8.11.2004
Mafia: una lotta che nello Stato e nelle associazioni ha perso mordente Il cambiamento avviato esige un lavoro efficace e continuo tra la gente e coerenza nella legislazione antimafia Da don Ciotti la denuncia sul pericolo di un abbassamento della guardia Oltre l’emotività , il quotidiano Uno Stato in ritardo Una legge che fa società Beni confiscati tornano alla mafia? Mafia: una lotta che nello Stato e nelle associazioni ha perso mordente Il cambiamento avviato esige un lavoro efficace e continuo tra la gente e coerenza nella legislazione antimafia Da don Ciotti la denuncia sul pericolo di un abbassamento della guardia Un viaggio di denuncia e di speranza: le Carovane antimafia in queste settimane stanno attraversando l’Italia. “Libera”, l’associazione delle associazioni contro le mafie fondata da don Ciotti, Arci, e centinaia di piccole organizzazioni locali, territoriali, scuole, gruppi di resistenza civile organizzano incontri, sit- in fiaccolate in tutta Italia per “tenere alta la guardia” sul fenomeno mafioso. Il 45 per cento del flusso di denaro che si riversa nei paradisi fiscali viene dalla criminalità organizzata. Ma c’è di più per dire che la mafia non è un fenomeno d’archeologia criminale. "Negli ultimi due anni ci sono stati l’83% di morti in più legati al fenomeno delle mafie – denuncia don Luigi Ciotti -. Un dato sconcertante se pensiamo che negli ultimi 5 anni siamo arrivati a 800 morti di mafia: è un Paese in guerra”. E, secondo Ciotti, circoscrivere il problema al singolo mafioso o all’associazione di stampo mafioso è riduttivo. Il sacerdote, che vive ancora sotto scorta per il suo impegno anti- mafia, sceglie il sito internet della Polizia di Stato per rilasciare un’intervista molto provocatoria, rilanciata anche dal sito di Libera: e se nemmeno il lavoro di alcune associazioni fosse davvero efficace per combattere la cultura mafiosa? Oltre l’emotività , il quotidiano Don Luigi Ciotti esprime senza mezzi termini la sua forte preoccupazione: "Sono molto preoccupato- ammette con la redazione del giornale online della Polizia - i primi nemici del cambiamento sono o rischiano di essere - paradossalmente - molte di quelle realtà che sono impegnate nell’antimafia”. Molte iniziative, spiega don Ciotti “partono sull’onda dell’emotività : le tragedie, le morti, l’affanno di un Paese e le grandi risposte. Poi le persone cambiano nel tempo, non si fa più notizia perché la mafia è sommersa, subentrano altri problemi e si vive questa dimensione pensando che si possa affrontare il problema con fiaccolate, momenti di memoria o convegni con nomi di prestigio. Questa modalità se si ferma lì è il peggior contributo che si può dare alla lotta alla criminalità , alle mafie”. Don Ciotti capisce che un eventuale fraintendimento delle sue parole potrebbe essere molto pericoloso, e chiarisce ancora meglio il suo pensiero: “Molti che sono partiti con generosità , in modo trasparente, hanno perso il senso e il significato della loro missione lungo il cammino, si sono concentrati sull’attività del loro movimento, della loro associazione e hanno perso invece quella dimensione che questo impegno richiede quotidianamente sul territorio, con coerenza, con continuità , con credibilità ”. Insomma, questo lavoro “ha senso e signif icato – secondo don Ciotti - solo se diamo continuità , se si è radicati nel territorio, se si lavora giorno per giorno con la scuola, con le associazioni, con le chiese, anche con i sindacati, insomma con la società civile in tutte le sue espressioni. E’ paradossale, ma a volte le associazioni rappresentano il peggior nemico del cambiamento. Quando per esempio organizzano esclusivamente convegni, anche coinvolgendo personaggi importanti. Non basta. Bisogna lavorare con la gente, dargli una mano”. La Carovana vuole avere “una funzione di stimolo e di presa di coscienza. Deve essere una spina nel fianco degli amministratori, serve per interrogarli sul motivo per cui si fanno delle scelte in un senso piuttosto che in un altro. E se promuove dei momenti di riflessione con i ragazzi ha ancora più valore”. Ma se invece fosse fine a se stessa, senza avere un seguito, “rappresenta solo un episodio –ammette Ciotti - ha poco senso”. Uno Stato in ritardo Lo Stato quando ha voluto è riuscito, anche con leggi adeguate, con gli strumenti, con gli uomini e i mezzi in qualche modo ad arginare il fenomeno mafioso. Ci sono dei segnali positivi, spiega don Ciotti nella lunga intervista al sito della Polizia di Stato: “la confisca dei beni ai mafiosi procede, le cooperative – che, come vedremo, gestiscono i beni confiscati alla mafia - sono partite”. Ma alcune scelte, - denuncia - alcuni ritardi legislativi hanno reso più difficile questo. “C’è un fatto grave: noi abbiamo sostenuto la legge 109 del 1996 sull’uso sociale dei beni confiscati, ma sono usciti di recente alcuni decreti successivi che permettendo di mettere in vendita i beni confiscati, di fatto offrono l’opportunità di 'restituirli' ai mafiosi. Di questo si parla troppo poco. Allora ben vengano i segnali positivi dallo Stato ma solo come espressione della normalità , non dell’eccezionalità ". Altro punto dolente, la tutela del cittadino che sceglie di sfidare le regole mafiose: “Anche qui le esperienze sono veramente diverse – sottolinea Ciotti - trovi le situazioni in cui le persone sono veramente tutelate, garantite, con degli esempi molto concreti, molto positivi di testimoni che hanno collaborato, ma anche alcuni esempi di fragilità dello Stato rispetto a questo”. Ci sono casi sia di collaboratori di giustizia che hanno commesso reati e poi si sono ravveduti che sono stati messi sotto protezione, sia “esempi di testimoni – aggiunge Ciotti - che per spirito di giustizia hanno dovuto lasciare la propria terra, i figli, le famiglie. Lo Stato li ha accompagnati e protetti. Ma ci sono anche delle storie di grande fragilità ". Una legge che fa società La legge 109/96 prescrive che i beni immobili confiscati ai mafiosi possono essere conservati al patrimonio dello Stato per specifiche finalità istituzionali (giustizia, ordine pubblico, protezione civile). I beni immobili possono essere anche trasferiti al patrimonio del Comune nel quale si trovano, per finalità sia istituzionali che sociali. Il Comune, acquisito il bene, ha un anno di tempo per decidere se amministrarlo direttamente oppure assegnarlo in concessione, a titolo gratuito, a: - comunità , enti, organizzazioni di volontariato; - cooperative sociali, comunità terapeutiche e centri di recupero per tossicodipendenti. Se il bene è stato confiscato per reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, viene senz'altro trasferito al patrimonio del Comune e assegnato preferibilmente ad associazioni, comunità o enti per il recupero di tossicodipendenti. I beni che lo Stato mantiene, possono diventare caserme, strutture della polizia, della protezione civile o dell'amministrazione giudiziaria. I beni trasferiti ai Comuni, possono rispondere alle esigenze delle realtà locali ed essere così utilizzati come uffici comunali, scuole, asili, parchi pubblici. Possono inoltre ospitare comunità terapeutiche, centri sociali e di aggregazione. “In entrambi i casi – sottolinea l’associazione Libera nella Guida all’utilizzo della legge - ed è opportuno farlo notare, la legge ha significativamente sancito che tutti i beni ripresi alle mafie, devono essere utilizzati per scopi collettivi, tra i quali un particolare rilievo è dato al riutilizzo a scopi sociali”. La Cancelleria dell'Ufficio Giudiziario comunica il provvedimento definitivo di confisca a: - Ufficio del territorio de l Ministero delle Finanze - Prefetto - Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno L'Ufficio del Territorio, stimato il valore del bene, sentiti Prefetto, Sindaco e Amministratore, entro 90 giorni formula una proposta di assegnazione del bene. Il Direttore Centrale del Demanio del Ministero delle Finanze, entro 30 giorni dalla proposta, emette il provvedimento di assegnazione. Beni confiscati tornano alla mafia? Su 4.800 beni confiscati alla mafia, 2.200 sono stati destinati, 1.400 sono stati già consegnati ma appena 700 sono utilizzati. Don Luigi Ciotti, presidente di 'Libera', sulla base di questi dati ha criticato in un incontro pubblico ad Alcamo le nuove disposizioni contenute nel decreto del governo in materia di misure di prevenzione: 'la possibilità di una revoca o vendita del bene confiscato è un' arma a doppio taglio. C'è' invece bisogno di provvedimenti legislativi coerenti”. Ma nel disegno di legge, approvato nel settembre scorso dal Consiglio dei ministri che delega il governo a provvedere al riordino della disciplina in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie, sulle luci si allungano ombre preoccupanti.. “Quella che sembra emergere – denuncia infatti Libera - è una riforma complessiva della materia che senza dubbio tiene conto di un’esigenza di miglioramento e snellimento delle procedure di gestione e assegnazione dei beni confiscati - sin dalla fase del loro sequestro fino al loro riutilizzo a fini sociali – ma che pone forti interrogativi e perplessità su alcuni punti”. In primo luogo, spiega l’associazione antimafia “la previsione di un ruolo centrale da parte dell’Agenzia del demanio (che si dovrebbe avvalere di una struttura appositamente dedicata e articolata a livello centrale e periferico e di funzionari pubblici) richiede un significativo incremento di organici insieme ad una forte specializzazione degli stessi. Come insegna l’esperienza di questi anni di applicazione della legge n. 109/96, le attuali agenzie del demanio faticano spesso a garantire un’efficace programmazione e promozione dei progetti di riutilizzo dei beni immobili e aziendali sequestrati e confiscati, anche per la complessità della materia”. Non si tratta solo di problemi legati alla ordinaria amministrazione, vanno, infatti, secondo Libera “garantite maggiore speditezza e trasparenza nelle procedure di assegnazione e gestione dei beni sequestrati e confiscati (ad esempio attraverso la predisposizione di elenchi pubblici su base provinciale dei beni confiscati e di procedure, anche queste pubbliche, di selezione dei progetti di riutilizzo, come Libera sta già sperimentando in collaborazione con alcuni enti locali); effettive capacità di gestione dei beni aziendali che richiedono anche queste competenze specifiche; una forte attività di coordinamento tra i soggetti istituzionali, economici e sociali interessati alla corretta applicazione della legge stessa. È per queste ragioni che Libera aveva proposto e torna a sollecitare l’istituzione di un’ agenzia ad hoc che segua il bene confiscato dalla fase del sequestro fino alla effettiva utilizzazione”. L’estensione dei soggetti possibili destinatari dei beni confiscati (Regioni, Enti locali e loro Consorzi) non deve, altresì, sempre secondo l’associazione “far venire meno il ruolo fondamentale svolto dal mondo dell’associazionismo e della cooperazione sociale in questi anni. Vanno evitate quelle ambiguità e contrasti normativi come quelli previsti da alcune leggi successive alla 109/96 che prevedono la vendita dei beni immobili. Suscita infine seri interrogativi la possibilità di una revisione dei provvedimenti definitivi di confisca dei beni”. Interrogativi preoccupanti. www.asca.it
|