Il mio ricordo di padre David Maria Turoldo (1916-1992) non attinge a specifiche competenze teologiche o letterarie ma all’amicizia fraterna che mi ha legato per tanti anni a lui. Leggo ancora con emozione quello che mi scrisse in due suoi libri: «A te, don Luigi, fratello mio, per la gioia di pregare e cantare insieme» e «A don Luigi per ricordare, con i salmi, il nostro dramma gioioso di credere».
Senza nessuna pretesa vorrei sommessamente condividere un ricordo che nasce appunto da quella amicizia con padre David che non posso non riconoscere come uno dei doni più belli ricevuti nella mia vita. Anche perché Turoldo all’amicizia ci credeva e ne aveva tanta fame e la donava con tanta generosità . Ne parlava come di un «sacramento», una realtà santa e santificante.
Sottoscrivo senza esitare quanto ha scritto il suo amico Carlo Maria Martini: «Vorrei ricordare che era un amico e una persona capace di amicizia. Me ne accorsi quando mi vidi amico suo gratuitamente, senza che avessi fatto nulla per lui. La forza della sua amicizia era davvero prorompente, coinvolgente perché perfettamente gratuita, semplice, ingenua quasi». Lo stesso dicasi per la testimonianza dell’amico Ermes Ronchi: «Incontrandolo, avevamo tutti l’impressione di essere per lui degli amici unici, speciali, tanta era la sua capacità di essere totalmente presente e attento e cordiale verso ciascuno».
Un’amicizia, quella con Turoldo, ricca di comunicazione sempre su temi vitali, di urgente attualità , importanti, difficili: la Parola di Dio, la preghiera, in quale Dio credere, il Concilio, la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato, vivere liberi e fedeli, i poveri, gli ultimi, la poesia, una chiesa credibile e paese dell’amicizia, la sofferenza, la morte, l’ecumenismo, una politica per l’uomo… Una comunicazione profonda, esigente, appassionata, talora impetuosa e irruente. Mai banale, pettegola, superficiale, ovvia, scontata, clericale, curiale.
Turoldo non può essere ricordato con un solo aggettivo, ce ne vogliono sempre almeno tre: uomo-pretepoeta; amico-testimone-profeta; fedele-libero-inquieto. Questo per non dimenticarci che siamo di fronte ad una persona straripante che non è possibile «sistemare e catalogare» entro schemi prefabbricati.
L’opera che ci ha lasciato è vasta e complessa anche se prevale la poesia ed è tutta abitata dalla poesia.
Carlo Bo ha scritto: «Padre David ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede gli ha imposto di cantarla tutti i giorni». E padre David ha obbedito al suo Dio, che è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Davide, Isaia, di Amos, di Gesù, di Maria.
Per Turoldo la poesia è: «tentare di dire l’indicibile - espressione di verità e bellezza - è conoscenza che si fa amore - è il momento più necessario dell’anima - è la cosa più gratuita del mondo - senza poesia non si vive - la poesia è salvezza - non muore mai - la voce del poeta autentico non è mai la voce di un conformista, è sempre voce che rompe, conquista di ciò che vale - il poeta è un uomo di pace e di rottura insieme - poesia è fare il giornale dell’anima».
Oggi, a quasi quindici anni dalla morte, mi pare che il ricordo di Turoldo può assumere due modalità :
1. alla sua vita e alla sua opera si può guardare come ad una «eredità » da custodire e/o da consumare;
2. oppure come ad una «memoria» da continuare non in modo ripetitivo ma in modo «fedele e libero» che sono i due tratti che connotano il volto più vero di padre Turoldo.
Chi sceglie la prima modalità , certamente fa la scelta più facile, ma rischia di separare l’opera della persona e quindi di privarsi della chiave di lettura e di interpretazione più feconda dell’opera stessa e alla fine, anche senza accorgersene e senza volerlo, può arrivare a «usare» l’opera per finalità che sono in contraddizione con chi l’opera l’ha concepita a partorita quasi sempre nel dolore… anche se dopo il parto sopraggiunge la gioia per aver dato la vita ad una creatura.
A chi fa la scelta, indubbiamente più difficile, di continuarne la memoria in modo «fedele e libero», vorrei, sempre molto sommessamente, rammentargli che si tratta della memoria di un profeta del nostro tempo. Cioè di uno che «giudica il presente perché si apra ad un futuro migliore». Un mestiere, quello del profeta, arduo e da non invidiare, come diceva Turoldo, perché costa sangue.
Mi piace terminare questo breve ricordo dell’amico padre David Maria Turoldo con un frammento di una sua lettera scritta agli amici per il tempo di Avvento: «Cari Amici, in Avvento, io ricomincio sempre a sperare.
Avvento, il tempo di attesa, tempo del desiderio. E magari avvenisse qualcosa; magari la terra scoppiasse!
Non perché la terra non sia bella, e che così non si può vivere. Appunto, tempo di attesa per la nuova umanità , per un’altra storia».
Ecco chi è padre Turoldo: un uomo, un credente, un amico che ri-comincia sempre a sperare, che non smette di attendere, che non si libera dalla fatica di pensare, cercare, desiderare, che coltiva il sogno di una rivoluzione cosmica, che non perde mai la capacità di discernere il bello antico da conservare e si apre con tutta l’anima alla umanità nuova, a cieli e terra nuovi e spende tutte le sue energie perché la storia cambi, sia altra.
Ecco allora che cosa vuol dire per me continuare in modo «libero e fedele» la memoria di Turoldo: ri-cominciare sempre a sperare anche oggi quando «le speranze non hanno più voce», «la notte è avanzata» e dire ai poveri di «sperare ancora» e cantare «nostra speranza è Cristo che torna», «nonostante » il freddo delle liturgie… nonostante il deserto dei templi», «nonostante le tante, troppe brutte notizie che ci aggrediscono ogni giorno.
Luigi Adami, parroco di Colognola ai Colli, Verona