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Visco. tutta la verità sulla Finanziaria |
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11.10.2006
Come è naturale la legge finanziaria ha suscitato dibattito, interrogativi, critiche, qualcuna anche da sinistra. Molti cittadini si sono messi a calcolare il proprio interesse personale. Altri, soprattutto imprenditori, sindacalisti, politici, amministratori, si sono fermati a ragionare su questo o quel punto della manovra. È normale e legittimo. Ma è anche importante che nella discussione non si perdano di vista il disegno generale, le condizioni in cui ci troviamo a operare, la necessità di riprendere la via del risanamento e nello stesso tempo di dare una spinta allo sviluppo e di fare i primi passi per un riequilibrio dell´equità .
Le condizioni del Paese sono precarie e critiche. I problemi sono strutturali. L'Italia non cresce, la produttività è stagnante, le classifiche di competitività la collocano agli ultimi posti, è il Paese in cui i livelli di povertà sono nettamente superiori alla media europea, la distribuzione del reddito e della ricchezza è più disuguale, la mobilità sociale maggiormente ostacolata dalle corporazioni e dal privilegio. Mentre nel 2000 il Prodotto interno lordo pro-capite superava e non di poco quello medio europeo, oggi è inferiore alla media europea. In sostanza, anche se la consapevolezza fatica a farsi strada, l'Italia corre un rischio serio di declino e di declassamento. È in questo contesto che si colloca e va valutata la manovra economica. Oggi chi ha la responsabilità di governo deve affrontare prove del fuoco ogni giorno. Appena insediati abbiamo scoperto che erano finiti i denari per tenere aperti i cantieri delle opere pubbliche. La destra aveva scientificamente finanziato quelle opere fino a qualche settimana dopo le elezioni, nella consapevolezza di lasciare il crollo successivo sulle spalle di altri. Non era l'unica pillola avvelenata. Ne abbiamo trovate altre, come dimostra la storia della detraibilità dell'Iva sulle auto, costata miliardi. In uno spettacolo televisivo potrebbero essere scherzi divertenti. Ma non siamo in uno show. La realtà è un'altra cosa. Lo sa bene chi le difficoltà della vita deve affrontarle ogni giorno con i pochi mezzi che ha a disposizione, in una società sempre meno solidale, dove gli ultimi anni sono stati spesi lasciando correre senza freni la spesa pubblica e dove è avvenuta anche attraverso questa strada - ecco un'altra cosa da non dimenticare - una clamorosa redistribuzione del reddito sotto forma di facili arricchimenti, di speculazioni immobiliari, di crescita illimitata di patrimoni mobiliari e possibilità di evadere o di chiudere con pochi euro, grazie ai condoni, il rapporto con il fisco. Una ricchezza gigantesca è stata spesa, sprecata, ma anche ridistribuita.
Quello che ci troviamo di fronte oggi è un Paese debole e socialmente spappolato, dove i giovani stentano a trovare un lavoro che non sia precario, i figli delle famiglie meno abbienti partono con svantaggi enormi, la formazione fa acqua, le grandi imprese tranne poche eccezioni prosperano solo nei settori della rendita e gli investimenti privati e pubblici nella ricerca e nell'innovazione sono ridotti al lumicino. In questo contesto resta naturalmente giusto che ciascun cittadino faccia i propri conti rispetto alle norme della finanziaria. È giusto che ciascuno esprima liberamente le proprie critiche e affondi pure la lama. Ma forse non sarebbe sbagliato aspettarsi dalla classe dirigente una risposta più attenta agli interessi generali del paese, della collettività , che a quelli dei singoli.
Da qui qualche riflessione che desidero condividere con i lettori de l´Unità .
1. Dopo cinque anni di governo della destra sono rimaste macerie. Non è detto che un governo di destra governi per forza male. Ma la destra italiana si è dimostrata una specialista in questa operazione. A testimonianza che sapevano bene di aver già superato la linea, Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti avevano già dovuto trovare un accordo con la Commissione europea sulla necessità di rientrare nei parametri di Maastricht. Ma alla luce dei dati reali l'eredità è apparsa ben più pesante. Di fatto, sono stati azzerati gli sforzi di oltre dieci anni di risanamento. Negli anni Ottanta, con i governi pentapartito, il debito pubblico era raddoppiato. Negli anni Novanta, dopo il rischio del fallimento dell'intero Paese, fu avviata ad opera dei governi di centrosinistra una faticosa opera di risanamento e rilancio. Ora siamo daccapo. Anzi peggio, perché molte delle risorse che potevano essere utilizzate sono state bruciate. E il debito pubblico (oltre 67 miliardi di euro l'anno li spendiamo di interessi) impegna risorse che vengono sottratte ad impieghi più positivi.
