19.12.2009
Conferenza sul clima. Copenaghen: si scrive “accordo”, si legge “fiasco” Nessun impegno per la riduzione di CO2: né nel 2020, né nel 2050. Istituito il fondo per i paesi poveri. Obama: “Abbiamo ancora molta strada da fare”, a cominciare proprio dagli Usa e dalla Cina che hanno di fatto ostacolato un accordo di alto profilo di Davide Orecchio La conferenza sul clima di Copenaghen si chiude con un solo impegno concreto, quello che riguarda gli aiuti economici che i paesi sviluppati si impegneranno a dare alle nazioni povere. Nessuna cifra, invece, sulla riduzione di CO2, né a medio né a lungo termine, né entro il 2020 né entro il 2050. E’ stato tolto anche il riferimento alla riduzione di gas serra dell’80% nei paesi ricchi entro il 2050, insieme al passaggio che vincolava i paesi in via di sviluppo a prendere impegni per una riduzione del 50% entro la stessa data. È confermato solo l'obiettivo di limitare il riscaldamento a 2 gradi centigradi. E viene istituito, come si accennava sopra, un fondo da 30 miliardi di dollari, il cosiddetto Fast Start, da destinare ai paesi poveri nel biennio 2010-2012. Gli aiuti saliranno poi a 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020. L’accordo è il frutto di un negoziato a quattro tra Stati Uniti, Cina, India, Brasile e Sudafrica ma ci sono volute ore e ore di trattative, nel corso della notte tra il 18 e il 19 dicembre, perché la conferenza Onu lo accettasse. I paesi in via di sviluppo del G77 non avevano alcuna intenzione di sottoscriverlo. Venezuela, Cuba e Sudan si opponevano alla ratifica. La situazione si è sbloccata grazie a uno stratagemma diplomatico che diluisce ancora di più, se possibile, la portata dell’intesa. Nella dichiarazione che conclude i lavori si legge infatti che “la conferenza delle parti prende atto dell'accordo di Copenaghen”, senza pretendere adesioni formali dagli Stati. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, dando notizia della sigla dell’accordo, ha detto che si tratta di “una prima tappa essenziale”. “Non è quello che noi tutti speravamo - ha aggiunto - ma la decisione è un inizio fondamentale”. “Lavoreremo duro per renderlo legalmente vincolante nel 2010”. La giornata di Barack Obama, partito per Washington prima del voto finale sul documento, e dei negoziati convulsi tra Usa, Cina e gli altri attori del vertice partorisce un’intesa di basso profilo e deludente. Entro il prossimo gennaio i paesi ricchi comunicheranno come intendono procedere ai tagli di emissioni da qui al 2020, ognuno per sé e senza controlli stretti. Proprio riguardo al tema dei controlli (contro i quali la Cina si è opposta fino all’ultimo), i governi saranno tenuti a dare nulla più che delle comunicazioni sullo stato delle proprie emissioni, ogni due anni. Non mancano, naturalmente, nuovi appuntamenti e proroghe: il primo a Bonn, tra sei mesi, per un incontro che dovrebbe preparare un nuovo vertice a Città del Messico entro la fine del 2010. Cosa riserva il futuro nessuno lo sa, ma oggi a Copenaghen è stato un fallimento. Troppo poco per dieci giorni di negoziati. “Abbiamo ancora molta strada da fare”, ha commentato Obama prima di tornare negli Stati Uniti. Nel suo intervento al plenum del vertice, Obama aveva assicurato che “l'America è pronta a prendersi le sue responsabilità in quanto leader”. Ma la verità è che la proposta “blindata” con cui gli Usa si sono presentati a Copenaghen (taglio del 4% sulle emissioni rispetto al livello del 1990) conta molto più delle parole del loro presidente, e descrive una potenza niente affatto pronta a cambiare le politiche energetiche e lo stile di vita cui si deve una grossa fetta del disastro eco-ambientale del pianeta. Dal capo opposto della trattativa la Cina, altrettanto irremovibile nel non volere modificare una proposta centrata sul concetto di “intensità carbonica” e non sulla semplice riduzione dei gas serra. E fermamente intenzionata a non consentire controlli trasparenti sullo stato delle proprie emissioni. I pessimi segnali arrivati dal vertice Apec di qualche settimana fa sono stati alla fine confermati. Sono stati i giorni del G-2 Usa-Cina molto più che quelli della conferenza Onu. I veti reciproci rimbalzati tra Washington e Pechino, principali inquinatori del pianeta, non sono riusciti a nascondere l’intento condiviso di voler fare da sé, senza vincoli globali o accordi degni di questo nome. L’Europa è rimasta isolata e impotente, così come i paesi poveri e in via di sviluppo. Ma forse molti leader della Ue-27 tornano a casa contenti per il fallimento di Copenaghen. Il premier britannico Gordon Brown parla di “sostanziali progressi”. Il presidente francese Nicolas Sarkozy descrive un accordo che “non è perfetto”, ma “è il migliore possibile” oggi, e annuncia che la Ue firmerà l’intesa. Le Ong e gli ambientalisti storcono il naso al limite del disgusto. Greenpeace parla di un “presunto accordo” che è un “fiasco totale”, sabotato dagli “egoismi nazionali”. E tutti rimpiangono il Protocollo di Kyoto che, sebbene insufficiente, era almeno vincolante.
fonte: http://www.rassegna.it:80/articoli/2009/12/19/56431/copenaghen-si-scrive-accordo-si-legge-fiasco
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