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In principio fu il Verbo o il DNA? |
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29.09.2005
In principio fu il Verbo o il
Dna?
James D. Watson
Premio Nobel per la medicina e la fisiologia
Alcuni scienziati influenzati dalla religione trattano l'evoluzionismo
come una semplice teoria. Negando l'evidenza >br>
È straordinario quanto
le osservazioni di Darwin abbiano cambiato non solo la visione del
mondo dei suoi contemporanei ma siano ancora oggi fonte di grande
stimolo intellettuale per scienziati e non. L'origine delle specie fu
giustamente definito dal biologo Thomas Henry Huxley «... lo strumento
più potente che gli uomini hanno sottomano, dopo la pubblicazione dei
Principia di Newton, per ampliare il campo della conoscenza naturale».
Al suo ritorno dai cinque anni di viaggio a bordo della goletta Beagle,
Darwin mostrò le sue varie raccolte a esperti di uccelli, scarafaggi,
molluschi e simili. Lo studioso di riferimento di Darwin in materia di
volatili era John Gould. Darwin rimase sorpreso nel sentirgli dire che
i fringuelli che aveva preso alle isole Galapagos avevano una stretta
somiglianza con uccelli simili presenti nel continente sudamericano, a
un migliaio di chilometri di distanza, mentre i fringuelli di un'isola
delle Galapagos erano molto diversi da quelli delle altre isole.
Come
mai, si chiedeva Darwin, i fringuelli delle Galapagos somigliano tanto
a quelli del continente vicino se ogni fringuello è stato creato
indipendentemente? La risposta logica era che le isole erano state
popolate da uccelli arrivati dal Sudamerica, spinti, forse, da forti
venti. Come avevano fatto, allora, gli uccelli che stavano su isole
diverse delle Galapagos a diventare diversi l'uno dall'altro? Si erano
evoluti adattandosi a nicchie ecologiche diverse, così che alcuni
avevano sviluppato becchi per triturare i semi, altri per mangiare
insetti e altri ancora per raccogliere il nettare delle piante.
L'evoluzione forniva una spiegazione molto più parsimoniosa rispetto a
quella della creazione ad hoc. «Quale fatto può essere più strano -
scriveva Darwin - di quello per cui la mano dell'uomo, formata per
afferrare, quella della talpa, fatta per scavare, la gamba del cavallo,
la pinna del delfino e l'ala del pipistrello debbano essere tutte
strutturate secondo uno stesso modello, e debbano contenere le stesse
ossa nella stessa posizione reciproca? ».
Richard Owen, grande
anatomista inglese e implacabile nemico di Darwin e delle idee
evoluzionistiche, aveva detto che tali omologie (somiglianze che
suggeriscono un'origine comune) rivelano il lavoro artigianale di un
creatore che, forse, aveva risparmiato tempo e fatica modificando
semplicemente un archetipo. Ma aveva poco senso, tutto questo bricolage
creativo. Un creatore non avrebbe forse potuto fare di meglio creando
un mammifero volante efficiente, dando per esempio ali piumate al
pipistrello? «Come sono inspiegabili questi fatti - esclamava Darwin
- per l'opinione corrente sulla creazione! Nessuna impresa può essere
più disperata del tentativo di spiegare questa somiglianza... in base
all'utilità o alla dottrina delle cause finali».
Ciò che invece aveva
senso di tutta questa serie di fatti era la prospettiva evoluzionistica
di Darwin: le somiglianze di forma suggerivano una discendenza da un
antenato comune con modificazioni.
L'origine delle specie forniva una
prova schiacciante dell'evoluzione, ma Darwin lasciò aperti due
interrogativi importanti, ammettendone la significativa difficoltà per
la sua teoria. Non riuscì a spiegare che cosa dava luogo alle
modificazioni osservate negli organismi, come questi e altri tratti si
trasmettessero di generazione in generazione. Questi problemi li
affrontò di petto nel 1868 in Le variazioni degli animali e delle
piante allo stato domestico. Darwin ipotizzava che durante un processo
che chiamava «pangenesi» tutte le parti del corpo rilasciassero delle
«gemmule» che si accumulavano nelle cellule germinali.
Quest'ipotesi
venne meno dopo gli esperimenti di Francis Galton, cugino di Darwin.
Galton cercò di cambiare il colore di conigli bianchi e neri
trasmettendo loro delle gemmule mediante trasfusioni di sangue. Non
ebbe alcun risultato. Nella sua autobiografia Darwin cita la pangenesi
come la «mia ipotesi tanto abusata».
