30.12.2006
Mogadiscio si prepara di nuovo al cambiamento
«Nessuno di noi ha temuto la guerra perché sapevamo che non ci sarebbe stata: le Corti non volevano che la popolazione ne subisse le conseguenze e già mercoledì, con l’avanzare delle truppe etiopiche e la presa di Jowhar, hanno deciso di lasciare la città . È stato così evitato lo scontro nel centro urbano che avrebbe comportato un massacro e centinaia di migliaia di sfollati», così ci dicono i nostri interlocutori somali, esponenti dei raggruppamenti della società civile da anni attivi in Mogadiscio. A far paura è invece il ritorno all’anarchia, alla legge della prepotenza e della sopraffazione. E i segnali ci sono già in queste prime ore. Approfittando del nuovo vuoto di potere, miliziani allo sbando e bande armate saccheggiano, si appropriano di armi, uccidono, a Mogadiscio come a Merca e altrove.
Grande disagio e sbandamento nella popolazione, dunque, che da tempo ha come unico desiderio quello di vivere in pace, di potere muoversi in sicurezza, di potere coltivare, allevare bestiame, commerciare, ricostruire, pagare anche le tasse per contribuire all’amministrazione pubblica ma senza essere continuamente vessata, rapinata, taglieggiata.
Cosa succederà ora? Il ritorno dei vecchi warlords, i signori della guerra, a fianco delle istituzioni legittime? degli scontri armati tra le fazioni? delle lotte, dei veti, delle guerre per potere o per il traffico della droga locale, il kat, o per altri controlli su commerci e trasporti?
Le ONG italiane, da decenni presenti in Somalia, non hanno mai creduto che la via delle armi potesse risolvere il problema somalo. Specie poi se le armi giungono con eserciti stranieri odiati o mal sopportati. La via del dialogo politico è necessaria ed è l’unica che può, oggi, ridare qualche seria speranza. Era evidente fin dallo scorso mese di giugno, quando è stato chiaro che le armi avrebbero solo peggiorato le cose per il già debole Governo transitorio, come di fatto è accaduto.
C’è da sperare che il presidente Abdullahi Yussuf e il primo ministro Ali Mohammed Gedi, insieme alla “comunità internazionale” che li sostiene, siano lungimiranti e sappiano da un lato dialogare e negoziare con la società civile e le varie parti, comprese le Corti, e dall’altro impedire il ritorno al passato con le prepotenze delle fazioni e delle loro inaccettabili signorie.
Se invece considerano di avere vinto una volta per tutte, di avere sgominato il potere alternativo delle Corti, di poter controllare i problematici warlords, allora dimostreranno la loro cecità . Se d’altro canto l’Etiopia, insieme all’altra parte di “comunità internazionale” che la sostiene in quest’avventura, pensasse di potere continuare ad agire «da arbitro e da giocatore», per usare le parole dei nostri interlocutori di Mogadiscio, appoggiando i più malleabili signori della guerra piuttosto che sostenere le istituzioni somale e i loro tentativi di pacificazione e riconciliazione nazionale di tutti i somali, allora si svelerebbe il disegno etiopico di egemonia e di controllo dell’intera area del Corno d’Africa.
I giochi sono ancora tutti aperti. Speriamo che l’Europa, diversamente dalla negligenza e dal disinteresse dimostrati nel passato, sappia leggere la realtà , influire sui “giocatori” e pensare ad una politica propositiva e di sostegno ad un reale progetto di pacificazione, stabilizzazione e sviluppo dell’area. L’Italia potrebbe contribuirvi, dato il serio impegno mostrato finora. Impegno che, come richiesto dagli stessi somali, va rafforzato, accompagnando la mediazione politica con una concreta e forte azione di cooperazione.
Per informazioni: Cinzia Giudici vicepresidente@ong.it
Cell.348 7029622
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