Welfare Italia :: Indian Time :: Danze (di Paola Carini) Invia ad un amico Statistiche FAQ
25 Aprile 2024 Gio                 WelfareItalia: Punto laico di informazione e di impegno sociale
Cerca in W.I Foto Gallery Links Documenti Forum Iscritti Online
www.welfareeuropa.it www.welfarecremona.it www.welfarelombardia.it www.welfarenetwork.it

Welfare Italia
Home Page
Notizie
Brevi
Il punto
Lettere a Welfare
Cronaca
Politica
Dal Mondo
Dalle Regioni
Dall'Europa
Economia
Giovani
Lavoro
Cultura
Sociale
Ambiente
Welfare
Indian Time
Buone notizie
Radio Londra
Volontariato
Dai Partiti
Dal Parlamento Europeo
Area Iscritti
Username:
Password:
Ricordami!
Recupero password
Registrazione nuovo utente
Brevi

 Foto Gallery
Ultima immagine dal Foto Gallery di Welfare Italia

Ultimi Links







Danze (di Paola Carini)
31.08.2007
Esiste un aspetto delle culture autoctone del continente nordamericano che nell’immaginario collettivo è sempre stato distorto: la danza. La “danza della pioggia”, per fare un esempio, ha per lungo tempo arricchito i cliché degli indiani con il copricapo di piume che danzano e urlano intorno al fuoco, molto spesso per dileggio. In realtà, come è successo in ogni altro angolo del pianeta, la musica e la danza hanno concorso all’evoluzione delle culture e dei popoli: di esse ne esistono testimonianze antichissime incise nei petroglifi e tuttora sono diffuse e praticate dentro e fuori le riserve sia durante cerimoniali sacri che durante meeting conviviali, i cosiddetti powwow.

L’etnomusicologa cherokee Charlotte Heth, che ne ha esplorato le mille sfaccettature tribali, afferma che sebbene esista musica nativo-americana senza che essa sia accompagnata dalla danza, non esiste danza nativo-americana che non sia accompagnata dalla musica. Ed esistono canti. E cori. E mezzi mnemonici per ricordare i canti e le melodie come le incisioni sulla corteccia di betulla che usavano gli ojibwe, e danze e musiche per festività, cerimonie, riti di passaggio, e strumenti musicali particolari, e coreografie. Come ovunque, la musica esprimeva il sacro e il profano, la ritualità e gli aspetti più mondani. Come per le lingue autoctone, anche la musica e la danza vennero proibite e soppresse, messe al bando e cancellate. Ma qualcosa è sopravvissuto, a volte forte e potente, a volte flebile e frammentato ma pur sempre vivo; è un’ancora al passato, a quando la propria vita era integra e il corpo armonico; quando esso seguiva il ritmo della musica e la voce accompagnava il tamburo, “il battito della terra” come lo definisce la scrittrice chickasaw Linda Hogan, per esprimere il sé, pregare gli spiriti, stare insieme agli altri.
Cerimonie sacre sono tuttora eseguite nel privato delle riserve o in luoghi non accessibili agli estranei: un tempo la “danza dei serpenti” hopi veniva praticata pubblicamente ma da alcuni decenni viene proibito l’accesso alla riserva, fruibile quasi tutto l’anno dal punto di vista turistico, proprio in questa occasione. Troppe fotografie, troppi gesti irrispettosi, troppa curiosità avevano finito col banalizzare un rito sacro fondamentale nell’equilibrio della vita della comunità hopi, come lo è la cerimonia del granturco verde per i cherokee dedicata a Selu, Madre Granturco. E’ invece durante i powwow che si possono vedere gruppi e singoli che si sfidano danzando in roteanti coreografie o in suggestive andature cadenzate, aggraziate donne sciallate o bambini impegnatissimi in passi complicati, e si può assaggiare il gustoso pane fritto indiano assistendo alla cerimonia di apertura, quando sfilano i veterani nativo-americani di tutte le guerre e le bandiere abbrunate. E ricordare che sebbene in apparenza si tratti di un’attività di intrattenimento, nulla è fatto per puro diletto. Ogni gesto, ogni perlina dell’abito, ogni decoro del copricapo è il riannodarsi dei fili della tradizione con il presente, è il riaffermare e rivendicare la propria identità, è il rafforzare legami personali e intertribali e, sopra ogni cosa, è esprimere sé stessi, corpo e spirito, per celebrare la vita.

Di derivazione algonchina, la parola finì con l’assumere semplicemente il significato di raduno; associata ad alcune danze praticate durante la chiusura coatta nei forti o nelle riserve, essa divenne il powwow moderno.
Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, ogni powwow è un evento organizzativo complesso: Occorre designare un responsabile della pista il quale deve scegliere i giudici di gara, assicurarsi che i suonatori di tamburi nonché cantanti conoscano la scaletta e occuparsi di ciò che avviene intorno ad essa; poi occorre un maestro delle cerimonie, colui che al microfono scandisce i vari momenti del powwow e bisogna individuare il “primo danzatore” e la “prima danzatrice”, che guideranno tutti gli altri nella sfilata d’inizio.

