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PD: il coraggio di cambiare per cambiare l'Italia (P. Fassino)
17.09.2007
Discorso conclusivo di Piero Fassino alla Festa nazionale de l’Unità di Bologna - 16 settembre 2007

Care compagne, cari compagni, cari amici, grazie!

Grazie di essere qui così tanti e così appassionati.

Grazie alle compagne e ai compagni di Bologna e un grazie di cuore ai tanti volontari che con generosità, passione, dedizione ci hanno regalato una bellissima Festa nazionale de L’Unità.

E con loro ringrazio idealmente tutte le compagne e i compagni che anche quest’anno ci hanno consentito di realizzare quasi 4000 feste in tutta Italia.

Così come un ringraziamento voglio rivolgere a Bologna, città simbolo della sinistra e dell’Ulivo. La città di Romano Prodi. E ai bolognesi e al loro Sindaco Sergio Cofferati dico grazie per l’accoglienza ospitale con cui hanno aperto la città ad una grande moltitudine di visitatori provenienti da ogni parte d’Italia.

Un grazie ai tanti ospiti italiani e stranieri che con la loro presenza hanno arricchito la nostra Festa.

E un grazie ai giornalisti e agli operatori dell’informazione per l’attenzione con cui ci hanno seguito e un ringraziamento affettuoso all’Unità, alla sua redazione della Festa e agli amici di Iride TV che ogni giorno hanno fatto arrivare la nostra voce nelle case di centinaia di migliaia di famiglie.

Qui, care compagne e cari compagni, abbiamo avuto l’ennesima conferma di quanto prezioso sia il contributo delle Feste de L’Unità alla vita democratica del nostro Paese.

Sì, perché le Feste sono ogni anno il più grande appuntamento di milioni di italiani con la politica, come dimostra il fatto che un italiano su tre visita una delle nostre 4000 Feste.

Le Feste sono la rappresentazione fisica di una politica vissuta come impegno civile e passione politica.

Le Feste sono uno strumento di autofinanziamento che dimostra che i costi della politica possono essere sostenuti in modo trasparente e pulito.

Le Feste sono luogo di confronto aperto e libero a cui partecipano esponenti della politica e della società italiana e dove esponenti di partiti e di schieramenti opposti possono discutere da avversari leali e non da nemici.

Feste che non abbiamo mai considerato come appuntamenti del solo nostro partito. Le abbiamo sempre pensate, organizzate, vissute come uno strumento della democrazia e della partecipazione. Tant’è che in questi anni le Feste dell’Unità sono state anche Feste dell’Ulivo.

E questa nostra Festa nazionale dell’Unità è anche già una grande Festa di quel Partito Democratico che insieme a tanti italiani stiamo costruendo e vedrà la luce il 14 ottobre.

Ed è significativo che dai Segretari dei DS e della Margherita di Firenze – un’altra città simbolo della sinistra, dell’Ulivo, del centrosinistra – sia venuta la proposta di tenere nel 2008 nel capoluogo toscano la prima Festa nazionale del Partito Democratico.

Vedete, quando si lascia la vecchia casa per la nuova si sceglie l’inutile da buttare e il buono da tenere. Ebbene tra le cose buone che noi porteremo nel Partito Democratico ci sono le Feste dell’Unità.

Sì, cari compagni, non abbiate dubbi: le Feste continueranno ad esserci e saranno anche per il Partito Democratico un formidabile strumento di rapporto con i cittadini.

* * * * *

Vedete, sono partito di qui, perché non sfugge a nessuno il malessere diffuso con cui una parte larga di italiani guarda oggi alla politica.

Quando un libro che denuncia i guasti dei partiti e delle istituzioni pubbliche vende quasi 1 milione di copie, quando migliaia di persone – come è accaduto sabato scorso – manifestano il loro disagio in tante piazze italiane, l’errore peggiore che si può fare è volgere lo sguardo altrove.

Tanto più quando in quelle piazze sono accorsi tanti elettori di centrosinistra e moltissimi giovani. Non, dunque, persone ostili alla politica in quanto tale, ma anzi spesso impegnati nella azione sindacale, nel volontariato sociale e anche nella militanza di partito.

Certo, non è mandando “a quel paese” i partiti che si salva l’Italia.

Né la risposta al disagio dei cittadini può venire dalle caricature demagogiche e dalle denigrazioni populistiche con cui si descrive la politica e chi la fa.

La politica è anche quella cosa “che può riempire degnamente una vita” come diceva Enrico Berlinguer, il cui ricordo continua a vivere nel cuore di milioni di donne e di uomini proprio come il simbolo di una politica fondata su etica della responsabilità, rigore morale, passione civile.

A Beppe Grillo che dichiara di voler distruggere i partiti vorrei dire di guardare a questa Festa, alle tante donne e uomini che l’hanno costruita e l’hanno gestita con dedizione, sacrificio personale, generosità.

Né può essere svilito e disprezzato l’impegno quotidiano e disinteressato di tanti che ogni giorno dedicano una parte del loro tempo e le loro migliori energie a fare politica nei quartieri, nelle fabbriche, nelle scuole, nella società.

Senza questa gente e la passione che li muove la democrazia italiana sarebbe più debole.

Così come non si può ridurre il ruolo delle istituzioni ad una somma di sprechi e privilegi, quando ogni giorno migliaia di sindaci, di amministratori regionali e locali spendono le loro migliori capacità per rispondere alle attese dei cittadini.

C’è una politica pulita in Italia e noi sentiamo il dovere di metterla al servizio del Paese, non per un orgoglio di partito, ma perché il giorno in cui ogni forma di partecipazione democratica e di organizzazione politica fosse distrutta, a prevalere e a comandare sarebbero poteri più opachi, meno legittimati, meno controllabili. E certamente espressione assai più di interessi particolari che dell’interesse generale del Paese.

E tuttavia non deve sfuggirci che dietro quell’umore antipolitico ci sono inquietudini e febbri che corrono sotto la pelle della società italiana.

L’ansia di molte famiglie per il futuro dei figli, esposti al rischio di una permanente precarietà.

L’inquietudine per il venir meno di certezze di vita – il lavoro, il reddito – fino a ieri assai più sicure e scontate.

La paura che la propria sicurezza quotidiana sia insidiata e a rischio.

Il senso di incertezza che suscitano fenomeni – pensiamo all’immigrazione – di fronte ai quali prevale la diffidenza.

L’indignazione nel vedere il merito, la capacità, la fatica dello studio travolti da concorsi truccati, appalti guidati, assunzioni di favore.

La delusione verso una politica che abusa della parola “riforme” e che, dopo la crisi di tangentopoli, non è riuscita a dare agli italiani né istituzioni efficaci, né una politica nuova.

Il fastidio verso uno Stato percepito come inefficiente e invasivo e verso l’arroganza di pubbliche amministrazioni che riducono il cittadino a suddito.

L’insofferenza verso un sistema fiscale vissuto – soprattutto da ceti di medio reddito – come oppressivo e oneroso, tanto più a fronte di servizi non sempre efficienti e adeguati.

