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Più autonomia per ricostruire l'unità sindacale
4.10.2003

Cgil / L'iniziativa dei riformisti
Più autonomia per ricostruire l'unità sindacale
di Enrico Galantini

Un’assemblea partecipata (600 persone da tutta Italia lunedì 15 settembre a riempire la sala grande del centro congressi di Via dei Frentani). Un documento lungo e articolato (15 punti per 25 cartelle) dal titolo “Europa, autonomia, unità, lavoro. Per una nuova fase del sindacato confederale in Italia”: un documento, sul quale ci sono state molte polemiche, decisamente critico sulla gestione presente (e quella del passato prossimo) della Confederazione, soprattutto (ma non solo) sul terreno dei rapporti con Cisl e Uil. Quarantanove firme in calce al testo, tra cui quelle di 11 componenti del comitato direttivo della Cgil. Queste alcune delle cifre che stanno dietro all’iniziativa dei “riformisti” della Cgil (le virgolette sono d’obbligo a segnalare la schematicità di questa, come di ogni altra definizione, non fosse altro perché la Cgil non abbonda di “rivoluzionari”).

Il documento
I nodi centrali dell’analisi sono quelli dell’autonomia e dell’unità sindacale. Per il documento dei “riformisti” la piena riconquista dell’autonomia è oggi “il passaggio decisivo e il primo compito dell’azione sindacale”. Ma se si parla di “riconquista dell’autonomia” questo vuol dire che “c’è, per la Cgil, un problema non del tutto risolto per quanto riguarda il suo rapporto con la politica”. Per dirla più chiaramente, “gran parte del gruppo dirigente della Cgil e del suo quadro attivo ha imboccato la strada dell’autosufficienza, ritenendo che la Cgil, finalmente libera di far valere senza condizionamenti la sua posizione politica, potesse reggere da sola lo scontro e assumere il ruolo di punta nella mobilitazione politica contro il governo”. La battaglia sui diritti non va accantonata ma è “nella concretezza del lavoro sindacale quotidiano che dobbiamo tenere ben ferma la bussola dei diritti, ovvero della dignità del lavoro, cercando di volta in volta i punti possibili di avanzamento. Una strada “del tutto opposta è quella che si è tentata con il referendum per l’estensione dell’articolo 18”. Un referendum, che è “stato opportunamente disinnescato da un’accorta conduzione politica dei maggiori partiti del centro-sinistra”, sul quale la Cgil si è trovata “in evidente difficoltà, e alla fine ha assunto una posizione discutibile e di scarsa efficacia”. Se si avvia “un processo di risindacalizzazione, secondo le due coordinate dell’autonomia e della rappresentanza”, anche la prospettiva dell’unità d’azione tra le tre confederazioni “può tornare di attualità e può realisticamente essere affrontata come un obiettivo per l’oggi”. Per farlo, i due “princìpi regolatori possono essere i seguenti: la rappresentatività delle organizzazioni va misurata, e tutti gli atti decisionali sono legittimati dal principio di maggioranza”. Un esempio possibile è quello del settore pubblico, dove esiste “un modello di regolazione che può essere, con tutti i necessari adattamenti, esteso al settore privato”. Su questo terreno “la Cgil deve prendere l’iniziativa. E, perché questa iniziativa sia credibile e impegnativa, deve assumere da ora l’impegno a non compiere alcun atto unilaterale (piattaforme, scioperi, accordi), rinviando tutte le questioni controverse a una sede unitaria di verifica e di mediazione”.

La genesi e gli sbocchi
Fin qui un riassunto, per quanto sommario, del documento. Per andare oltre, Rassegna ha cercato, insieme ai presidenti di Inca e Ires, Aldo Amoretti e Agostino Megale, promotori con Antonio Panzeri dell’iniziativa, di ricostruirne genesi, motivazioni e sbocchi possibili.

L’idea dell’assemblea nasce come tale all’inizio dell’estate ma l’incubazione è abbastanza lunga. “È una cosa che nasce molto tempo fa – ricorda Amoretti –. Piano piano sono maturate opinioni diverse rispetto alle scelte che venivano fatte dalla confederazione. Soprattutto dopo il 23 marzo: è quando sei molto forte che è il momento di fare mediazioni, invece di pensare di spazzare via il “nemico”. Il dissenso si è poi rafforzato con la gestione della vicenda metalmeccanici e il veder crescere una sorta di autosufficienza e di unilateralità nella gestione della Cgil”. “Perché oggi l’assemblea? Perché oggi la situazione è diversa da quella di due anni fa – spiega Megale –: piaccia o no, siamo di fronte a una questione di “emergenza economica e sociale”; il governo, che prima era in grado di produrre qualche consenso e accordi separati, oggi non lo è più; Confindustria, rispetto al collateralismo di Parma, non scommette più una lira bucata sul governo; senza sottovalutare il fatto che si è chiusa, con il rinnovamento in Cgil, una fase in cui tra i Ds e la sinistra sociale il dialogo era difficile e prevalevano elementi di tensione”.

