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Una società aperta all'immigrazione
29.11.2004

FOCUS DELLA SETTIMANA
Una società aperta è dinamica e sicura
Il Dossier Statistico Immigrazione 2004 ha rilanciato
l’immigrazione come opportunità
Il XIV Rapporto sull’immigrazione curato da Caritas e Fondazione Migrantes – presentato a fine
ottobre a Roma - ci propone un quadro articolato e complesso. A fronte di una consistente presenza
di stranieri nel nostro Paese e ad un loro crescente radicamento nella società italiana c’è una
popolazione almeno in parte perplessa. In certi casi addirittura paurosa, di fronte all’accettazione
dei nuovi venuti e alle loro differenze culturali e religiose. Il mondo politico contribuisce a
complicare il problema con segnali divisi e spesso contrapposti, nonostante sia riconosciuta
l’indubbia utilità degli immigrati con riguardo al mondo del lavoro.
Con il supporto di Franco Pittau, coordinatore del Rapporto, analizziamo più nel dettaglio i punti
salienti forniti dal Dossier che negli anni è diventato un indiscusso “sussidio” per capire meglio
l’immigrazione.
La pressione migratoria non è destinata a diminuire
Anno 2003: 107.500 sono i nuovi visti d’ingresso in Italia a carattere stabile, rilasciati dal Ministro degli
Affari Esteri, di cui 19.500 per inserimento lavorativo come autonomi o dipendenti, 66.000 per
ricongiungimento familiare, 18.000 per motivi di studio e 4.000 per motivi religiosi. Totale che non tiene
conto dei 68.000 visti per lavoro stagionale, proprio per il loro carattere non stabile.
Gli stranieri sono giunti soprattutto per lavoro dall’Est Europa, mentre per motivi di ricongiungimento
familiare sono arrivati un po’ da tutti i continenti.
Complesso è, invece, quantificare la presenza irregolare. Il Dossier preferisce astenersi nel fornire proprie
stime e si limita a riportare valutazioni di altre fonti che oscillano tra le 200.000 unità secondo l’ISMU, le
600.000 secondo i sindacati, fino a toccare quota 800.000 unità per l’Eurispes.

Certo è che nel 2004 tra respingimenti ed espulsioni sono state coinvolte oltre 105.000 persone, un dato in
calo rispetto agli anni precedenti. Occorre però essere prudenti. Una riduzione non significa di per sè
che sia diminuita l’irregolarità, così come occorre evitare il sillogismo persone respinte = persone entrate
irregolarmente.
E’ certo, invece, che fin quando perduri lo squilibrio tra paesi poveri e sviluppati – dove il 60% della
ricchezza mondiale è detenuto dall’America e dall’Europa, che sono solo un quarto della popolazione del
pianeta - persisterà la pressione migratoria.
Migrazioni che per questi paesi poveri costituiscono una risorsa. Infatti, per l’economia di queste nazioni una
tra le maggiori risorse è costituita proprio dai risparmi inviati dagli immigrati: un giro di 93 miliardi di
dollari nel 2003. L’Italia è al nono posto nel mondo con 2,6 miliardi di dollari, di cui meno della metà
transitato attraverso le banche.
“Stando così le cose, afferma Franco Pittau che ha curato la ricerca, la regolamentazione dei flussi non si può
ridurre ad una semplice “partita di giro”, scaricando i problemi dei paesi ricchi su altri paesi incaricati dei
controlli: le convenzioni possono aiutare solo fino ad un certo punto, mentre alla radice resta la mancanza di
sviluppo sul posto, che continuerà ad essere un fattore d’esodo.”
2.600.000 immigrati regolari in Italia, 1 ogni 22 residenti
Nel corso degli anni ’90 l’immigrazione è aumentata a ritmo vivace, specialmente a seguito di tre
regolarizzazioni: dal censimento del 1991 e quello del 2001 la presenza è triplicata, arrivando a superare il
milione di presenze. Nei quattro anni successivi (2000-2004) l’andamento è diventato ancora più sostenuto
con 2 milioni e 600mila presenze regolari. Nella stima prudenziale del “Dossier”, ai 2,2 milioni di persone
registrate dal Ministero dell’Interno vanno aggiunti 400.000 minori, che aumentano al ritmo di circa 65.000
l’anno (considerando 35.000 come nuovi nati e 25.000 come nuovi ingressi).