Inquietudini e paure che si trasformano in protesta e rabbia quando la politica appare lontana, sorda, indifferente.

Inquietudini e paure di una società che vede ridursi i legami di solidarietà, il senso di appartenenza, il sentirsi parte di una nazione e del suo destino.

C’è questo e molto altro dietro questa ostilità alla politica e ai partiti, che peraltro non è un fenomeno nuovo in Italia e ancora nelle elezioni amministrative della primavera scorsa si è tradotta in un accentuato astensionismo, riducendo i consensi non solo di chi governa, ma anche di chi sta all’opposizione.

Né questa è la sola manifestazione di disaffezione di cui essere preoccupati.

Quelle 500 persone che, sole e nell’indifferenza, hanno manifestato per Lirio Abate a Palermo, nella città di Falcone e Borsellino, dove scrivere di mafia può ancora costarti la vita, sono il segnale inquietante di una società smarrita e sfiduciata.

Sì, c’è una domanda di certezze, di sicurezza, di fiducia, di speranza che la politica ha il dovere di raccogliere. E dobbiamo farlo noi proprio perché portatori di una visione della politica fondata sul disinteresse personale, sul prevalere degli interessi collettivi, sul primato dei cittadini dei loro diritti.

Per questo sentiamo la necessità di raccogliere quel disagio e di riprendere con forza un impegno per moralizzare la vita pubblica e liberare la politica da privilegi, sprechi, parassitismi.

E chiediamo ai partiti – e dunque anche a noi stessi – di agire e dare corso subito atti coerenti e visibili di moralizzazione.

Si dia applicazione all’articolo 49 della Costituzione disciplinando la vita dei partiti e rendendo trasparente e controllabile il finanziamento della politica.

Si stabilisca che i Consigli di amministrazione di Enti pubblici statali e locali siano composti da non più di 5 membri, ponendo fine a nomine pletoriche fondate su spartizioni e lottizzazioni.

Si adottino criteri di nomina negli enti pubblici fondati su competenza e professionalità, prevedendo forme di accertamento e di verifica dell’attività svolta.

Si metta finalmente mano alle riforme della RAI, restituendo a questa azienda autonomia e efficienza.

Si adottino criteri rigorosi per il ricorso a consulenze esterne nelle pubbliche amministrazioni.

Si torni a fare – proprio in occasione della Legge Finanziaria –un nuovo censimento degli enti che usufruiscono di contributi pubblici, sopprimendo quelli inutili.

Le Regioni italiane revochino l’aumento inutile di consiglieri regionali adottato in questi anni e dal 2010 si torni alle dimensioni della precedente legislatura.

Si riduca il numero dei parlamentari e si armonizzino agli standard europei indennità e pensioni di parlamentari e amministratori, abolendo la selva di privilegi e condizioni di favore per chi ha incarichi pubblici.

Come si vede le proposte non mancano.

Quel che serve è determinazione e volontà.

Chiediamo a Governo e Parlamento di esaminare e adottare queste nostre proposte, così come chiediamo ai nostri Presidenti di Regione e di Provincia, ai nostri Sindaci – per le competenze che ciascuno ha – di assumere, senza reticenze e ambiguità, misure che ripristinino la fiducia dei cittadini.

E di qui propongo che l’Assemblea Costituente del Partito Democratico che sarà eletta il 14 ottobre adotti già nella sua prima seduta regole e norme di comportamento vincolanti per tutti i suoi dirigenti ed esponenti istituzionali.

Soprattutto chi ricopre incarichi politici, istituzionali e pubblici ispiri la propria condotta non solo al rispetto formale delle leggi, ma anche alla sobrietà dei comportamenti e al rispetto dell’etica pubblica.

Un uomo politico ricordi che la sua credibilità deriva dall’essere come gli altri: andare allo stadio o al cinema pagando il biglietto, fare la fila alle casse del supermercato, accompagnare i figli a scuola con la propria auto, prenotare le analisi allo sportello come un cittadino normale.

Vogliamo il Partito Democratico per cambiare la politica. E la prima regola deve essere trasparenza, rigore, moralità.

* * * * *

Ristabilire un rapporto di fiducia e credibilità è tanto più necessario oggi nel momento in cui il Governo è impegnato nel fare uscire l’Italia dalla stagnazione economica e dalla marginalità politica in cui l’aveva sospinta il centro destra.

E il bilancio di questi primi 15 mesi di governo ci dice che le cose stanno cambiando.

Anzi, stanno cambiando più di quanto non si creda e non si dica.

Abbiamo restituito ruolo e credito internazionale al nostro Paese, come dimostra l’azione che stiamo svolgendo in Libano e in Medio Oriente, perché si riprenda un cammino di pace in cui possano riconoscersi israeliani e palestinesi. E come dimostra l’iniziativa assunta dal nostro Governo – e fatta propria dall’Unione Europea – per la moratoria di tutte le condanne a morte.

Abbiamo restituito all’Europa un’Italia europeista, come testimonia il contributo che il nostro Paese sta dando a far uscire il processo di integrazione europea dalla crisi innescata dai referendum di Francia e Olanda.

Abbiamo scongiurato il rischio di declino economico a cui il nostro Paese era esposto con la crescita 0 e l’emergenza critica dei conti pubblici di un anno fa è stata superata: il 2007 si concluderà con un deficit ridotto dal 4 al 2,5%, con un debito pubblico in discesa, con un avanzo primario che passa da 0 a 2,5, con un aumento della crescita vicino al 2% nonostante le turbolenze dei mercati finanziari internazionali.

L’economia tira – a partire dalle esportazioni in netta ripresa su tutti i mercati – e il sistema produttivo ha acquisito maggiore competitività e qualità tecnologica.

Certo, la ripresa italiana ha beneficiato di una congiuntura internazionale favorevole. Ma è merito del governo aver messo in campo una politica economica e della finanza pubblica che ha consentito alle imprese di agganciare la ripresa e di sostenerne la competitività.

La riduzione del cuneo fiscale, le liberalizzazioni, l’avvio di una seria programmazione energetica, le risorse pubbliche stanziate per innovazione e ricerca, il sostegno a una più ampia internazionalizzazione: sono scelte che questo governo ha attivato con la Finanziaria dell’anno scorso, che allora apparve a tanti inutilmente onerosa e troppo ambiziosa, e oggi si può ben riconoscere è stata lucida e efficace.

E se tra qualche settimana il Ministro Padoa Schioppa potrà presentare una Finanziaria 2008 più leggera, che, sostenendo la competitività e investimenti e proseguendo il risanamento dei conti pubblici, potrà comprendere meno tasse, ebbene ciò è il risultato dell’azione di questo primo anno di governo.

Così come va ricordato il contributo decisivo dato da Regione e Enti locali a un’azione di contenimento e riqualificazione della spesa pubblica – a partire dalla sanità – azione che dovrà proseguire anche nel 2008 sulla base di un’intesa delle Autonomie locali che chiediamo al Governo di raggiungere già nei prossimi giorni.

