutture sanitarie, che di tali pratiche sono completamente infarcite. Altro che valorizzazione del merito e delle professionalità!

Vengo ora alle questioni specifiche della Costituente e della fase di transizione.

Sgombriamo subito il campo dal groppo lasciatoci in gola dall’epilogo dell’Assemblea Costituente Nazionale di Rho. L’incerta approvazione per acclamazione, in un confuso finale di giornata, di un dispositivo letto in fretta a un’assise ignara, col quale si sono fissate regole relative alla nomina di figure alla guida delle strutture territoriali, non ci è piaciuta affatto. Una falsa partenza. Un brutto segno (uno sfregio?) tracciato sul quadro a tutt’altre tinte e molto apprezzato degli interventi mattutini di Romano Prodi e di Walter Veltroni. Tante luci al mattino, tinte buie al pomeriggio. Un passo falso che vorremmo non si ripetesse e al quale, ci auguriamo, che questa Assemblea possa in qualche modo porre rimedio.

Non ci sono piaciuti né il metodo, con cui è stato proposto e fatto approvare il dispositivo finale, né i suoi contenuti. Del vulnus del metodo confidiamo che se ne sia reso ben conto il nostro neo Segretario Nazionale, al quale riconosciamo l’indiscusso ruolo di leader politico, nonché quello mediatico (indispensabile e importante nei tempi attuali). Ma al quale vorremmo fosse sempre più riconosciuto anche quello di leader “carismatico”, cioè di leader che interloquisce chiaramente e apertamente con le sue basi, spiegando e convincendo sull’opportunità di passaggi difficili, non facendoli “passare” burocraticamente e ben poco a viso aperto.

Venendo al motivo concreto, che ci fa ritrovare qui oggi, il compito principale di questa assemblea è quello di elaborare uno statuto, che sia al contempo innovativo nelle regole e nei metodi e che dia certezze. Perché l’assenza di certezze, di solito, alimenta arbitrio e verticismo. Temo molto, infatti, un percorso gattopardesco “cambiamo tutto perché non cambi nulla”, favorito da nomenclature che, anche in questo confronto delle elezioni dirette dei segretari, si sono mimetizzate in tutte le liste.

Alle regole debbono corrispondere comportamenti coerenti. Stabilendo in primo luogo, ad esempio, che non ci possono essere deroghe.

Il nostro percorso non è semplice. La stessa natura giuridica del PD, al momento, non è definita e questo comporta non pochi problemi, basti pensare alle obbligazioni di tipo economico che devono o possono essere assunte.

Divederei la problematica in due

1) La strategia di fondo, con la definizione di un modello nel quale si affrontano tutte le questioni: tesseramento, meccanismi elettorali, deleghe, rappresentanze etc., in sostanza il progetto di partito.

2) La fase di transizione, che è quella che stiamo vivendo.

Questa seconda è al momento prioritaria perché come diceva Prezzolini In Italia nulla è stabile, fuorché il provvisorio.

Vorrei quindi ripetere alcune delle indicazioni che avevamo avanzato in campagna elettorale, che secondo me vanno qui adottate, per dare alla commissione statuto che eleggeremo una traccia di lavoro, evitando che ci si disperda in sociologismi e fumisterie. A quelle proposte, che qui ribadisco, vorrei aggiungerne altre frutto anche di una riflessione su come è andata l’Assemblea Nazionale e sugli effetti perversi che la strozzatura del dibattito ha avuto.

Propongo che:

1) Sia creato un albo dei votanti alle elezioni interne del 14 ottobre e che questo sia pubblico. Questo albo costituisce la base su cui lavorare per ogni passaggio futuro.

2) Che questa assemblea adotti uno statuto entro il 31/01/08, tenendo conto di quanto elaborato a livello nazionale, ma in assoluta autonomia. Secondo quei criteri di federalismo a parole più volte affermati, ma mai praticati. In pratica voglio dire che se vi fossero ritardi o rallentamenti nella approvazione dello statuto nazionale, noi procederemmo lo stesso.

3) Che analoghe garanzie federative si adottino localmente: non dobbiamo sostituire al romacentrismo il milanocentrismo.