2. Nell'ambito di un contesto già così deteriorato, il governo Prodi si è trovato ad affrontare l'emergenza di inizio estate. Abbiamo risposto con il decreto di luglio che ha aperto le porte alle liberalizzazioni e alle prime, concrete misure contro l'evasione fiscale. Sono state trovare risorse aggiuntive e strutturali per quasi 6 miliardi di euro l'anno. Ma non era giusto fermarsi. Il progetto del centrosinistra è di avviare - di nuovo -un difficile risanamento della finanza pubblica, ma anche di spingere il paese ad accrescere la produttività . Il rischio di restare spiazzati in un mondo in cui si affacciano nuovi protagonisti è forte. Bisogna reagire, senza cedere all'idea di chiudersi. E non basta. Un governo di centrosinistra non poteva avviare un'operazione del genere senza dare un sostegno alle tante famiglie che non arrivano alla fine del mese, cominciando naturalmente ad operare con le risorse a disposizione.
3. Per la parte che riguarda il fisco, con la manovra finanziaria per il 2007 il governo ha restituito gran parte delle nuove entrate sotto forma di redistribuzione verso i redditi più bassi (riforma aliquote e scaglioni dell'Irpef, detrazioni di imposta, cioè tagli, per carichi da lavoro, detrazioni di imposta per carichi di famiglia, più assegni familiari), di finanziamento dello sviluppo e di iniziative sociali (riduzione del costo del lavoro e del peso del fisco sugli stipendi, pacchetto energia, detrazione per gli investimenti nel Sud, sgravi per commercio, sgravi per gli affitti dei giovani universitari fuori sede, delle assunzioni delle donne nel Sud, per l'acquisto dei computer da parte degli insegnanti o per l'attività sportiva dei ragazzi...). Di fatto, l'aumento netto si aggira intorno ai 4 miliardi di euro, se si tiene conto della riduzione dell'Irap per le imprese decisa per abbassare il costo del lavoro (cuneo fiscale), ed è rappresentato da una parte degli altri 8 miliardi di euro di nuove entrate derivati da ulteriori misure contro l'evasione fiscale e dalla rivisitazione degli studi di settore per gli autonomi.
4. La maggioranza aveva dichiarato nel programma che avrebbe, a parità di gettito, ridistribuito il reddito verso il basso, che avrebbe sostenuto la famiglia e i figli, che avrebbe sostenuto i redditi dei pensionati. Non solo. Molti suoi rappresentanti, a cominciare dai ministri e dallo stesso presidente Prodi, avevano criticato le storture introdotte con il secondo modulo della riforma Tremonti. Con la riforma dell'Irpef sono stati cambiati aliquote, scaglioni di reddito, detrazioni per lavoro e detrazioni per famiglia, assegni familiari. Per finanziare questa operazione sono stati impegnati oltre 7 miliardi di euro, anche di più di quanto era costato il secondo modulo di Tremonti. L'effetto finale va visto tutto insieme, senza limitare il ragionamento alle sole aliquote o alle sole detrazioni, altrimenti si fanno esempi stralunati come quelli visti in alcune edizioni dei tg del servizio pubblico o nei giochini di siti di informazione consultati da milioni di utenti dove c'è scritto "calcola il tuo reddito" e poi, in una nota in corpo 6 si aggiunge che non ci sono gli assegni familiari, che sono invece una parte fondamentale della riforma.
La verità è che i redditi più bassi sono stati alleviati. Il reddito minimo sul quale non si pagheranno le tasse è aumentato per i pensionati da 7.000 a 7.500, livello attuale dei lavoratori attivi. Per i dipendenti è passato da 7.500 a 8.000 euro l'anno. Per gli autonomi da 4.000 a 4.800. E non solo. Basti pensare che un lavoratore con coniuge e due figli a carica e con 21.500 euro di reddito lordo l'anno, che equivalgono a uno stipendio netto di 1.468 euro netti al mese per 13 mensilità guadagnerà 61 euro netti al mese in più. Con un reddito di 25.000 euro lordi l'anno e cioè uno stipendio netto di 1.651 euro netti al mese per 13 mensilità guadagnerà 52 euro netti al mese in più. Con 28 mila euro lordi di reddito guadagnerà 41 euro netti al mese in più. Non sono figure marginali. La gran parte dei lavoratori dipendenti, ma anche molti lavoratori autonomi che hanno piccole attività , si trovano in queste condizioni. Gli assegni familiari, in questa manovra, sono stati aumentati di 1.400 milioni di euro proprio per sostenere di più le famiglie numerose. Degli oltre 7 miliardi destinati alla riforma dell'Irpef, oltre la metà sono stati impegnati sui lavoratori dipendenti, in modo da raggiungere il risultato di una riduzione media di 2 punti del cosiddetto cuneo fiscale, cioè la differenza tra retribuzione lorda e paga netta. E consistenti risorse sono state dedicate all'interno della manovra dell'Irpef ai pensionati.