Né possono essere dimenticati i risultati importanti realizzati nella lotta all’evasione fiscale, che hanno consentito di realizzare quell’incremento di entrate, essenziale per avviare adesso riduzioni fiscali a vantaggio di imprese e famiglie. Confermando così che far pagare tutti è la condizione perché ciascuno paghi di meno.

Nel realizzare questa politica non abbiamo eluso scelte difficili, come il negoziato con le parti sociali che ha portato ad un accordo su pensioni, lavoro e welfare che rappresenta la più importante intesa sottoscritta dal ’93 ad oggi.

Con quell’accordo, infatti, si porta a compimento il lungo percorso della riforma delle pensioni, superando lo scalone senza rinunciare a innalzare in modo equo l’età pensionabile e dando finalmente certezze previdenziali ai giovani, prima di tutto a quelli occupati in lavori discontinui e temporanei.

In quell’accordo c’è un primo aumento delle pensioni basse che consentirà a ottobre a tantissimi anziani di ricevere una quattordicesima mensilità.

In quell’accordo ci sono le risorse e le scelte per realizzare un sistema moderno di ammortizzatori sociali necessari per combattere la precarietà del lavoro. I contratti a termine, oggi senza limiti, potranno essere rinnovati per non più di tre anni. E per la prima volta si mette in campo un pacchetto organico di misure a favore dei giovani e del loro futuro.

Insomma: un accordo non solo per i padri, ma anche per i figli.

Per questo non si comprende il rifiuto manifestato da alcuni settori politici e sindacali.

In ogni materia trattata nell’accordo di luglio, infatti, si realizzano condizioni di maggiore certezza ed efficacia rispetto alle norme di oggi.

Per queste ragioni, anche da questa nostra Festa vogliamo manifestare sostegno alla scelta di CGIL – CISL – UIL di sottoscrivere quell’accordo e rivolgiamo un appello a tutti i lavoratori italiani ad approvarlo nella consultazione che i sindacati realizzeranno nelle prossime settimane.

Innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni, avvio della stabilizzazione di migliaia di insegnanti precari, sottoscrizione dei contratti del pubblico impiego, protocollo per la modernizzazione delle pubbliche amministrazioni, piano per la sicurezza sul lavoro, sono altrettanti tasselli di una politica che mira a tenere insieme crescita e diritti, innovazione e tutele.

Nè minore impegno il Governo ha profuso sul fronte strategico delle infrastrutture, dove si è sbloccata un’opera di grande rilievo come la TAV in Val di Susa e si sono incrementate le risorse per la modernizzazione del Paese.

Insomma: il Governo c’è, governa e sta guidando l’Italia verso una stagione di crescita.

Non c’è in questo nessun trionfalismo.

Sappiamo quanti problemi gli italiani incontrano nella loro vita quotidiana. E sappiamo bene che l’azione di governo deve essere migliorata, resa più rapida, più efficace e più comprensibile.

Ma certo noi non diremo mai alle casalinghe preoccupate per il rialzo dei prezzi che non sanno fare la spesa come mamma Rosa, né gli rimprovereremo – come fece Berlusconi – di spendere i soldi per la ricarica del cellulare anziché comprare le zucchine, né diremmo ad un giovane che non riesce a trovare un lavoro perchè non ha voglia di lavorare.

Noi vogliamo partire dai bisogni dei cittadini e sentiamo la responsabilità di offrire a ciascuno la possibilità di mettere a frutto le proprie capacità e la propria voglia di fare e così soddisfare le proprie aspirazioni di vita.

* * * * *

E, tuttavia, sappiamo che in una parte della società italiana la percezione del Governo e della sua maggioranza è spesso di un centrosinistra in affanno, fragile, a rischio di crisi.

Pesa certamente la esiguità della maggioranza al Senato che ogni volta fa temere che un provvedimento annunciato non venga approvato, anche se in realtà in 15 mesi di legislatura ciò è accaduto una sola volta.

Pesa la eterogeneità della coalizione – 14 partiti in Parlamento, 11 nel Governo – resa più evidente da quotidiane distinzioni, non comprensibili all’opinione pubblica e spesso enfatizzate oltre ogni misura dal sistema dei media.

Pesa il fatto che anche quando decisioni giuste sono annunciate, i tempi della loro adozione concreta appaiono comunque incerti e lunghi.

E pesa il clima di contrapposizione frontale con cui quotidianamente il centrodestra avvelena la politica, offrendo ai cittadini l’immagine di una rissa permanente di tutti contro tutti, come accade in questi giorni sulla RAI di fronte ad una nomina indiscutibile per qualità, competenza e indipendenza.

Un’opposizione che fino ad oggi non si è mai proposta come alternativa di governo, ma continua ad inseguire – peraltro velleitariamente – l’illusione di una rivincita elettorale e a tentare spallate che regolarmente non ottengono lo sfondamento voluto.

Insomma: la politica appare ai cittadini debole e meno credibile, favorendo così il diffondersi di un sentimento di sfiducia.

E’ anche partendo da questo scenario che avvertiamo la necessità di rilanciare un’azione per realizzare quelle riforme istituzionali, di cui da troppo tempo si parla e che, tuttavia, sono davvero ineludibili e necessarie per restituire efficienza e credibilità alla politica.

Passare, ad esempio, dall’attuale sistema bicamerale ad un’unica Camera legislativa potrà dimezzare i tempi di approvazione delle leggi.

Istituire al posto dell’attuale Senato – che replica esattamente le stesse funzioni della Camera – una Assemblea parlamentare delle Autonomie Regionali potrà consentire di avere una sede istituzionale per regolare le relazioni Stato-Regioni-Enti Locali.

Realizzare il federalismo fiscale significa raccogliere una domanda diffusa – soprattutto al nord – di autogoverno e realizzare un rapporto più trasparente e diretto tra cittadini e istituzioni.

Ridurre il ricorso alle leggi per adottare strumenti amministrativi più rapidi e flessibili è decisivo perché le decisioni siano più rapide e incisive.

Semplificare drasticamente gli adempimenti burocratici richiesti ai cittadini, facendo leva invece sulla responsabilità individuale – come con autocertificazioni e silenzio-assenso – potrà accelerare tantissime attività.

E serve al Paese una nuova legge elettorale che consenta non solo di vincere le elezioni, ma a chi le vince anche di governare.

Una legge che riduca il numero dei parlamentari e riduca la esasperata frammentazione politica che vede oggi sedere in Parlamento 24 partiti!

Una legge che rafforzi la democrazia dell’alternanza e restituisca agli elettori il diritto di scegliere gli eletti.

E una legge che dia applicazione all’articolo 51 della Costituzione sulla parità uomo-donna, visto che oggi il 54% di donne italiane è rappresentato solo dal 17% di elette.

D’altra parte 850.000 cittadini che hanno firmato la richiesta di referendum sulla legge elettorale, dicono che l’esigenza di un cambiamento è urgente. E gran parte di quelle firme è stata apposta non solo per correggere l’attuale legge, ma per chiederne una nuova, moderna e efficace.