Di fronte a questa consistente presenza possiamo affermare che il futuro della politica migratoria italiana
consiste nel coltivare una dimensione euro-mediterranea: la presenza europea raggiunge quasi la metà del
totale (47,9% di cui solo il 7% costituito da cittadini comunitari), mentre all’Africa spetta quasi un quarto
(23,5%): è consistente anche la rappresentanza asiatica (16,8%) mentre è più ridotta quella americana
(11,5%).
Nella tabella che segue sono indicate le prime 30 nazionalità di provenienza degli immigrati, nei primi tre
posti troviamo Romania, Marocco, Albania.

Con riferimento alla percentuale tra uomini e donne immigrate è stata quasi raggiunta la parità tra i sessi, e
questo per il forte bisogno di donne immigrate nel sistema dell’assistenza alle famiglie. I coniugati sono la
metà del totale e anche questo è un indice di equilibrio familiare. “Sappiamo, inoltre afferma Pittau, che gli
immigrati sono giovani: il 60% è concentrato tra i 19 e i 40 anni”.
Modulo 6 – 3 – 1: una ripartizione a scalare per gli immigrati
Territorialmente potremmo parlare, utilizzando un gergo calcistico, di modulo 6-3-1. Cosa significa? Grosso
modo la presenza di immigrati è per il 60% nel Nord (1 milione e 500mila immigrati), per il 30% nel Centro
(710mila) ed il restante 10% (357mila) nel Meridione.
Alla Lombardia spettano 606.000 soggiornanti, al Lazio 369.000. L’incidenza è del 4,5% sulla popolazione
complessiva (un immigrato ogni 22 abitanti), con queste differenze: 6,5% nel Centro, 6% nel Nord, 2% nel
Sud e 1,5% nelle Isole. E’ andata attenuandosi la concentrazione nei grandi comuni e la presenza degli
immigrati tende a spalmarsi in maniera più equilibrata e più visibile su tutto il territorio italiano.
Secondo un’indagine condotta quest’anno dall’ANCI tra i comuni con più di 15.000 abitanti il 60% non
dispone di un Ufficio Immigrazione, dato che migliora con riferimento alle grandi città dove ad esserne
sprovvisto è solo il 20%. “In altre parole, spiega Pittau illustrando i dati, vi è una realtà di fatto che stenta ad
essere assunta formalmente, mentre per quanto riguarda i Consigli territoriali per l’immigrazione, alla
formalizzazione sancita dalla legge non sempre ha fatto seguito l’efficacia operativa auspicata”.
Il radicamento territoriale: un processo importante
E’ possibile misurare il grado di inserimento a livello regionale di una persona immigrata? Il CNEL, con il
sostegno dell’équipe del Dossier, ha elaborato una sorta di termometro dell’integrazione, utilizzando una
serie di indicatori basati sulla consistenza della presenza, sull’inserimento sociale e su quello lavorativo. La
classifica, da prendere a fini indicativi, divide l’Italia in tre fasce di integrazione: al di sopra della media - ai
primi posti c’è la Lombardia e il Veneto - nella zona media dove troviamo il Lazio e il Trentino Alto Adige,
al di sotto della media fra cui Basilicata e Puglia Un inserimento, come testimonia il Dossier, sempre più
stabile. Ben due terzi (66,1%) degli immigrati sono venuti nel nostro Paese per lavoro e circa un quarto
(24,3%) per motivi di famiglia: i due motivi assommano così il 90% delle presenze. Un altro 7% di permessi
è rilasciato per inserimento medio-stabile (studio, residenza elettiva, motivi religiosi), mentre i permessi di
studio incidono solo per il 2% sul totale dei permessi, a differenza di quanto avviene in tanti altri paesi
europei. Inserimento stabile che ha permesso dal 90 ad oggi di poter studiare il processo di insediamento
duraturo. Prima della regolarizzazione gli immigrati con almeno cinque anni di soggiorno erano il 60%
mentre un terzo soggiornava da almeno 10 anni.
“Purtroppo, pone l’accento Pittau, non sono disponibili le statistiche sui titolari della carta di soggiorno, il
documento che assicura la permanenza a tempo indeterminato: virtualmente dovrebbero essere circa 700.000
casi.” Al censimento del 2001 la percentuale degli stranieri nati in Italia era del 12%: è questo un altro dato
che induce alla riflessione. Si può ipotizzare che oggi siano circa 250.000 le persone che, seppur straniere,
sentano l’Italia come la loro paese nativo.
L’integrazione: un percorso difficile
Questo desiderio degli immigrati di essere i “nuovi cittadini” viene spesso contrastato da discriminazioni di
vario genere. Affianco ad un pregiudizio razziale, riscontrato soprattutto nei giovani italiani tra i 14 e 18
anni, le discriminazioni dirette riguardano l’accesso all’alloggio - il 57% degli affittuari di 5 città del Nord
Italia e di 7 del Centro sono contrari ad affittare a immigrati.