È una delle grandi occasioni
mancate della scienza: Darwin non sapeva che un contemporaneo, Gregor
Mendel, aveva già gettato le basi dell'analisi scientifica
dell'ereditarietà . Il lavoro dei genetisti impegnati in studi di
popolazione prendeva i concetti mendeliani e li applicava a popolazioni
di organismi, dando una solida base scientifica alle idee darwiniane di
cent'anni prima. Ci vollero però tre naturalisti - Julian Huxley
(nipote di T.H. Huxley), Theodosius Dobzhansky (che lavorava col
genetista del moscerino della frutta Thomas Hunt Morgan) ed Ernst Mayr
(allora all'American Museum of Natural History di New York) - per
produrre un rapporto biologicamente più fondato su questa fase del
pensiero evoluzionistico. Huxley colse l'attimo nel titolo del suo
libro Evoluzione. Sintesi moderna. Finalmente un'integrazione
ragionevolmente completa fra evoluzione, genetica e selezione
naturale.
Così stavano le cose quando sono entrato all'università di
Chicago nel 1943 per diventare zoologo, ispirato dal bird-watching e
dalle visite con mio padre al Field Museum. A Chicago insegnava il
genetista di popolazione Sewall Wright, che divenne il mio primo eroe
scientifico. Frequentavo due dei suoi corsi, uno sull'evoluzione e
l'altro sulla genetica fisiologica. Fu nel secondo che mi imbattei per
la prima volta nelle scoperte di Oswald Avery sul Dna, che sembrava in
grado di trasmettere caratteri ereditari fra due tipi diversi di
batteri pneumococchi. Più o meno in quel periodo Erwin Schrödinger, uno
dei fondatori della meccanica quantistica, pubblicò il suo libretto Che
cos'è la vita?, che mi capitò fra le mani nella biblioteca di biologia
mentre ero al terzo anno, nel 1946. Che cos'è la vita? è uno di quei
libri che cambiano la vita: e la mia, come quella di parecchi altri
colleghi, cambiò irrevocabilmente. Schrödinger capì che l'elemento
chiave dell'ereditarietà doveva essere il trasferimento di informazioni
genetiche in forma di molecola di generazione in generazione. La mia
passione per gli uccelli sembrava mal riposta quando uno dei grandi
interrogativi del ventesimo secolo era ancora senza risposta: qual è la
natura del gene, l'essenza della vita? E qual è la chimica, per quanto
allora non pensassi in questi termini, da cui dipendono la selezione
naturale e l'evoluzione?
Darwin sarebbe stato entusiasta di sapere che
lo stesso set di 25-30 mila geni è presente nella maggior parte degli
animali. Quasi ogni gene del nostro Dna possiede un gene omologo nel
Dna di altri mammiferi, per esempio nel topo. Il che appare persino più
straordinario se osserviamo organismi fra loro più lontani: la Ciona
intestinalis, un animaletto invertebrato, possiede metà soltanto dei
nostri geni, ma due-terzi dei suoi hanno geni omologhi nel Dna umano.
Oggi è in atto un tentativo concertato da parte di alcuni scienziati
influenzati dalla religione di trattare l'evoluzione come una teoria,
come se questo in qualche misura ne diminuisse l'autorevolezza e la
forza nello spiegare come funziona il mondo. Uno dei doni più grandi
che la scienza ha fatto al mondo è la continua eliminazione del
soprannaturale, ed è una lezione che mi ha trasmesso mio padre: la
conoscenza libera il genere umano dalla superstizione.
Possiamo vivere
la nostra vita senza il costante timore di aver offeso questa o quella
divinità che va placata con incantesimi o sacrifici, o di essere alla
mercé dei demoni o delle Parche. Se aumenta la conoscenza, l'oscuritÃ
intellettuale che ci circonda viene illuminata e impariamo di più della
bellezza e della meraviglia del mondo naturale. Non giriamoci attorno:
l'affermazione comune secondo la quale l'evoluzione attraverso il
meccanismo della selezione naturale è una «teoria», esattamente com'è
una teoria quella delle stringhe, è sbagliata. L'evoluzione è una legge
(con parecchi elementi), tanto sostanziata quanto qualsiasi altra legge
naturale, che sia di gravità , del movimento o di Avogadro.
L'evoluzione
è un dato di fatto, messa in discussione soltanto da chi sceglie di
negare l'evidenza, accantona il buonsenso e crede invece che alla
conoscenza e alla saggezza immutabili si arrivi soltanto con la
Rivelazione.
Fonte: www.corriere.it
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