Il referendum in ogni caso sarà indetto soltanto nel maggio 2008. E, dunque, le forze politiche hanno il dovere di verificare fino in fondo se, prima di allora, sia possibile realizzare in Parlamento le convergenze necessarie a dare al Paese una legge elettorale nuova.

Noi dell’Ulivo siano pronti, così come lo è tutto il centrosinistra.

E chiediamo, dunque, al centrodestra che ha dichiarato una disponibilità di principio, di abbandonare le mosse tattiche per aprirsi davvero a un confronto che consenta di giungere a soluzioni adeguate e condivise.

* * * * *

Ma proprio il travaglio di arrivare a riforme istituzionali ci dice che la riforma del sistema politico cammina in realtà su due gambe: l’una sono nuove regole, compresa una nuova legge elettorale; l’altra è una seria e vera riforma dei partiti e della geografia politica italiana.

Peraltro uno sguardo a quel che è accaduto in Italia dal ’94 ad oggi ci dice che una democrazia dell’alternanza è più fragile se i partiti non si riformano.

Ed è proprio qui che emerge quanto importante e innovatore sia il progetto del Partito Democratico.

In un sistema segnato da mille partiti e partitini, in una politica abituata a periodiche scissioni e separazioni, il Partito Democratico rappresenta una grande novità: non divide, vuole unire.

E vuole dare vita ad una grande forza progressista e riformista, a vocazione maggioritaria, capace di raccogliere un vasto consenso nel Paese dando all’intera coalizione una guida molto più solida e coesa.

E, guardate, è così dirompente questo obiettivo, che già sta innescando processi che investono l’intero sistema politico italiano.

E’ bastato, infatti, che dimostrassimo di fare sul serio il Partito Democratico, che a destra tra Berlusconi e Fini si sia aperta una discussione su come dare vita ad una partito conservatore competitivo per dimensioni elettorali con il PD. E alla nostra sinistra forze tradizionalmente molto gelose della loro identità organizzativa, dei loro simboli, dei loro nomi, hanno aperto una discussione su un possibile processo di riaggregazione.

Non solo, ma l’irrompere sulla scena del Partito Democratico ha accentuato le divaricazioni tra UDC e Casa della Libertà e aperto dentro la stessa Lega un dibattito sulle prospettive di quella forza politica.

Insomma il Partito Democratico si dimostra essere lo strumento per una riforma della politica, per una semplificazione del sistema dei partiti, per una rapporto nuovo con i cittadini.

E d’altra parte che il nostro obiettivo sia non fare un partito in più, ma un partito “nuovo” è dimostrato anche dal modo con cui abbiamo scelto di fondare il Partito Democratico.

Tra 28 giorni, domenica 14 ottobre chiameremo tutti gli italiani che si riconoscono in questo progetto a essere protagonisti diretti.

Allestiremo oltre 10.000 seggi in tutta Italia e lì, con voto libero e segreto, ogni cittadino sceglierà il leader del nuovo partito e i delegati all’Assemblea costituente che il 27 ottobre fonderà il Partito Democratico.

E contemporaneamente eleggerà, in ogni regione, i segretari regionali del nuovo partito e i delegati alle Assemblee costituenti regionali.

Un evento democratico, partecipativo, popolare che nella storia dei partiti moderni – e non solo in Italia – non ha precedenti, e che rinnoverà quella straordinaria esperienza che il 16 ottobre del 2005 portò milioni di cittadini a investire Romano Prodi come leader della coalizione.

Un evento che dimostrerà definitivamente quanto sono sciocche e ingenerose le caricature che hanno descritto il Partito Democratico come una fusione fredda, una somma di burocrazie, un coacervo di nomenclature.

Anzi, bisognerebbe forse riflettere di più sul fatto che lanciammo il progetto del Partito Democratico il 6 ottobre del 2006 a Orvieto e 12 mesi dopo quel partito nasce. E chiunque sappia quanta fatica richieda la politica vera, può ben riconoscere che senza la nostra determinazione e la nostra tenacia il nostro progetto non avrebbe potuto realizzarsi in un anno.

Non è davvero una scelta ordinaria quella che abbiamo fatto: in tempi di antipolitica e di scarsa credibilità dei partiti, noi restituiamo lo scettro ai cittadini, mettiamo nelle loro mani il potere di decidere, affidiamo alla loro passione il destino della politica.

E lasciatemi dire che è assai curioso che si dedichi attenzione ad una manifestazione di protesta indetta per il 20 ottobre, quando il fatto davvero nuovo, quello che può rivoluzionare la politica italiana, non avverrà il 20, ma il 14 ottobre, quando una moltitudine gigantesca di cittadini sarà protagonista in prima persona di una enorme novità politica.

Per questo da questa nostra Festa ci rivolgiamo a tutti gli italiani perché con la loro partecipazione facciano del 14 ottobre una giornata storica per la democrazia italiana.

E così come accadde per le primarie di coalizione del 2005, i Democratici di Sinistra anche questa volta saranno impegnati fino in fondo per costruire, favorire e promuovere la più grande partecipazione al voto.

E siamo sicuri che un grande consenso si raccoglierà intorno a Walter Veltroni, che per profilo personale, popolarità, esperienza e autorevolezza politica, bene rappresenta quella domanda di cambiamento, di innovazione, di apertura con cui tanti guardano alla scommessa del Partito Democratico.

E il fatto che personalità significative del centrosinistra – come Enrico Letta e Rosy Bindi a cui rinnovo l’amicizia e la stima dei Democratici di Sinistra – abbiano deciso di concorrere per la leadership, arricchisce ulteriormente il carattere democratico delle primarie del 14 ottobre.

* * * * *

Il Partito Democratico, dunque, come l’apertura di nuova stagione della democrazia italiana.

Sì – perché come abbiamo reso evidente in tutti questi mesi, dal Seminario di Orvieto fino al nostro Congresso di Firenze dell’aprile scorso – il Partito Democratico è la risposta ad una esigenza di rinnovamento della politica, della cultura, della società e del progetto di governo della sinistra e delle forze riformiste.

Un nuovo secolo sta di fronte a noi e siamo chiamati a misurarci con nuove sfide che tutte ci obbligano a una nuovo pensiero e a un nuovo progetto.

Il ‘900 – anche passando per tragedie drammatiche quali guerre, dittature e olocausto – è stato un secolo di straordinarie conquiste di libertà, di democrazia, di uguaglianza che hanno consentito a milioni di donne e di uomini di acquisire lavoro, diritti, dignità. E di quelle conquiste di civiltà il movimento operaio e socialista, la sinistra sono stati protagonisti essenziali. E noi che di questa storia siamo parte, ne siamo orgogliosi.

Ma quel che abbiamo fatto ieri non ci basta oggi.

Tutto è cambiato intorno a noi.

