il Caso Nicola Rossi
Chi vuole riforme non si rassegni al proporzionale
Michele Salvati
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Oggi la qualifica di riformista - come il mezzo toscano e il titolo di cavaliere ai tempi di Giolitti - non la si nega a nessuno: siamo tutti riformisti, estremisti o moderati, a destra o a sinistra. L' antico e glorioso termine, usato senza aggettivi o qualificazioni, ha perso ogni capacità di connotare una precisa posizione politica.
Riformismo «alla Nicola Rossi» è una qualificazione che dà un senso preciso al termine. Se ci limitiamo alle politiche economiche e sociali - non è il solo campo in cui spazia l' attività del governo, ma è oggi il più importante - il riformismo di Rossi definisce una posizione chiara, liberale di sinistra, non dissimile da quella sostenuta da Blair o da Zapatero. Rossi crede che concorrenza, merito, lotta alle rendite (anche rendite politiche), finanza pubblica rigorosa non siano affatto incompatibili con equità e giustizia sociale. E crede che una politica guidata da quei valori sia anche il mezzo per sollevare il nostro Paese dalle secche del ristagno in cui è incagliato. E non solo proclama quei valori (per l'abuso verbale che se ne fa, anch' essi hanno perso molto del loro mordente: chi è contro il merito, la concorrenza o la lotta alle rendite?), ma li trasforma in proposte concrete e urticanti, sulle quali il consenso fittizio sui valori trapassa rapidamente in dissenso aperto. Quali sono gli ostacoli che incontra un riformismo alla Nicola Rossi? A mio modo di vedere sono sostanzialmente due. Il primo è quello più appariscente, e sul quale non a caso insiste l'opposizione: la presenza nella maggioranza di forze che non si riconoscono nell' analisi del Paese che Rossi propone, nelle sue iniziative di riforma, nei valori di sinistra liberale che ad esse sottendono. Forze per le quali «liberale» è un insulto e sinistra liberale una contraddizione in termini: le dichiarazioni e contro-dichiarazioni dei vari ministri di questo governo sono una manna per la propaganda del centrodestra. Si tratta di un ostacolo innegabile, ma insistervi troppo rischia di nascondere l' ostacolo più profondo, quello che intralcia l' azione riformatrice di entrambi gli schieramenti. (Sono convinto, oltretutto, che sia più facile fare accettare a Diliberto e compagni una posizione rigorosa sui precari nella pubblica amministrazione che una legge elettorale la quale minacci la loro rendita politica: e questo vale anche per i piccoli partiti dell' altro schieramento).
Anche se il centrosinistra (o il centrodestra, perché il problema è lo stesso) fosse composto da liberali puri e duri - alla Monti e Giavazzi, per intenderci - come farebbe a far passare riforme benefiche nel lungo periodo ma che, alla luce dei distorti interessi percepiti nel breve, una buona parte dei nostri concittadini non vogliono? E questo in presenza di un'opposizione - di destra o sinistra che sia - nella quale non aleggia certo lo spirito bipartisan dei «volonterosi» e che persegue il miope interesse di fomentare i pregiudizi e l'ostilità degli elettori?
Ricorda Nicola Rossi il gelo che suscitarono le sue proposte sull'Università o sulle pensioni? E perché, in fondo, il bilancio riformistico del centrodestra è stato così esiguo? Solo per incompetenza e cattiva volontà ? Perché Maroni, tanto per ricordare un esempio evidente, ha rinviato al 2008 l' innalzamento dell' età di pensionamento, così da creare lo «scalone» di cui tanto si parla? Il problema che Nicola Rossi si pone, e con lui i politici più lungimiranti e consapevoli, è proprio quello di creare un sistema politico in cui sia più facile far passare le difficili riforme che sono indispensabili per provocare uno scatto in questo Paese stanco e ingiusto. Vedo anch' io le difficoltà e i limiti del progetto del partito democratico, in cui Fassino e Rutelli sono impegnati.
Ma qual è l' alternativa: rassegnarsi al proporzionale e ad un governo in cui i partiti centristi sono in permanenza l'ago della bilancia? «Caro Salvati - mi disse una volta un bravo politico ex-democristiano - questo è un Paese in cui a malapena si riesce a creare un ceto politico decente, al centro. Volerne creare due, in onesta e civile competizione tra loro, vuol dire non aver capito niente dell'Italia».
È sicuro Nicola Rossi che sarebbe più facile far passare le riforme di sinistra liberale che ha in mente in queste condizioni? E se non lo è, qual è il suo progetto politico?
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