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Lettera aperta del detenuto Marco Medda.
25.10.2004

Lettera aperta del detenuto
MARCO MEDDA
Ristretto nel carcere di Livorno

Esimi Signori ,
con questa mia missiva annuncio che ho iniziato uno sciopero di tipo gandhiano astenendomi dall’assumere qualsivoglia forma di nutrimento.
Tale mio gesto non è diretto a ottenere alcunché né tantomeno contro persone o istituzioni statali in particolare.
È un atto di rinnovamento della mia vita, sperando di spontaneamente provocare qualche coscienza a riflettere sul destino di una persona, che nel momento in cui ha deciso di voltare definitivamente pagina con un passato vicino e lontano, si è preferito riportarlo nel girone infernale di coloro che non possono che rimanere dei dannati.
Dopo avere incontrato un gruppo di diligenti operatori penitenziari in quel di San Vittore che mi hanno indotto a voltare la pagina della mia travagliatissima vita sono stato improvvisamente trasferito a Monza e successivamente a Livorno.
Ciò ha determinato il riapparire nella mia sofferta personalità di vecchi fantasmi non potendo neppure più incontrare la donna che ho sposato, e che quindi si suppone che ami, perché anche lei priva della libertà e rimasta a Milano.
Tutto quello che avevo costruito o che avevo iniziato a costruire nel carcere di San Vittore tutto svanito, volatilizzato.
La pittura , gli affetti personali , gli interessi intellettuali che valenti operatori penitenziari milanesi erano riusciti a fare attecchire nella mia anima sono stati tutti improvvisamente e
volutamente sradicati.
Perché, perché ? Mi chiedo e vi chiedo!
Allorché “qualcuno”, manzoniano innominato, ha pensato che il celeberrimo recupero sociale del condannato previsto dall’art. 27 della nostra Costituzione non poteva e non doveva realizzarsi anche per Marco Medda tutto e più di tutto sì è sprigionato in un crescendo di asserzioni spesso oniriche e francamente vaneggianti.
Sono stato addirittura accusato di pianificare una fìlmica evasione con elicotteri mai esistiti se non nella fervida fantasia di chi si è letteralmente inventata questa sceneggiatura hollywoodiana!
Ciò sarebbe accaduto nell’istituto milanese di Opera.
Cionostante ho ancora reagito positivamente ed una volta trasferito a San Vittore ,ove ho trascorso quattro anni in regime " normale ", il nuovo Marco Medda era giunto alla vigilia di concessione del cosiddetto Art. 21 con lavoro esterno già pronto, il matrimonio e il sogno di una vita che avrebbe potuto approdare a una sembianza di normalità,
Poi, improvvisamente , senza apparente motivo , nuovamente la mannaia !
Perché ? Perché ?
E’ molto chiedere che quel nuovo Marco Me4da sorto o risorto nel carcere di San Vittore possa, novella Fenice , risorgere ancora ?
Non sarebbe questa una innegabile soddisfazione proprio per il "sistema" che dimostrerebbe come si possa "recuperare" un "irrecuperabile" come me che tale viene erroneamente giudicato? Parafrasando uno dei padri fondatori di questa patria il mio è un grido di dolore che si leva da una sola parte d’Italia : il reparto E.I.V, del carcere di Livorno.
Grazie per la vostra paziente attenzione e sono pronto a fornire ogni spiegazione , e documentarla , anche ad ispettori ministeriali.
Non si abbia paura di Marco Medda perché tutto ciò che è accaduto dopo il 13 luglio 2003 è solo l’espressione di una disperazione esistenziale e reazione a una negazione di una giustizia spicciola fatta di piccole cose cui anche un detenuto ha diritto!
E mi permetto di evocare come " testimone " di quanto evoco il Sig. Provveditore della Lombardia Dr. Felice Bocchino.

Con distinti saluti
Marco Medda
Livorno, 13 ottobre 2004


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