4) In questo senso propongo che la struttura del partito sia articolata su due livelli eletti direttamente, fortemente politicizzati e legittimati: quello regionale e quello comunale. L’organizzazione provinciale è un mero coordinamento organizzativo. Questo corrisponderebbe alla realtà dei rapporti istituzionali, non a caso l’abolizione delle province è un tema ricorrente, ma soprattutto corrisponde alla modifica dei sistemi elettorali. Infatti, il peso delle strutture provinciali nel sistema partito, inesistente per tutta la prima metà del secolo scorso, si realizza quando con il sistema elettorale proporzionale e con l’elezione di secondo grado dei sindaci è la mediazione provinciale quella che determina a quale partito compete il sindaco. Oggi con l’elezione diretta e con la selezione delle candidature, affidata alle primarie, questo problema non esiste più e non ha più ragione d’essere nemmeno un ruolo politico della federazione provinciale. Semmai potrebbe avere un senso un organizzazione che tra comune e regione organizzi i collegi elettorali se fossero reintrodotti.

5) Che entro il 15/02/08 si eleggano tutti gli organismi cittadini con lo stesso schema dell’elezione regionale, ma con le liste dei candidati aperte, correlate alla candidatura di segretario. Quella delle liste bloccate resta un’anomalia incomprensibile, tanto più dopo che questa anomalia è stata da noi fortemente criticata rispetto alla legge elettorale nazionale. A seconda della dimensione cittadina si utilizzerà il voto in assemblea o con i seggi. In entrambi i casi si dovrà prevedere un voto on-line e si potranno prevedere votazioni in più giornate. Per evitare il gioco del correntismo occulto ad ogni candidato è apparentabile una sola lista.

6) Che da qui alle elezioni di febbraio si proceda con quanto discutibilmente deciso a livello nazionale e cioè l’elezione di secondo grado dei coordinatori provinciali, specificando che il loro è un compito fondamentalmente organizzativo e che l’incarico è incompatibile con la carica di parlamentare, consigliere regionale, o con l’essere stato segretario/a dei partiti co-fondatori di pari livello negli ultimi 3 anni. Inoltre si stabilisce fin da ora che vi è incompatibilità tra l’aver gestito l’incarico provvisorio da qui alle elezioni di febbraio e il candidarsi a febbraio a pari livello.

7) Che nel mese di dicembre si elegga in assemblea in tutti i comuni fino a 30 mila abitanti il coordinatore cittadino provvisorio, con gli stessi criteri ed incompatibilità di cui ho detto precedentemente. Le elezioni saranno valide se vi saranno state almeno 2 candidature (“L'unanimismo, nei partiti, è la tomba della democrazia”, ha detto Violante all’ultimo congresso Ds e credo che avesse ragione) e se tutti gli elettori del 14 ottobre avranno ricevuto un invito o convocazione. Nei comuni con più abitanti si eleggerà un coordinatore con lo stesso schema del coordinatore provinciale e con le stesse incompatibilità. Mi rendo conto che eleggere per poco più di un mese, e comunque per un periodo ridotto, dei coordinatori cittadini è forse uno spreco di tempo; d’altra parte l’elezione di questi traghettatori è anche un momento di mobilitazione e di miscelazione delle diverse componenti che hanno dato vita al PD

8) La rendicontazione economica delle elezioni del 14 ottobre dovrà essere pubblica visibile sul sito del PD lombardo così come la rendicontazione di tutte le spese e di tutti gli obblighi che vengono assunti dal PD regionale. Una commissione amministratrice stabilirà le linee guida per il segretario amministrativo e preparerà i budget revisionali.

Più in generale occorre prevedere nello statuto:

• che non vi sia nessun criterio territoriale vincolante per l’organizzazione di base: accanto alla struttura comunale, di quartiere, potranno e avranno pari dignità strutture verticali di categoria o tematiche o virtuali;

• che l’associarsi sia possibile sia a livello territoriale, che alle associazioni tematiche, (anche via internet). L’iscrizione avverrà sulla base di un contratto nel quale all’iscritto dovranno essere evidenziati tutti i suoi specifici diritti . Oltre alle iscrizioni individuali dovremo rendere possibile, con un proprio status, le iscrizioni collettive, di circoli, leghe, associazioni, comitati;

• che per qualsiasi carica elettiva vi saranno primarie interne e di coalizione. Il PD non parteciperà ad alcuna coalizione in cui non si pratichi il principio delle primarie;

• che si fissi a due mandati (senza soluzione di continuità) il limite per tutti gli incarichi politici ed elettivi. Che questo limite contempli anche i mandati elettivi ottenuti prima della fondazione del partito e che il limite valga anche per incarichi diversi di pari entità (per intenderci chi ha fatto per due mandati consecutivi il consigliere regionale non potrà candidarsi alle elezioni parlamentari);

• che vi sia autonomia degli eletti e dei gruppi consiliari dal PD, come del resto è nel dna della politica italiana prima del leninismo;

• che la platea congressuale resti in carica e sia riconvocata per decisioni significative strategiche o di grande rilevanza ;

• che il referendum sia l’unico strumento per definire scelte etiche o alleanze elettorali;

• che il costo dell’adesione al PD non sia simbolico, perché il PD deve rinunciare a tutti i patrimoni provenienti dai soci fondatori, tanto più se affidati a fondazioni nelle mani della nomenclatura e degli apparati;

• che il PD lombardo abbia organismi dirigenti federali, quindi nessun vice, ( ma un organismo collegiale che tenga conto delle realtà territoriali elette), nessun responsabile di settore (ma responsabili di azione e di campagne), nessun dipendente con incarichi politici (ma volontari).