Alloggio, lavoro, scuola sono le prime tre priorità che emergono da una recente ricerca dell’ANCI a cui
dovrebbero rispondere gli investimenti a favore degli immigrati. Non stupisce il terzo posto della scuola vista
la forte crescita di studenti stranieri: nell’anno scolastico 2003-2004 sono stati oltre 280 mila, con un
aumento di 50.000 rispetto all’anno precedente. Con questo ritmo basteranno quattro anni per arrivare alla
quota di mezzo milione di studenti stranieri e questo spiega perché il settore sia da considerarsi prioritario.
Nonostante certe intemperanze, il Dossier evidenzia una maggiore disposizione degli italiani sul piano
culturale, che spazia dal sostanziale favore per il mantenimento da parte degli immigrati delle loro usanze
all’accettare i simboli di altre religioni.
Un sistema produttivo sostenuto dagli immigrati
Riduzione della percentuale di crescita e della quota nel commercio mondiale, carenze nella ricerca e negli
investimenti tecnologici, scomparsa o quasi della grande industria, crisi di settori tradizionali del “made in
Italy”, scarsa presenza in settori importanti dei nuovi mercati, andamento demografico negativo. Un quadro
economico italiano, quello disegnato dal Dossier, certamente non facile e che ha bisogno, come sostengono
gli imprenditori, di un forte apporto di lavoratori stranieri. Ma ciò nonostante non da tutti gli immigrati sono
accettati pienamente, considerandoli una risorsa.
I numeri parlano chiaro. Gli immigrati incidono per circa il 7% sulle forze lavoro complessive e forniscono
un importante contributo all’economia del nostro paese, anche a rischio della loro salute. Infatti, i casi di
infortunio denunciati nel 2003 sono stati 106.930, di cui 129 mortali. 1 ogni 9 infortuni riguarda un
lavoratore extracomunitario: per essi si verifica un infortunio ogni 15 occupati, mentre per gli italiani il
rapporto è di 1 infortunio ogni 25 occupati. E’ effettiva l’esigenza di una tutela più ampia e questo aiuta a
capire l’alto numero di iscritti nei sindacati con un aumento del 49% tra il 2000 e 2003.
Dai dati forniti dall’INAIL, si nota come il 70% delle assunzioni sia concentrato nel Nord (al Centro il 20% e
al Meridione solo il 10%). Il“triangolo dell’immigrazione” è costituito dalla Lombardia, dal Veneto e
dall’Emilia Romagna, con metà o più delle assunzioni di immigrati per la maggior parte dei settori.
I rami produttivi in cui avvengono il maggior numero di assunzioni riguardano ben dodici diversi settori
produttivi che spaziano dal lavoro domestico alle costruzioni, dagli alberghi e ristoranti all’agricoltura, fino
all’industria tessile e servizi pubblici.
Un mercato del lavoro che privilegia gli immigrati provenienti da aree continentali vicine per cultura,
tradizioni, formazione professionale e religione, e cioè l’Europa Centro Orientale (45% del totale) e
l’America Latina.
“Dal rapporto positivo tra assunzioni e cessazioni sono derivati 684.569 saldi, spiega Pittau, di cui la metà si
riferisce a persone regolarizzate. Il concetto si avvicina a quello di nuovo posto di lavoro, senza
però esserne l’equivalente: si tratta comunque di un indice positivo, specialmente se confrontato con quello
degli italiani.”
Un ultimo dato riportato dal Dossier riguarda i titolari d’impresa stranieri: ben 71.843 al 31 giugno 2004, un
dato notevole visto l’aumento di circa il 25% rispetto all’anno precedente, tanto più a fronte di una situazione
quasi statica per gli italiani. Oggi, in media, 1 ogni 50 imprese appartiene ad un imprenditore straniero, 1
ogni 25 a Roma e 1 ogni 8 a Prato.
Gli immigrati, che sono artigiani in quarto dei casi, sono particolarmente attivi nel ramo del commercio e
delle riparazioni (42%) e in quello edilizio (28%).
Da non dimenticare, infine, che gli immigrati sono anche una vasta categoria di contribuenti. Dal capitolo
curato dall’INPS, che anticipa i primi risultati di una vasta ricerca ancora in corso, risulta che nel 2002 i
lavoratori extracomunitari per i quali è stato pagato almeno un contributo sono stati 1.225.000. La
ripartizione per settori vede prevalere i servizi (50,4%), seguono industria (41,6%) e agricoltura (8%).