Siamo cresciuti per decenni in una società in cui il lavoro era stabile, fisso e sicuro e quando un lavoro lo avevi era tuo per la vita. E invece siamo oggi chiamati a fare i conti con mobilità e flessibilità, che vogliamo e dobbiamo gestire senza rassegnarci alla precarietà e battendoci perché ogni lavoro – quale che siano le sue modalità – sia riconosciuto, sicuro e degno.

Abbiamo vissuto per decenni dentro una crescita lineare dello sviluppo per cui il “più” dava sempre più. Più investimenti, più produzione, più lavoro, più redditi, più consumi, più prosperità. E, invece, oggi i cambiamenti climatici, le grandi migrazioni, il consumarsi delle fonti energetiche, sono lì a dirci che stiamo superando la soglia oltre la quale il “più dà meno” e il pianeta, la natura, la vita hanno bisogno di essere rispettati da uno sviluppo sostenibile.

Abbiamo condotto tutta la nostra esperienza politica nella dimensione nazionale, affidando allo Stato e ai suoi poteri ogni funzione regolativa. E viviamo oggi in tempi di globalizzazione, sopranazionalità, integrazione europea che tutte ci obbligano a pensare governo e democrazia in uno spazio più grande dello Stato nazione.

Abbiamo costruito uno stato sociale che ha consentito enormi conquiste – la sanità gratuita, l’istruzione per tutti, la casa in proprietà per tanti, un lavoro tutelato, servizi sociali diffusi – ma che oggi deve fare i conti con nuove priorità e nuovi bisogni - l’infanzia, l’invecchiamento attivo, l’immigrazione, la formazione, le pari opportunità, il merito individuale – e con il cruciale tema delle risorse necessarie e di una tassazione sostenibile.

Per 150 anni siamo stati nazione di emigranti, che hanno contribuito con il loro coraggio e la loro capacità alla ricchezza di tanti paesi. E oggi siamo anche noi una società ricca verso cui si indirizzano flussi migratori crescenti che cambiano il profilo e i caratteri della nostra società.

Abbiamo maturato la nostra cultura politica nella democrazia rappresentativa. E oggi dobbiamo rispondere ad una domanda dei cittadini che alla politica chiede non solo di rappresentare, ma di decidere e governare.

Viviamo in un tempo in cui la vita e la morte non dipendono solo più dalla natura e dal destino, ma sempre di più dalla scienza, dalla ricerca, dalla tecnologia aprendo enormi nuove opportunità di cura e di benessere e, al tempo stesso, ponendo interrogativi etici e domande di senso che obbligano tutti – chi crede e chi no – a ridefinire i confini dell’agire umano.

E tutto questo lo dobbiamo fare in un pianeta in enorme sommovimento, segnato da conflitti etnici, religiosi e politici e dall’insidia terribile del terrorismo. Ma anche da enormi opportunità di crescita e di sapere, con nuovi protagonisti – dalla Cina all’India, dal Brasile al Sud Africa – che irrompono sulla scena dell’economia e della politica mondiale.

E in una Italia che è cambiata profondamente nei suoi connotati demografici, economici, sociali, culturali che tutti richiedono alla politica un rinnovamento profondo di pensiero, di proposte, di linguaggi.

Per questo abbiamo pensato e voluto il Partito Democratico: non per un’esigenza nostra, ma per l’Italia che ha bisogno di una grande forza che la guidi nel momento in cui un mondo in movimento richiede anche al nostro Paese di misurarsi con sfide nuove, ridefinendo sé stesso e il suo futuro.

* * * * *

Sì, care compagne e cari compagni,

davvero il Partito Democratico è un viaggio affascinante verso una nuova meta.

Ed è un viaggio che possiamo compiere con tanta più determinazione perché non comincia oggi.

E’ iniziato, quando nel 2004 insieme a Romano Prodi rifondammo L’Ulivo – non più come sola alleanza elettorale di centrosinistra, come era stato tra il ’96 e il 2001 – ma come la “casa comune dei riformisti”.

Quest’Ulivo è già stato in questi anni il luogo nel quale uomini e donne provenienti da storie, culture, esperienze diverse si sono incontrati, si sono riconosciuti, hanno costruito una comune lettura della società italiana e elaborato una comune progetto per l’Italia.

E quando quel progetto lo abbiamo portato agli italiani – presentando il simbolo dell’Ulivo nelle elezioni europee, regionali, politiche e in molti passaggi amministrativi – gli elettori lo hanno riconosciuto, dandogli più voti di quelli che avrebbe totalizzato la somma delle liste dei partiti dell’Ulivo.

E se oggi Walter Veltroni, Enrico Letta, Rosy Bindi possono competere per essere leader dello stesso partito, è perché in questi anni ognuno di loro e ognuno di noi si è sforzato di andare oltre la propria storia e, incontrandosi con storie diverse, si è messo in cammino per scrivere insieme ad altri una storia nuova e comune.

Nel compiere questo cammino ciascuno porta con sé la propria esperienza, i propri valori, la propria storia.

Ed è così anche per noi Democratici di Sinistra, che abbiamo creduto in questo progetto non – come qualcuno ha voluto far credere – per negare o liquidare la sinistra e la sua esperienza storica, ma al contrario perché consapevoli che c’è bisogno di un riformismo nuovo e moderno, che solo si potrà avere se le diverse culture riformiste italiane – il riformismo della sinistra, il pensiero cattolico democratico, il progressismo laico, l’ambientalismo democratico – si lasciano definitivamente alle spalle le divisioni che per decenni le hanno separate e contrapposte, per realizzare quello che in Italia fino ad oggi non c’è stato: una unica grande forza riformista, progressista e democratica, capace di rappresentare unitariamente la ricchezza del riformismo italiano.

Un’unica grande forza riformista che si candidi ad essere il primo partito del Paese per poter governare, con l’autorità che nasce da un vasto consenso, la modernizzazione e la crescita dell’Italia.

Non un partito moderato, ma un partito riformista capace con la sua politica e la sua cultura di governo di parlare ad una platea larga di cittadini, conquistando anche quegli elettori moderati che vogliono un’Italia moderna.

Una forza che non solo unifichi i partiti riformisti come DS e Margherita e Repubblicani europei – e presto speriamo possa includere anche i socialisti – ma coinvolga movimenti civili e sociali, interloquisca con soggettività giovanili e femminili e attragga quella vasta parte della società italiana che in questi anni si è riconosciuta nell’Ulivo e quell’Italia dei saperi, della professionalità, del lavoro, dell’intraprendere, che vuole vivere in un’Italia moderna, pulita, forte e giusta e vuole una forza politica che si batta per questo.

La scommessa del Partito Democratico è quella di liberare energie finora represse.

Creare opportunità, valorizzare chi ha talento, consentire a ciascuno di scommettere sulla propria intelligenza e sulla propria capacità offrire a tutti, nessuno escluso, le opportunità di una vita serena e degna di essere vissuta.

Tra chi bussa alla porta e chi tiene la porta chiusa, noi – care compagne e cari compagni – non abbiamo dubbi.

Noi apriremo ogni porta chiusa per fare entrare aria fresca e liberare risorse senza le quali non ci si misura con la modernizzazione e la competizione globale.

