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Intolleranza e laicità (Guido Anselmi da www.lastampa.it) |
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15.01.2008
Lasciamo parlare il Papa alla Sapienza e ascoltiamo con civile
rispetto quello che dirà , liberi, subito dopo, di approvare o
criticare le sue affermazioni: l'invito ad andare gli è stato
rivolto, nella piena osservanza delle regole, dal rettore e dal
senato accademico dell'ateneo romano; Joseph Ratzinger ha tutti i
titoli per intervenire in una cattedrale della cultura, come hanno
fatto del resto alcuni suoi predecessori, e al pari di altre
eminenti personalità . Recenti incidenti, come quelli avvenuti a
Ratisbona e in Vaticano, renderanno del resto particolarmente cauti
i ghost-writers della Santa Sede e lo stesso Pontefice.
Il caso che ha scatenato qualche decina di professori e un certo
numero di studenti contro la visita papale ha tutta l'aria di
rappresentare uno di quegli episodi tipicamente italiani che vengono
cavalcati con furore ideologico e animo goliardico, al riparo di
qualche motivazione strumentale (questa volta è la persecuzione ai
danni di Galileo e l'abiura alle sue convinzioni cui lo scienziato
fu a suo tempo costretto). Grandi polveroni, senza vera importanza.
Tutt'altro rilievo ebbe la visita di Giovanni Paolo II alla Camera
dei deputati, che il Papa polacco utilizzò per chiedere al
Parlamento italiano di varare un provvedimento di clemenza in favore
dei carcerati.
Ma allora, forse per il carisma di Wojtyla che nessuno ardiva
criticare nella fase finale del suo pontificato, forse per il
diverso clima politico, furono pochissime e flebili le voci di
contestazione per quella che invece aveva il sapore di un'ingerenza.
La verità è che nel nostro Paese assistiamo a una crescente
invadenza della Chiesa, accentuatasi durante la lunga presidenza
della conferenza episcopale da parte del cardinale Ruini. La
Repubblica italiana, come hanno rilevato studiosi illustri, da
Arturo Carlo Jemolo a Gian Enrico Rusconi, deve fare conti sempre
più complicati con l'enorme rilevanza della Chiesa-istituzione e
della sua immagine pubblica, in gran parte monopolizzata dalla
figura e dal ruolo del Pontefice. La strategia della Chiesa investe
gran parte delle sue energie sulla società civile, che si sforza di
guidare. E ciò dilata e porta a un livello insostenibile di tensione
l'antica questione della laicità dello Stato.
Di fronte a un magistero ecclesiale che, secondo molti, si concentra
nella guida dei comportamenti interpersonali, spaziando dalla scuola
alla famiglia alla bioetica fino ai temi complessi della genetica
(cavalcati con determinazione da quegli efficaci alleati della
gerarchia ecclesiastica che vanno sotto il nome di atei devoti) lo
Stato vacilla. La Chiesa parla con la voce della certezza: Extra
ecclesiam nulla vox. Lo Stato si trova esposto a pressioni di
settori importanti dei suoi cittadini che si ispirano alla dottrina
cattolica. Misurando la diversa capacità di fornire risposte sulle
questioni fondamentali della vita, la Politica indietreggia: per
convinzione, calcolo o subordinazione culturale ministri e segretari
di partito aderiscono, si sottomettono o traccheggiano.
La complessità di questi problemi - che la posizione del Papa come
vescovo di Roma moltiplica in infiniti equivoci - aiuta a capire
perché il nostro Paese riesca con fatica a difendere l'equilibrio
che si era espresso nella lunga stagione democristiana della Prima
repubblica, imperniata sulla pratica conciliante di uno Stato
sostanzialmente imparziale in cui nessuno poteva pretendere di
imporre agli altri le proprie convinzioni. Chi si afferma laico oggi
dovrebbe riflettere sulle ragioni di questo arretramento e, magari,
impegnarsi a contrastarle. Senza immaginare laicità militanti alla
francese, ma cercando di realizzare condizioni favorevoli alla
convivenza. Chi si accontenta di imbrattare la facoltà di Fisica
della Sapienza con cartelli in cui si annuncia la «settimana
anticlericale» non è un laico. E nemmeno un tardo epigono del
laicismo ottocentesco. Ma solo un intollerante pericoloso.
www.lastampa.it
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