L’immigrazione come “segno dei tempi”
Una mole di dati, tabelle, grafici proposti dal Dossier che lascia senza fiato. Proviamo a tirare delle
conclusioni grazie a Franco Pittau, da oltre trent’anni impegnato sui temi dell’immigrazione e curatore del
Dossier. “I dati riportati si possono sintetizzare così: una pressione migratoria che continuerà, una presenza
consistente e diffusa su tutto il territorio, un inserimento diversificato nelle regioni, un notevole apporto a
livello lavorativo e un’integrazione a metà del guado. Le previsioni sull’immigrazione, che prima ci
lasciavano abbastanza distaccati, iniziano a prendere forma corposa e richiedono da tutti maggiore
attenzione”.
“Il mercato del lavoro – prosegue Pittau - induce a interrogarsi sulla programmazione triennale, ancora da
approvare, sui meccanismi di ingresso nel mercato, sulla determinazione delle quote, sull’incontro tra
domanda e offerta. E’ tempo di prestare più attenzione al “peso amministrativo” delle decisioni normative,
cercando di semplificare al massimo la vita degli immigrati, riconsiderando la durata dei permessi di
soggiorno e potenziando l’efficacia della macchina burocratica, problema peraltro già in discussione. Senza
diritti non vi possono essere immigrati integrati, afferma Pittau. I diritti sociali non devono rischiare di
restare sulla carta: il recente rapporto Caritas sulla povertà ha sottolineato, ad esempio, che solo la metà degli
immigrati ha un medico di famiglia. Tra gli altri diritti bisogna insistere sull’accesso agevolato alla
cittadinanza e sulla concessione del voto amministrativo”.
Per il futuro? “E’ realistico pensare – conclude Pittau - che, per il bene della società, il compito del futuro
consista nel facilitare la convivenza, con noi italiani, di tradizioni, lingue, culture e religioni differenti: per
questo si può dire “Società aperta, società dinamica e sicura”.
Programmare, accogliere e integrare: le tre parole chiave per un nuovo approccio
Il Rapporto - un “prodotto” ufficiale degli organismi ecclesiali, Caritas Italiana e Fondazione Migrantes,
competenti nel settore delle migrazioni – raccoglie ed interpreta i dati da un punto di vista statistico. Unica
deroga a questa impostazione è per l’introduzione redatta dalla Presidenza del Dossier Statistico
Immigrazione, i cui contenuti sono stati illustrati dal Direttore della Caritas Diocesana di Roma, mons.
Guerino Di Tora, alla presentazione romana del Rapporto.
“Nell’introduzione sosteniamo – ha detto Di Tora, anche a nome degli altri due membri della Presidenza
mons. Nozza della Caritas Italiana e mons. Petris della Fondazione Migrantes - che l’immigrazione va
presentata come un’opportunità per rimediare ad alcune carenze del passato, affrontare meglio il presente e
aprirci con maggiore fiducia al futuro. La nostra introduzione è imperniata su tre parole chiave: programmare
realisticamente e funzionalmente, superando gli eccessivi margini di precarietà ai quali la normativa attuale
sottomette i progetti migratori; accogliere con maggiore apertura, ovviamente nel pieno rispetto delle nostre
regole di convivenza ma senza colpevolizzare la diversità; integrare gli immigrati, evitando che essi restino
“cittadini senza cittadinanza”, con scarse garanzie riguardo al soggiorno, ai diritti sociali, all’inserimento
loro e dei loro figli”.

Integrazione che passa necessariamente per il godimento di una serie di diritti come il voto amministrativo,
obiettivo riproposto nell’ottobre scorso dal neo ministro degli esteri on. Fini e che ad oggi ancora stenta a ad
essere raggiunto. Per non parlare dell’ accesso alla cittadinanza italiana, un vero percorso ad ostacoli: basti
pensare che nel 2003 in Italia si sono registrati solo 13.420 casi, un decimo di quelli registrati nello stesso
periodo in Francia, e quasi tutti basati sul matrimonio con un cittadino italiano.
“Constatiamo – ha proseguito il direttore della Caritas diocesana di Roma - che a mancare è spesso
l’atteggiamento di incontro e di valorizzazione dell’altro: diverse indagini sociologiche ci mostrano che i
“nuovi cittadini” si sentono inquadrati come unità necessarie al sistema produttivo ma scarsamente
apprezzati come persone”. Conclude, infine, Di Tora rifacendosi a quanto detto dal segretario del’ONU Kofi
Annan “siamo convinti che la politica migratoria vada inquadrata in un’ottica europea, fatta non solo di
controlli e di prevenzione ma anche di effettiva collaborazione con i paesi di partenza e con politiche più
efficaci di inserimento, altrimenti il nostro continente diventerà più mediocre, più povero, più debole, più
vecchio”.