Vogliamo ridare slancio a un paese prigioniero di protezionismi, di corporazioni, di dipendenze clientelari. E anche di illegalità diffuse che possono, come nel caso della mafia, rialzare la testa se la politica rinuncia al proprio ruolo.

E per fare tutto ciò chiamiamo a raccolta intorno al Partito Democratico le tante energie di cui l’Italia è ricca.

Un partito che rinnovi la politica e il suo modo di essere. Non, dunque, movimento di opinione, né tantomeno una somma di comitati elettorali.

No, un partito: con centinaia di migliaia di aderenti, presente e radicato in tutti gli 8.000 comuni italiani, un partito che faccia politica tutti i giorni e non solo in campagna elettorale, capace di formare e selezionare una nuova classe dirigente.

Un partito di uomini e di donne, che realizzi quella pari dignità che ci ha portato ad adottare un regolamento per le primarie del 14 ottobre che consentirà all’Assemblea costituente di essere composta per metà da donne e metà da uomini.

Un partito che si rivolga prima di tutto alle giovani generazioni per offrire loro opportunità di studio, di lavoro, di vita, riconoscimento del merito, nuovi diritti di cittadinanza.

A quelle ragazze e ragazzi che sentono ipotecato il proprio futuro da una società chiusa, da un mercato del lavoro che li respinge, a quei giovani che non sanno se e quando potranno avere una casa, noi dobbiamo dire che il Partito Democratico vuole realizzare una società più aperta, libera e giusta nella quale potranno soddisfare le loro aspirazioni e con regole certe e uguali per tutti.

E un partito aperto alla società: che selezioni i suoi candidati con le primarie; che favorisca il ricambio delle classi dirigenti, stabilendo termini di mandato negli incarichi; che elegga i suoi dirigenti con voto diretto e segreto; che si organizzi con strutture aperte ai saperi della società e valorizzi il merito, la professionalità, la competenza.

Un partito laico, di credenti e non credenti, capace di misurarsi con le nuove sfide culturali ed etiche che la scienza e la ricerca pongono alla coscienza e all’intelligenza umana e capace di assicurare a ogni cittadino uguaglianza di diritti, pari opportunità e rispetto delle scelte di vita e dell’orientamento sessuale di ciascuno.

Sì, un partito “democratico”.

E guardate chiamarci così – Partito Democratico – non è meno impegnativo che essere democratici di sinistra.

Anzi, oggi forse, lo è persino di più.

Sì, perché la “democrazia”, è il grande cruciale tema del nostro tempo.

E’ intorno al tema della “democrazia” che si gioca la possibilità di governare la globalizzazione, ridefinire il suo rapporto con le sovranità nazionali e esaltare il ruolo delle istituzioni multilaterali internazionali come primo nucleo di una sovranità globale.

La “democrazia” è la chiave di volta per contrastare il riemergere prepotente degli integralismi e il combinarsi sempre più inquietante tra fanatismi religiosi, autoritarismo politico e negazione dei diritti.

La “democrazia” è il terreno su cui rilanciare il processo di integrazione europeo, la cui crisi non a caso è esplosa con i referendum olandese e francese, rendendo così evidente che dare soluzione al deficit di consenso democratico di cui soffre l’UE è essenziale per il rilancio dell’unità europea.

La “democrazia” è oggi la chiave per affrontare i grandi temi dell’ambiente, dello sviluppo sostenibile, del destino del pianeta rendendo i cittadini protagonisti consapevoli delle scelte di investimento, di uso delle risorse, di sviluppo.

E ancora: la “democrazia” è la cifra intorno a cui costruire un nuovo sistema di regole per il mercato e di relazioni sociali che rendano l’economia più trasparente e aperta, favoriscano gli imprenditori che investono, assicurino la concorrenza leale, tutelino i consumatori, valorizzino professionalità e lavoro.

E non è forse un grande “problema democratico” la precarizzazione del lavoro, il suo svilimento – richiamato drammaticamente dalla sequenza impressionante di vittime sul lavoro – che ci impone di considerare priorità del Partito Democratico la riconquista di dignità per ogni lavoratore, in coerenza con il primo articolo della Costituzione che fonda sul lavoro la nostra Repubblica.

Così come la “democrazia” è essenziale perché la nostra società riconosca le differenze, accetti la multietnicità, superi le diffidenze, le paure, i conflitti che l’immigrazione sempre porta con sé.

E la “democrazia”, infine, è il terreno fondamentale per ricostruire il rapporto tra cittadino e Stato, oggi segnato da quella estraneità che – se non superata – facilmente si trasforma in antipolitica.

La democrazia come grande fatto di civilizzazione dell’umanità.
La democrazia come il fondamento di una società giusta.
La democrazia come l’espressione organizzata della libertà degli individui e della società.

E oggi, a maggior ragione, la democrazia è la cifra intorno a cui noi possiamo costruire una politica che affermi i nostri valori di liberazione, di progresso e di emancipazione.

Oggi “democratico” vuol dire essere progressista, riformista.

Vuol dire essere di sinistra.

Di una sinistra, che non abbia paura di un mondo che cambia e, anzi, voglia in quel mondo far vivere i propri ideali di giustizia e libertà.

* * * * *

Un partito che contribuisca così all’apertura di una stagione nuova anche nel riformismo europeo e internazionale.

Qui, qualche giorno fa, Ségolène Royal ci ha detto con quanta speranza guarda al Partito Democratico, perché può venirne un contributo ad una sinistra francese che, dopo la vittoria di Sarkozy, si interroga sul suo futuro.

E la stessa cosa, visitando la notra festa, ci hanno detto il Presidente dei socialisti europei Poul Rasmussen e il Presidente degli europarlamentari socialisti Martin Schultz, consapevoli che il Partito Democratico non è una scommessa solo italiana.

Ce lo avevano già detto a Firenze, insieme a George Papandreu Presidente dell’Internazionale Socialista, a Howard Dean Presidente del Partito Democratico americano, a Kurt Beck leader dei socialdemocratici tedeschi, a Marcaurelio Garcia braccio destro di Lula, che parlando dalla tribuna del Congresso, tutti ci dissero che erano lì con noi non solo perché nostri amici, ma perché quel che stavamo discutendo e decidendo riguardava anche loro.

Sì, perché i cambiamenti del mondo sollecitano tutti a ripensare sé stessi, la propria politica, il proprio futuro. E sollecitano la sinistra a domandarsi su come raccogliere e mantenere un consenso maggioritario nella società liquida di oggi.

Grandi partiti socialisti e socialdemocratici – come l’SPD, la socialdemocrazia scandinava, il labour inglese, i socialisti austriaci, i socialisti spagnoli – forti di un consenso elettorale vasto che da tempo ci ha portati a essere partiti del 30-40%, hanno risposto a quell’interrogativo rinnovando profondamente i contenuti delle loro politiche e configurandosi sempre di più come grandi partiti di centrosinistra.