In ogni powwow le danze sono ripartite in due momenti: le danze intertribali, in cui tutti danzano insieme, ognuno col proprio stile, e le vere e proprie gare in cui danzano uomini e donne separatamente. Queste ultime sono suddivise in categorie: danza tradizionale maschile del Nord, “grass dance” maschile, “fancydance” maschile; per le donne c’è la danza tradizionale, la “fancy shawl” e la “jingle”.
La danza tradizionale del Nord è quella in cui i costumi hanno il più forte impatto visivo: piume d’aquila ricoprono a corona il dorso, piume ornano il copricapo, di piume è ricoperto il bastone o il ventaglio che spesso portano questi danzatori; in origine la danza era la rappresentazione di una battuta di caccia o di un episodio di battaglia tra gli indiani delle Pianure. Nella “grass dance”, di simili origini geografiche, i costumi frangiati ondeggiano come steli di erba alta nel vento delle praterie per i movimenti fluidi dei danzatori; nella “fancydance” il ritmo serrato richiede coreografie atletiche fatte di salti, calci e un’articolata successione di passi. La danza tradizionale femminile è quanto di più leggiadro ci sia: in lunghi abiti semplici, con scialli che coprono abbondantemente le spalle e con in mano un ventaglio di piume d’aquila, le donne si muovono in passi leggeri che sembrano sfiorare la terra dalla quale non si distaccano mai; al contrario la “fancy shawl” è una danza ritmata con movimenti circolari e cadenzati in cui la donna fa ondeggiare il lungo scialle frangiato sopra i gambali di camoscio, mentre nella “jingle”, sopra i gambali la danzatrice porta una tunica ricoperta di 366 piccoli coni di metallo (uno per ogni giorno dell’anno più uno per la danzatrice) fissati in fasce orizzontali e si muove con movenze morbide, quasi sulle punte. Ciò che sorprende è il fatto che ogni abito è pensato, cucito e confezionato dal danzatore stesso che sceglie con accuratezza ciascun dettaglio, lustrino, piuma, cucitura. Anche nella stomp dance, uno stile di danza che non rientra tra quelli dei powwow, c’è la medesima attenzione. Diffusa soprattutto tra i chickasaw e i choctaw, è una danza di socializzazione, non presuppone competizione ed è soprattutto divertimento. Le danzatrici indossano abiti lunghi e colorati; i danzatori jeans, stivali e camice a cui sono cuciti in senso verticale lunghi nastri di vari colori. Intorno alle gambe le donne portano scatole di latta riempite di oggetti che le fanno tintinnare; una volta gli involucri erano costituiti da gusci di tartaruga, ora pressoché introvabili. Quasi ogni fine settimana da qualche parte in Oklahoma c’è una stomp dance; i chickasaw hanno persino un gruppo – i chickasaw stomp dancers – che si esibisce in tutto il paese con il proprio stile e i propri costumi.

Dietro il turbinio di colori, forme, ritmi, movimenti di un powwow ci sono mesi di preparazione dei costumi, prove estenuanti delle coreografie, spostamenti frequenti da un powwow all’altro: Rusty Gillette, scelto dal comitato del National Museum of the American Indian come giudice di gara al powwow tenutosi presso l’istituzione lo scorso agosto, è un giovane di origini arikara-hidatsa. Viaggiando da un capo all’altro del paese, partecipando alle competizioni e acquisendo fama grazie alla propria bravura, Gillette e diventato uno dei più noti e premiati danzatori di “grass dance” del paese. Ma al di là dell’aspetto atletico, dei premi, della notorietà, il powwow è un momento per incontrarsi e re-incontrarsi, per divertirsi e per danzare, per riportare alla luce tradizioni del passato e viverle nel tempo presente, per condividere ciò che si credeva perduto ma che è miracolosamente sopravvissuto. Per celebrare ogni volta con gioia qualcosa che tutti crediamo scontata ma che non lo è: la vita.

Welfare Italia
Hits: 1802
Indian Time >>
I commenti degli utenti (Solo gli iscritti possono inserire commenti)
Terza pagina

Sondaggi
E' giusto che Bersani si accordi con Berlusconi per le rifome ?

Si
No
Non so
Ultime dal Forum
La voce del padrone di Lucio Garofalo
Salotti culturali dell'Estate bolognese
Pippo Fallica querelo' Corriere della Sera e La Sicilia?
NO LEADER, NO PARTY di Luigi Boschi
UN PARTITO LENINISTA (LEGA) CHE SPOSA IL VATICANO di A.De Porti
POESIA DI VITA di Luigi Boschi
La vita spericolata del premier di Silvia Terribili
Romea Commerciale di Orlando Masiero
Sondaggio, 15mila i voti finora espressi
Buon che? di Danilo D'Antonio
L'Italia è una Repubblica "antimeritocratica" fondata sul lavoro precario
LA PROTESTA DEI SANGUINARI di Luigi Boschi
L'AQUILONE STRAPPATO di Antonio V. Gelormini
Il reality scolastico su "Rai Educational"
Vuoto indietro diventa proposta di legge,





| Redazione | Contatti | Bannerkit | Pubblicità | Disclaimer |
www.welfareitalia.it , quotidiano gratuito on line, è iscritto nel registro della stampa periodica del Tribunale di Cremona al n. 393 del 24.9.2003- direttore responsabile Gian Carlo Storti