Memoria e conoscenza: per un’informazione mediatica capace di costruire cultura
Alle tre parole chiave illustrate dal direttore della Caritas romana, ne è stata aggiunta una quarta: informare.
Ad affrontare lo spinoso argomento con un “mea culpa” da parte dell’informazione, sopratutto televisiva, è
intervenuto Roberto Morrione, direttore Rai News 24.
“Abbiamo tre grandi debiti da pagare verso l’immigrazione, esordisce Morrione. Il primo è verso il Paese per
la sottovalutazione complessiva, culturale, di una questione che riguarda aspetti economici e sociali di
grandissima rilevanza, in quanto investe i meccanismi dello sviluppo e le prospettive della convivenza civile.
Il secondo debito, che ha aspetti dolorosi e per molti versi disumani, è verso quei popoli che si mettono in
marcia perché stritolati fra “l’avere e il non avere”, in un cammino disperato, a volte destinato a concludersi
con una morte due volte atroce, perché anonima e nell’indifferenza”. Anonimato frutto delle spietate leggi
del mercato dei media dove “ciò che non appare semplicemente non è”.
Il terzo debito l’informazione lo ha verso se stessa perché, “è venuta meno al suo compito essenziale, ma
insieme più importante, quello di garantire le due caratteristiche centrali della comunicazione: la memoria e
la conoscenza, spiega il direttore di Rai News 24. E’ senza memoria e non accresce in alcun modo la
conoscenza un’informazione che per anni ha relegato le vicende dell’immigrazione alla cronaca nera. Non
accresce memoria e conoscenza, la cosiddetta “decontestualizzazione” delle notizie, l’assenza di qualsiasi
riferimento al quadro storico, geo-politico o anche soltanto ad eventi specifici di scottante attualità, paese per
paese, quali i conflitti armati, le guerre etniche e religiose, le carestie, l’assenza di ogni risorsa primaria di
sopravvivenza, la persecuzione e l’intolleranza ideologica e politica, che pure sono sempre a monte della
marcia dei popoli in cammino”.
Cambiare si può, conclude Morrione, ma occorre un’informazione capace “di non lasciare mai le notizie
orfane, di alzare la soglia dell’attenzione, di fornire sempre un filo critico di approfondimento in grado di
non perdere di vista il quadro generale, fatto appunto di memoria e di conoscenza”.
Un approccio che fa sperare nel superamento degli attuali “programmi contenitore” dove troppo spesso storie
stereotipate si fondono con l’asettico parere dell’esperto di turno in un melting pot compassionevole in cerca
di facili ed effimere emozioni.
Dossier Statistico Immigrazione: uno strumento di sensibilizzazione
Nasce nel 1990 a ridosso dell’approvazione della cosiddetta Legge Martelli (L.n. 39/90), il primo intervento
legislativo organico sull’immigrazione, da un’idea dell’allora direttore della Caritas diocesana di Roma,
mons. Di Liegro. A fronte del crescente interesse per il fenomeno migratorio, si volle promuovere un
rapporto sull’andamento dell’immigrazione in Italia, analizzandone i diversi aspetti, così da renderlo uno
strumento funzionale per studiosi, amministratori e operatori del settore.

Di anno in anno il “Dossier” si è sempre più arricchito di dati e l’ultima edizione del 2004 ha superato le 500
pagine. Si tratta di un vero e proprio manuale che contiene centinaia di tabelle e riserva ampio spazio alle
realtà regionali per rispondere ad un’esigenza di conoscenza e approfondimento capillare del territorio.
Il Dossier Statistico Immigrazione raccoglie tutti i dati disponibili sul fenomeno dell’immigrazione
relazionandoli nel piano nazionale e in quello degli ambiti regionali e locali, occupandosi dei suoi vari aspetti
e problematiche. All’esposizione statistica si accompagna l’analisi delle informazioni rilevate, effettuata dai
massimi esperti del settore ed esposta con un apposito corredo di dettagliate tabelle esplicative e riassuntive.
Attualmente il “Dossier” è un progetto nazionale che vede coinvolte la Caritas e la Migrantes con il supporto
scientifico del Centro Studi e Ricerche IDOS.
Per approfondimenti: www.dossierimmigrazione.it

fonte: www.asca.it

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