Ora il parlamentare di FI torna agli arresti domiciliari
ROMA - Dopo otto ore di camera di consiglio la II Sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna di Cesare Previti, Giovanni Acampora, Attilio Pacificio e Vittorio Metta per la vicenda Lodo Mondadori. La sentenza ha suscitato l'immediata reazione di Forza Italia: "Nell'esprimere la solidarietà all'onorevole Previti da parte mia e di Forza Italia, che si stringe intorno a lui, ho il dovere di segnalare un clima sempre più involgarito e incanaglito della vita civile italiana, che non porterà a nulla di buono", ha affermato il coordinatore forzista Sandro Bondi. Dal canto loro i difensori di Previti, Sandro Sammarco e Giorgio Perroni, hanno parlato di "amara delusione".
Il 23 febbraio scorso Previti era stato condannato in appello a un anno e sei mesi, come Pacifico e Acampora. L'ex giudice Metta era stato condannato invece a due anni e otto mesi. L'ex ministro della Difesa e parlamentare di Forza Italia, condannato anche a sei anni per il processo Imi-Sir, è attualmente affidato ai servizi sociali. Il tribunale di sorveglianza di Milano ha poi deciso di revocare questa decisione e far tornare Previti agli arresti domiciliari che dovrebbero durare circa 20 giorni, dopo di che, per effetto di una serie di sconti, il deputato forzista avrebbe scontato la pena.
Negata la prescrizione. La Cassazione ha respinto i ricorsi della difesa che puntava tutto sulla prescrizione. Gli avvocati di Previti speravano che la Corte valutasse la consegna del denaro come la prova del reato di modo che questo risalisse a prima della sentenza "comprata" del 24 gennaio 1991. Se questo ragionamento fosse stato accolto dai giudici, calcolando i tempi di 15 anni, otto mesi e venti giorni, la prescrizione per Previti sarebbe già intervenuta da circa un anno.
Tuttavia, il procuratore generale della Cassazione ha tenuto conto della "dazione" di denaro come prova fino a dicembre del 1993, applicando quindi la continuazione del reato con Imi-Sir. E secondo questa tesi, che è stata poi fatta propria dalla Corte, il reato non è ancora prescritto.
Per effetto della bocciatura dei ricorsi gli imputati sono stati condannati a pagare le spese processuali e a rifondere le parti civili con 38 mila euro complessivi.
La vicenda Lodo-Mondadori. Tutto comincia il 21 giugno del 1990, con la pubblicazione del lodo arbitrale che avrebbe dovuto risolvere la lotta allora in corso per la conquista del gruppo Mondadori-L'espresso. A contenderselo erano l'ingegner Carlo de Benedetti, che ne era solo in parte azionista, e Silvio Berlusconi che nella corsa appoggiava la famiglia Formenton-Mondadori. Il lodo risultò favorevole a De Benedetti, che a quel punto avrebbe dovuto rilevare la maggioranza della Mondadori. Tuttavia i Formenton ricorsero in appello a Roma e il 24 gennaio 1991 ottennero l'annullamento del lodo. Relatore della sentenza era il giudice Metta, a cui era stato girato un pagamento proveniente da un conto estero della Fininvest e transitato su un conto di Previti. Come conseguenza di tale decisione, nell'aprile del 1991, dopo l'annullamento del lodo la Cir di De Benedetti fu costretta ad accettare un piano di spartizione del gruppo Mondadori corrispondendo a fininvest un conguaglio di 365 miliardi di lire. A Berlusconi andò la casa editrice, più i periodici e i libri, a De Benedetti andarono L'espresso, la Repubblica e Finegil.
da www.repubblica.it