Le risorse economiche derivanti dai rimborsi elettorali per le elezioni regionali e la quota corrispondente delle altre elezioni dovrà essere devoluta sul territorio e non come avviene adesso principalmente trattenuta a Roma. Ciò consentirebbe, tra l’altro, di ridurre il peso degli apparati centrali: in questo senso propongo che il PD lombardo si faccia promotore di una proposta per ridurre i rimborsi dello Stato.

Questo per sommi capi il contributo che volevo fornire.

Anche a nome dei molti che hanno votato per la nostra lista e dei tanti che hanno lavorato, perché essa si potesse presentare in tutti i 74 collegi della regione, a cui va il mio sentito ringraziamento.

Ma permettetemi, prima di tutto, di rivolgere un sincero e particolarmente sentito ringraziamento agli splendidi amici ed alle meravigliose amiche dell’Associazione per il Partito Democratico della Lombardia. Con loro, per più di un anno, abbiamo speso un impegno intelligente e generoso e grazie a loro ho potuto riscoprire una politica accogliente, partecipata e condivisa. Grazie davvero.

Come un ringraziamento voglio rivolgere senz’altro alla grande Rosy Bindi, che sentitamente ringrazio per il suo appoggio e per quello prezioso dei suoi sostenitori nella nostra regione.

Abbiamo portato nella costituente regionale 173 persone, raccogliendo il 22,7% dei voti nella regione e il 27,99% a Milano. Persone in prevalenza nuove, per la prima volta affacciatesi alla politica. Come ho già detto, rappresentanti e patrimonio prezioso di un rinnovato interesse per la politica, certamente mosso da una spinta chiarissima: quella contenuta nel nome della lista “Rinnoviamo la politica”. Un rinnovamento verso il quale vogliamo andare operando con tutti, all’interno del partito, anche con coloro che, per la propria storia dentro la politica, del rinnovamento hanno una visione diversa dalla nostra.

Il cammino, che incontra resistenze di conservazione, come ogni cammino verso il nuovo, non sarà facile. Si preannuncia, però, ricco di speranze, di sorprese, di entusiasmi e di sfide avvincenti. Sapere di avere a fianco amici e compagni come voi, di poter contare sulla carica motivante di Maurizio Martina in Lombardia e di Walter Veltroni alla guida del Partito Democratico, e di essere supportati dalla spinta di milioni di cittadini-elettori, sarà motivo in più per impegnarsi a fondo nel progetto del partito nuovo.

Sono certo che la Lombardia, in una logica federale del partito nuovo, potrà svolgere un ruolo di grande laboratorio politico e culturale, utile a sé stessa e all’intero Paese, in particolare per la necessaria riconciliazione tra centrosinistra ed elettori lombardi. Ai quali vanno ravvivati gli autentici e tipici sentimenti di attenzione ai grandi valori della solidarietà, dello sviluppo, della qualità, della laicità e del merito, in una parola sola della libertà. Intesa come condizione per il mantenimento dell’autonomia e della realizzazione del progetto di ciascuno, per il miglioramento della qualità della vita complessiva, attuale e delle generazioni future. Come laboratorio per un progetto alternativo al centrodestra, nella prospettiva di assetti istituzionali rinnovati e in una logica palesemente maggioritaria e bipolare.

A tutto ciò intendiamo continuare a portare il nostro contributo, mantenendo la completa chiarezza delle nostre posizioni politiche, quella che così tanti elettori hanno voluto premiare. Questo ci renderà più perseveranti, certi di essere considerati come parte integrante e importante del partito e non una sua parte di minoranza. Ruolo al quale non intendiamo essere relegati, così come e tanto meno, a quello di guastafeste.

Nel fare il Partito democratico ci siamo tutti assunti una grande responsabilità, innanzitutto quella della innovazione e del rinnovamento della politica; responsabilità che sentiamo in particolare sulle nostre spalle, nei nostri cuori e nelle nostre teste e alla quale non intendiamo venir meno per gli impegni assunti con gli elettori.


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