Sia Amoretti che Megale mettono l’accento, come motivazione di fondo dell’iniziativa, sulla necessità per la Confederazione di discutere di più e più approfonditamente. “Mi sono convinto che era necessario muoversi – dice il presidente dell’Inca – quando ho visto che non c’è volontà di aprire una discussione in Cgil. Invece io sento come impellente la necessità di smetterla con il conformismo e l’unanimismo di facciata. L’unanimismo è un indice di crisi, non di buona salute di un’organizzazione”. “Occorre riflettere senza idee precostituite su torti e ragioni – aggiunge il presidente dell’Ires –, cimentandosi con un’analisi lucida sugli obiettivi da porsi, sui risultati da raggiungere, su quello che va cambiato in un contesto nuovo (globalizzazione, Europa, mondo del lavoro in continua trasformazione) che dovrà pur porre al sindacato la necessità di qualche aggiornamento di linea sulle sue politiche”.


Gli errori della Cgil. E quelli di Cisl e Uil
Ma l’analisi contenuta nel documento, a un occhio esterno, è tutta sugli errori della Cgil, quasi che Cisl e Uil non abbiano giocato una parte nelle divisioni di questi anni. “Noi parliamo della Cgil perché siamo Cgil – risponde Amoretti –, sappiamo bene che Cisl e Uil hanno la loro buona dose di responsabilità: c’è il problema della rappresentanza, della democrazia rappresentativa (non del referendum). Ma, come diceva Di Vittorio dopo le dimissioni per la sconfitta alla Fiat, se in una sconfitta tu hai solo il 5 per cento di responsabilità, è di quel 5 per cento innanzitutto che devi discutere”.

Megale ricorda anche lui la frase di Di Vittorio e aggiunge: “Gli errori di Cisl e Uil sono stati talmente evidenti: basti vedere l’inefficacia del Patto per l’Italia...”. E sugli errori della Cgil sottolinea: “Nelle scelte che la Cgil ha compiuto nei due anni passati, noi c’eravamo, abbiamo contribuito a costruirle e le abbiamo votate. La nostra è una critica e un’autocritica complessiva: a un certo punto bisogna tirare le conseguenze del fatto che iniziative pure importanti, che hanno rinsaldato il rapporto tra Cgil e mondo del lavoro, in assenza di una battaglia politica per ricostruire le condizioni per l’unità, si sono rivelate meno efficaci. Il sindacato è una rappresentanza di interessi e deve puntare a ottenere risultati, ed è questo che deve guidare la sua rotta”.

E adesso, dopo il documento e l’iniziativa di via dei Frentani, che cosa succede? È la fase costituente di una nuova corrente nella Cgil oppure no? Megale taglia corto: “L’unico sbocco auspicabile è che questa discussione vada avanti. Non ci sono fronde nella maggioranza o correnti in vista, bisogna aiutare lo sforzo di riposizionamento che Epifani e la Cgil stanno facendo. Ma per farlo è necessario che la discussione non si chiuda prima di venire aperta: si scelgano le modalità, le forme in cui è possibile sviluppare un confronto; non è necessario arrivare per forza a deliberati conclusivi...”.

Meno perentoria è la risposta di Amoretti: “Io mi auguro che possa finire qui. Se il gruppo dirigente si apre a una discussione vera e positiva, staremo nella discussione ognuno con le sue idee: avremmo conseguito lo scopo principale della nostra iniziativa. Certo, anche un maggiore pluralismo nella rappresentanza della maggioranza congressuale non farebbe male: che su dodici componenti della segreteria non ce ne sia uno che sia rappresentativo di queste opinioni, è un problema.

“Se invece non c’è un’apertura, chi si riconosce in questa opinione continuerà la sua battaglia nei modi più convenienti e congrui rispetto allo scopo. Una corrente? Se mi chiedi se la voglio fare, ti rispondo di no. Ma ti rispondo di no anche se mi chiedi di giurare che non la farò mai. Non vorrei fare a “scaricabarile” ma questa decisione è più in mano a chi comanda che a noi. Noi siamo sempre stati in maggioranza, non abbiamo l’animus degli oppositori. Ma se occorre...”.

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