In altri Paesi, dove la geografia politica è più frammentata, a quello stesso interrogativo si sta rispondendo mettendo in campo processi di unità non dissimili dal nostro progetto di Partito Democratico: in Portogallo i socialisti stanno promuovendo un Ulivo portoghese, che estenda la loro vocazione maggioritaria; in Ungheria socialisti e liberaldemocratici hanno aperto una discussione su come trasformare la loro alleanza di governo in un nuovo soggetto politico; in Slovenia è aperta una riflessione analoga; in Israele il neo leader laburista Barak ha proposto a Kadima una fusione.

Sono segnali di uno scenario nuovo che si va delineando: mentre la politica del ‘900 è stata a lungo incardinata su tre poli – sinistra, centro e destra – ciascuno dei quali in competizione con gli altri, oggi sempre di più la dialettica politica si va riorganizzando intorno alla competizione bipolare tra centrosinistra e centrodestra.

E ciò sollecita a costruire anche su scala europea e internazionale un campo unitario delle forze riformiste.

Lo ha ben compreso il PSE che – proprio tenendo conto del nostro progetto – al suo Congresso di Oporto nel novembre scorso ha modificato il suo statuto, definendosi partito europeo che non solo riunisce partiti socialisti, ma apre le proprie porte a partiti progressisti e democratici.

E a Firenze abbiamo ascoltato Papandreu e Schultz dichiarare la loro volontà di far assumere alla Internazionale Socialista e al Gruppo PSE al Parlamento Europeo nuove denominazioni per aprire quelle organizzazioni all’apporto di nuovi soggetti e a nuove culture.

A questo processo di costruzione, insieme alla famiglia socialista, di un campo unitario del riformismo europeo e internazionale il Partito Democratico può dare un contributo prezioso.

Così come il successo elettorale del novembre scorso dei Democratici americani e le prospettive nuove che si aprono in vista delle Presidenziali del 2008, offrono la possibilità di un ulteriore intensificazione di rapporti e di comune azione tra le forze progressiste di Europa e Stati Uniti.

E’ un’altra ragione forte di questo nostro progetto: aprire una nuova stagione anche in Europa facendo incontrare il socialismo europeo e i suoi partiti con le altre culture riformiste e progressiste del continente e del mondo.

Ed un obiettivo a cui già ho lavorato in questi anni.
Un obiettivo affascinante a cui continuerò a dedicare le mie energie e il mio impegno politico anche dopo il 14 ottobre.

* * * * *

Il Partito Democratico, insomma, è la forma moderna del riformismo con cui facciamo vivere le idee, la cultura, i valori della sinistra.

E’ per questo che noi Democratici di Sinistra ci possiamo riconoscere in questo progetto.

Non solo perché siamo la forza politica più grande e più radicata dell’Ulivo, ma per i valori di cui siamo portatori.

Sì, cari compagni, perché i valori per cui la sinistra è nata e vissuta rimangono più che mai attuali.

Libertà, solidarietà, giustizia, dignità umana, uguaglianza: sono i valori che ispirarono nella seconda metà dell’800 la nascita delle leghe bracciantili, delle società di mutuo soccorso, dei primi sindacati e delle organizzazioni socialiste.

Lungo tutto il ‘900 giungendo fino a noi, quegli stessi valori hanno ispirato ogni battaglia di emancipazione, di progresso, di liberazione.

E oggi nel nuovo secolo, in un mondo percorso da nuovi conflitti ed antiche disuguaglianze, non c’è meno bisogno di quei valori, se pensiamo alla tragedia del Darfur, ai bambini-soldato, alle tante ingiustizie e ineguaglianze che segnano la vita di questo pianeta.

Vedete, i valori non cambiano con il trascorrere del tempo.

Quel che cambia – questo sì – sono le forme, i linguaggi, le modalità con cui si organizzano e si fanno vivere quei valori.

E poiché la società non è mai statica, ma è segnata da una continua e costante evoluzione, chi abbia l’ambizione di guidarla, deve saper evolvere con essa.

E, d’altra parte, è proprio la storia del nostro partito a dirci che è solo nel continuo rinnovarsi che sta la possibilità di interpretare la società.

Quando nell’89 decidemmo di dare vita al PDS non lo facemmo per negare o rinnegare quel che fino a quel momento aveva rappresentato il PCI nella storia italiana. Al contrario – facendo tutti i conti, anche quelli difficili, con la nostra storia – cambiammo perché i nostri valori e le nostre idee potessero vivere nel nuovo scenario europeo aperto dalla caduta del muro di Berlino.

Quando nel ’97 passammo dal PDS ai DS, lo facemmo perché consapevoli che aprirci all’apporto di donne e uomini provenienti da altre culture riformiste – socialiste, cristiano sociali, repubblicane, ambientaliste, liberaldemocratiche – era indispensabile per un nuovo progetto politico.

E nel 2001, riflettendo sulla sconfitta elettorale, ci dicemmo a Pesaro “o si cambia o si muore”, coscienti che la crisi profonda in cui versavamo si sarebbe superata soltanto – come abbiamo fatto – mettendo in campo una profonda innovazione di noi stessi e della sinistra italiana.

E lo stesso Ulivo non l’abbiamo mai concepito solo come una transitoria alleanza elettorale, ma come un soggetto politico in divenire, che via via integrasse, fondesse, unisse le diverse storie del riformismo italiano.

Oggi è quella stessa consapevolezza a muoverci, sapendo che la sfida del Partito Democratico è ancora più alta.

Perché questa volta il cambiamento non lo realizziamo da soli, perché il rinnovamento di una sola esperienza non basta più.

Ci misuriamo con il cambiamento, insieme a donne e uomini che, provenendo da altre storie, altre culture, altri percorsi e riflettendo anch’essi sulla profonda evoluzione del mondo e sulle necessità dell’Italia, hanno deciso anch’essi di andare oltre le loro esperienze, per unirsi a noi per un comune nuovo progetto riformista.

E io desidero qui ringraziare Francesco Rutelli, Dario Franceschini, i dirigenti e tutti gli aderenti alla Margherita.

Per loro, come per noi, la sfida è grande: andiamo oltre le nostre storie, con la fiducia che insieme saremo capaci di costruire insieme una storia nuova e più grande.

E per questo non dobbiamo avere paura della sfida che sta davanti a noi.

Cambiare è prima di tutto iniziare una nuova vita.

Cambiare significa misurarsi con il proprio tempo e con le domande di una società in movimento.

Cambiare è avere fiducia nel futuro e volerlo costruire.

* * * * *

Sì, care compagne e cari compagni, abbiate fiducia.

Di questo nuovo Partito Democratico noi siamo e saremo protagonisti perché lì ci sono i nostri valori e i nostri principi.

E, dunque, cari compagni qui non finisce la nostra storia.

Qui ne inizia una nuova e più grande, che avrà bisogno di tutta la nostra intelligenza, di tutta la nostra passione, di tutte le nostre volontà.

E d’altra parte se in questi mesi il progetto del Partito Democratico è decollato lo si deve in misura alla determinazione con cui noi, Democratici di Sinistra, ci abbiamo creduto e per realizzarlo ci siamo spesi con generosità.