5. Con le entrate aggiuntive diverse dall'Irpef (che vista nel suo insieme non fornisce gettito aggiuntivo) è stato inoltre finanziata la parte della manovra destinata a promuovere più sviluppo e più lavoro. La riduzione del cuneo fiscale per le imprese è stata ottenuta abbattendo il peso dell'Irap per ognuno dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, in modo da tagliare il costo del lavoro per le aziende ma anche di spingerle a stabilizzare l'occupazione.
Le detrazioni per gli investimenti al Sud. Gli sgravi per il pacchetto energia presentato dal collega Bersani (dai pannelli solari ai macchinari per le imprese). Le altre agevolazioni fiscali. Tutto va visto insieme: il decreto di luglio, i provvedimenti di Bersani per la politica industriale, la manovra economica per il 2007. Senza dimenticare la lotta all'evasione fiscale. Dei circa 6 miliardi relativi al decreto di luglio ben 5 derivano da misure contro l'evasione e l'elusione fiscale e altri 8 con la legge finanziaria e i provvedimenti collegati. Si tratta di un punto di Pil di imposte evase o eluse e che nel 2007 contiamo di far emergere e incassare.
6. È poco? Il governo ha già messo nel conto ulteriori passi, a cominciare dalle riforme strutturali destinare ad eliminare gli sprechi nella spesa pubblica. Con i sindacati si discuterà di previdenza. Sulla sanità è cominciato un percorso. Con i comuni è in corso un difficile confronto, che tuttavia non può e non deve finire senza il cambiamento dei meccanismi di spesa, che devono essere rinnovati a livello centrale ma anche in periferia. Non sarà facile. Ci vogliono determinazione e tempo. È necessario per esempio riuscire a rendere trasparente ogni spesa, sapere chi la fa, dove finisce, a che cosa serve. Bisogna riorganizzare la Pubblica Amministrazione e fare in modo di avere tutte le informazioni in rete. Non possiamo più accettare che si conosca la reale portata di spese e entrate, centrali e periferiche, con settimane se non mesi di ritardo. È il passaggio decisivo per individuare gli sprechi e parlare di riforma della spesa pubblica senza ridursi a discutere solo degli «aumenti» che ogni anno i dirigenti tecnici dei diversi dicasteri portano come proposta ai ministri. Senza questo passaggio continueremo ad essere ostaggio di una logica da anni Ottanta, delle solite ricette sui tagli alla spesa sociale.
Ma decisiva sarà altrettanto la crescita dell'efficienza dell'amministrazione nel far emergere l'enorme fetta di evasione che frena come una palla al piede il nostro paese, crea un clima di concorrenza zoppa a favore dei disonesti, scoraggia coloro che vorrebbero competere rispettando le regole: uno sforzo che abbiamo cominciato a fare e i cui frutti serviranno per alleviare poi il peso della pressione fiscale sugli onesti.
7. Quello che dobbiamo fare, insomma, è un cammino che tiene tutto insieme. E che non è affatto facile da compiere nella situazione data, anche se l'economia mostra di essere in leggera ripresa. All'Italia, se davvero vuole evitare un lento declino, questo livello di crescita non basta. Non è sufficiente per garantire alle imprese un futuro sicuro. Non è sufficiente per assicurare ai giovani, ma non solo, che sia possibile stabilizzare e anzi aumentare l'occupazione. Se la crescita resta stentata e non si affronta il problema del debito pubblico, con gli interessi da pagare per gli errori del passato, poche saranno le risorse da destinare all'investimento, all'equità , alle infrastrutture, al miglioramento dei servizi. È un problema di tutti e per tutti. Tutti insieme dobbiamo rimetterci in gioco, dunque, ciascuno per la propria parte, anche affrontando percorsi difficili. L'esempio, come è ovvio, deve venire dalla tolda di comando: da coloro che oggi hanno l'ambizione, l'orgoglio, ma anche la responsabilità di essere la classe dirigente. E tutti, proprio tutti, devono dare il proprio contributo, fare la propria parte.
da www.unita.it
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