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Gli orrori della guerra. di Michele di Schiena
28.05.2004

GLI ORRORI DELLA GUERRA

di Michele DI SCHIENA

L’inferno si è materializzato in Iraq: bombardamenti a tappeto con armi di distruzione di massa su intere città e popolosi quartieri, attentati che provocano vittime anche fra donne e bambini in ogni contrada del Paese, cadaveri per le strade, feriti gravi senza ricovero e senza adeguata assistenza, morte e sofferenza, devastazioni e miserie, prigionieri sottoposti a torture da parte di militari delle forze occupanti con tecniche perfide e con inaudito sadismo, ostaggi uccisi o minacciati di morte, vendette inumane e crudeli ritorsioni che segnano il trionfo della ferocia e dell’odio e si spingono fino alla decapitazione di un giovane americano innocente. Ma l’inferno si è anche da anni insediato in Palestina dove gruppi di disperati uccidono e si uccidono, dove l’esercito israeliano spara all’impazzata distruggendo abitazioni civili e strutture pubbliche, dove il governo di Sharon emette e fa eseguire condanne a morte senza regole e senza processi. Un governo, quello di Tel Aviv, che, dovendo essere l’espressione di un popolo che ha tanto sofferto per ostracismi e stermini ad opera del razzismo, non dovrebbe riservare trattamenti persecutori in danno di un altro popolo che ha il diritto di costituirsi in Stato su una terra che gli è stata riconosciuta come propria dalla storia e da risoluzioni obbliganti sul piano del diritto internazionale.

Uno scenario che provoca negli uomini degni di questo nome ribrezzo, repulsione ed orrore. Orrore per i disastrosi effetti di politiche imperiali e di guerre, effetti non “collaterali” ma diretti e prevedibili dei quali si accetta il rischio con lucida e cinica consapevolezza; orrore per la pervasività di una cultura fondata sulle ragioni della “potenza” che plaude alla forza ed irride la ragionevolezza e la mitezza; orrore per decisioni che nei fatti mortificano ed offendono il diritto alla vita ed altri diritti fondamentali; orrore per le dimensioni di una crisi morale che impedisce all’Occidente di capire come la “sua” globalizzazione sia un pugnale senza impugnatura che ferisce anche chi irresponsabilmente lo usa; orrore per una politica mondiale che accumula ricchezze in favore di pochi ed in danno dei più servendosi anche di un potenziale bellico in grado di annientare ogni tradizionale resistenza alimentando così il terrorismo.

Il fatto è che dalla fine degli anni ottanta del secolo passato abbiamo assistito ad un crescente ricorso alla forza militare: l’occupazione di Panama per il controllo del canale, la guerra del Golfo, l’invasione di Haiti, gli interventi militari in Somalia ed in Ruanda, le due guerre balcaniche della Bosnia e del Kossovo, l’intervento in Afghanistan, oggi la guerra in Iraq e domani forse quella in Iran. Flagello questo al quale vanno aggiunte le persecuzioni del popolo palestinese, le violenze contro i ceceni, i curdi e i tibetani e molti altri popoli emarginati ed oppressi, il tutto condito dalle atrocità di un crescente terrorismo internazionale. A questa terribile escalation ha corrisposto l’inerzia o l’impotenza delle Nazioni Unite che sono apparse sottoposte ad un permanente ricatto da parte del governo americano e di altre grandi potenze. La Carta dell’Onu fu un patto solenne con il quale fu messo al bando, come è scritto nel suo preambolo, il flagello della “guerra”, che per due volte nel corso della stessa generazione aveva provocato indicibili sofferenze all’umanità. In essa fu definito, contro le minacce alla pace, un complesso di misure tra le quali l’uso controllato della forza nelle forme e alle condizioni stabilite dal capo VII.

All’indomani del secondo conflitto mondiale fu insomma stabilito, al fine di conseguire con mezzi pacifici la soluzione delle controversie internazionali, il monopolio della forza in capo al Consiglio di Sicurezza dell’Onu attraverso l’istituzione di organismi militari permanenti alle sue dipendenze chiamati a svolgere di fatto funzioni di polizia internazionale. Quel patto è stato oggi dimenticato così come l’art. 11 della nostra Costituzione che ripudia la guerra, una grande disposizione di civiltà che è stata ripetutamente violata nel solco di una tendenza rivolta a considerarla inesistente o, quanto meno, caduta in desuetudine. E’ in corso insomma un’operazione politica di normalizzazione costituzionale della guerra che punta a privare l’art. 11 di ogni valore vincolante. Ma il ripudio della guerra appartiene in dote al popolo italiano al quale spetta oggi la responsabilità di ripristinarlo delegittimando le scelte in senso contrario dei passati governi e soprattutto di quello attuale. Oggi più che mai è importante che una larga mobilitazione popolare impugni la bandiera dell’art. 11, una bandiera che i bipartisan di casa nostra hanno irresponsabilmente ammainato. Una mobilitazione perché l’Italia si tragga subito fuori dalla guerra in Iraq con la richiesta che sia l’Onu ad assumere la piena e concreta responsabilità per la possibile normalizzazione e pacificazione della situazione in quel martoriato Paese.

Brindisi, 14 maggio 2004

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