E io mi auguro che anche le compagne e i compagni che a Firenze non condivisero la nostra scelte possano presto raggiungerci perché il Partito Democratico sia anche la loro casa.

Sì, care compagne e cari compagni, non sono solo belle parole di una canzone quelle che dicono “la storia siamo noi”.

Sì, la storia siete voi.

Non c’è stato passaggio della vita dell’Italia nel quale le nostre idee, le nostre lotte, la nostra passione non abbiano contribuito al progresso del Paese.

E ogni volta la nostra funzione nazionale è stata decisiva perché abbiamo scelto di viverla non in solitudine, ma in una tensione unitaria volta a unire la sinistra, i riformisti, le forze democratiche.

Fu così alla fine dell’800 quando le leghe rosse e bianche svolsero un ruolo insostituibile di civilizzazione e emancipazione in un’Italia che conosceva la sua prima vera industrializzazione.

Fu così nella lotta al fascismo quando Antonio Gramsci, Angelo Tasca, Camilla Ravera si unirono a Piero Gobetti, Don Minzoni, Giacomo Matteotti, i fratelli Rosselli, Giovanni Amendola, Gaetano Salvemini, Filippo Turati, Ernesto Rossi.

Fu così nella lotta partigiana, quando le Brigate Garibaldi scelsero come loro simbolo una stella tricolore, per rendere evidente che l’obiettivo di quella lotta era la libertà per tutti gli italiani.

E fu così nella ricostruzione post-bellica quando, pur in un clima di aspra contrapposizione, la sinistra sentì la responsabilità di concorrere alla trasformazione dell’Italia e al suo decollo come grande paese industriale.

La stessa consapevolezza della funzione nazionale della classe operaia con cui uomini come Luciano Lama e Bruno Trentin fecero assolvere al sindacato un ruolo decisivo in anni in cui l’Italia rischiava il collasso economico.

E così negli anni ’70 e ’80 non esitammo a mettere in campo uno sforzo solidale e comune delle grandi forze riformiste e popolari per sbarrare la strada all’eversione nera e al terrorismo rosso.

Ed è stato così ancora negli anni ’90, quando di fronte alla più grande crisi istituzionale del Paese, le nostre forze sono state punto di certezza essenziale, prima per scongiurare i rischi di disgregazione secessionistica della stessa identità nazionale e poi, proprio con l’Ulivo, per ricollocare l’Italia pienamente in Europa.

Oggi sta di fronte a noi una nuova frontiera, a cui vogliamo giungere portando con noi quei tantissimi italiani che credono nelle straordinarie risorse di cui l’Italia è ricca e sono pronti a spendersi con generosità e disinteresse perché l’Italia dia speranze e certezze ai suoi figli.

Sì, care compagne e cari compagni, la traversata del deserto è compiuta.

Abbiamo fatto quel che era giusto.

E se siamo arrivati alla meta è merito di tanti.

Dei nostri dirigenti – a partire da Massimo D’Alema – che tutti voglio qui ringraziare. Ed è merito della nostra gente, dei nostri militanti, di tutti voi che voglio abbracciare e ringraziare per la straordinaria passione e generosità profuse in questi anni.

Permettetemi di dirvi un'ultima cosa, oggi che vi saluto da questa Festa come ultimo Segretario nazionale dei DS.

E dirvela non è facile perché – come sa bene chi ha imparato a conoscermi – sono decisamente restio a parlare di me e delle mie emozioni, anche se a volte le manifesto visibilmente, anche troppo, come dicono i miei amici.

Voglio dirvi che sono stato orgoglioso di aver ricevuto da voi la responsabilità di guidare questo grande partito.
Orgoglioso della vostra fiducia.
Orgoglioso di quel che abbiamo fatto insieme.

Sono trascorsi 6 anni da quel novembre 2001 quando a Pesaro ci mettemmo in cammino.

L’animo era allora pesante e il passo incerto: avevamo perso la guida del Paese; il centrosinistra ne usciva lacerato e diviso; e l’Ulivo piegato.

E noi smarriti a interrogarci se quel minimo elettorale, se quella sconfitta così aspra, non fossero il segno di un inarrestabile e definitivo declino del nostro partito.

Nonostante tanti ci invitassero a farlo, non ci siamo rassegnati, né dati per vinti.

Ci siamo rimboccati le maniche, mettendoci al lavoro con tenacia, per uscire dal cono d’ombra della sconfitta e restituire una speranza alla nostra gente.

E passo dopo passo ne siamo usciti: abbiamo ricostruito l’unità del centrosinistra, abbiamo riprogettato L’Ulivo, abbiamo colto ogni passaggio elettorale per riconquistare credito e fiducia dei cittadini.

Dal 2002 al 2006 non abbiamo più perso una sola elezione, facendo così via via crescere la prospettiva di una alternativa alla destra.

E oggi siamo qui, con Romano Prodi, alla guida dell’Italia.

E Giorgio Napolitano alla suprema magistratura della Repubblica.

E se anche le elezioni politiche ci hanno consegnato una vittoria di misura, pure guardando al cammino compiuto possiamo ben essere orgogliosi del nostro lavoro e di quel che abbiamo fatto per il nostro Paese.

E’ stata come una lunga storia d'amore, con gli alti e i bassi di una vita comune, con le vittorie e le sconfitte, con momenti di grande felicità – anche se a volte fatico a dimostrarla – e inevitabili delusioni o tensioni.

Per questa straordinaria indimenticabile esperienza umana e politica è tutti voi che devo ringraziare.

Voi che mi avete ascoltato, criticato, sostenuto, seguito.

Chi mi è stato vicino in tutti questi anni e chi ho incontrato anche solo per qualche minuto.

Insieme abbiamo lottato. Insieme abbiamo gioito. Insieme abbiamo sofferto. Insieme abbiamo vinto.

Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la vostra generosità, la vostra passione, il vostro entusiasmo.

Senza di voi, care compagne e cari compagni, che siete una risorsa straordinaria della democrazia italiana.

E sarete la risorsa più preziosa e più feconda anche adesso, per fare del Partito Democratico la speranza degli italiani.

E se oggi qui mi rivolgo a voi, per l’ultima volta da una Festa dell’Unità, non è certamente per un addio, ma per partire insieme in un nuovo viaggio, con la stessa passione, lo stesso entusiasmo e la stessa voglia di farcela di questi anni.

Sì, adesso un nuovo grande progetto comincia.

E adesso tocca a te, caro Walter.

Siamo sicuri che ti spenderai con la generosità, la passione, l’intelligenza che sempre hai profuso nei tanti impegni di una vita politica piena di successi e di riconoscimenti.

E questa gente – che è la tua gente – sarà al tuo fianco per fare ancora fino in fondo la propria parte.

E cominceremo il 14 ottobre, vivendo con gli italiani una straordinaria nuova pagina della nostra democrazia.

Buon lavoro, cari compagni,

Buon lavoro, caro Walter.

Saremo con te, per servire, come sempre, l’Italia.

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