3.03.2005
“Atmosferico e Intersoggettività ”
Si è concluso a Roma l’annuale congresso della Sopsi (Società Italiana di Psicopatologia); di particolare interesse il simposio intitolato “Atmosferico e Intersoggettività ”, organizzato da Carlo Maggini, professore di Psichiatria a Parma, con due mostri sacri della psicopatologia antropofenomenologica: il toscano Arnaldo Ballerini e il romano Bruno Callieri, suo maestro.
Ballerini ha esordito dicendo che l’ “atmosfera”, ciò che “si sente” quasi “a pelle” e “si respira” senza bisogno di palpare, può essere foriera sia di importanti intuizioni sia di illusioni e inganni, tanto per il paziente quanto per il terapeuta. Maggini ha notato come l’area sensoriale orale, legata al gusto e all’olfatto, più di altre in grado di cogliere “le atmosfere”, sia stata a lungo sottovalutata da filosofi (come Kant) e scienziati: eppure il rapporto madre-bambino si nutre soprattutto di odori e sapori.
Ecco perché il grande psicopatologo Tellenbach ha riproposto il tema. Del resto i clinici esperti, al di là del proprio orientamento, avanzano il sospetto diagnostico di schizofrenia, più che per i contenuti proposti dal paziente, proprio sulla base di sensazioni “atmosferiche”: è il cosiddetto sentimento precoce di schizofrenicità . E cos’è la “sintonia” con gli altri e con l’ambiente se non un fatto “atmosferico”?
Ballerini, a sua volta, ha discettato sulla schizofrenia come scacco dell’intersoggettività . L’Altro è presente nella nostra vita in due modi: come co-costitutivo del nostro Sé e nelle relazioni interpersonali. L’Io è sempre, dall’inizio, un Io-mondo, un “essere con”. L’autismo, caratterizzato dall’incapacità di vivere e concepire l’altro e il mondo “con naturalezza”, in modo immediato, pre-riflessivo e antepredicativo, è l’essenza della schizofrenia. Fra la schizofrenia come ideal-tipo, poi, e i singoli pazienti, con le loro manifestazioni particolari, vi deve essere sempre ciò che il filosofo Gadamer definirebbe un circolo ermeneutico: sono i casi particolari a confermare, o smentire, i modelli generali, e sono questi ultimi ad aiutarci a comprendere, o a non comprendere, i primi, in un gioco di rimandi e di interrogativi senza fine.
L’insigne fenomenologo si è infine congedato con un interrogativo (a indicare proprio la circolarità , non oziosa, di certi percorsi del pensiero): viviamo in un mondo comune e condiviso grazie al nostro legame intersoggettivo o il legame intersoggettivo dipende proprio dal fatto di vivere in un mondo comune e condiviso…?
Ha concluso Callieri, confermando di essere, oltre che un maestro, un grande affabulatore. La parola empatia può essere ambigua; ma solo disponendosi all’ascolto e partecipando della sofferenza altrui si può entrare in contatto col paziente. La psicoterapia, al di là delle scuole e degli indirizzi, non può non basarsi, anche qui, su un circolo ermeneutico: il terapeuta interpreta, certo; ma il paziente, a sua volta, interpreta l’interpretazione del terapeuta, e così via: come in una danza interattiva.
Occorrerebbe recuperare, poi, la distinzione, alla quale sono stati dedicati interi trattati e che pure, nel pressappochismo imperante, si è quasi persa, fra senso e significato. Nonostante i progressi delle neuroscienze, ci sarà sempre un fondo oscuro a caratterizzare la sofferenza psichiatrica: è di quel fondo oscuro che devono occuparsi i fenomenologi, pur sapendo di nuotare controcorrente.
Fondo oscuro che non è troppo lontano, probabilmente, e le intuizioni dei mistici del passato lo fanno presagire, dal mistero dell’amore. L’insigne studioso ha quindi ricordato di aver posto l’accento, negli ultimi dieci anni, sulla dimensione narrativa della vita: vivendo, raccontiamo noi stessi. E i nostri racconti, come quelli dei pazienti, sono fatti anche di silenzi: fra una parola e l’altra sono interposti tanti silenzi, che pure dicono molto di noi.
Sollecitato da una domanda, Callieri ha riproposto l’analogia della solitudine con la diastole (durante la quale si accoglie) e dell’isolamento con la sistole (il vuoto): però le due condizioni non sono fra loro del tutto estranee.
L’isolamento, per definizione subìto, non ricercato da chi lo vive, può indurre a scegliere la solitudine, e cioè la riflessione, l’ascolto, il silenzio: è come se chi viene schiaffeggiato decidesse di porgere l’altra guancia. Lo studioso ha concluso dicendo di preferire, fra il cervello e la mente, una terza via: la passione per l’esistenza umana.
Danilo Di Matteo
fonte: http://www.quaderniradicali.it/
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