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Scorie (di Paola Carini)
2.02.2004

Mescalero apache e skull valley goshute, due piccoli gruppi (bands) facenti parte di comunità più ampie, gli uni stanziati da secoli nella zona sudorientale del New Mexico, gli altri da millenni nella parte sudoccidentale degli Stati Uniti. Di lingua athapaskan come i diné (navajo), gli apache migrarono verso sud attorno all’undicesimo secolo. Qui si suddivisero in due gruppi principali comprendenti da un lato jicarilla, kiowa apache e lipan, che si fermarono nell’estremità meridionale delle Grandi Pianure e, dall’altro, chiricahua, mescalero e western apache, che si spostarono verso Arizona e New Mexico, scontrandosi con le popolazioni pueblo, pima e tohono o’odham. I goshute invece, vicini di shoshone, paiute e ute, storicamente occupavano una vasta area ora ridotta a un territorio con un’estensione di 18.000 acri nell’attuale stato dello Utah. Da 20.000 che erano sono rimasti in 500, e solo 124 di loro appartengono al gruppo skull valley.

Ciò che accomuna queste piccole comunità geograficamente e culturalmente lontane è un destino che, per un certo periodo, è stato condiviso. Nel 1982 il Congresso approvò il Nuclear Waste Policy Act (NWPA) e da quel momento la spazzatura radioattiva americana (ma la stessa cosa vale per i rifiuti tossici di varia natura) divenne affare indiano. Nel 1987 gli emendamenti successivi trasformarono la legge in Nuclear Waste Policy Amendments Act (NWPAA), ossia in un corpus giuridico più ampio in cui si stabilì che doveva essere Yucca Mountain, 100 miglia a nordovest di Las Vegas in Nevada, il sito più adatto a stoccare rifiuti altamente radioattivi. Programmato per essere funzionante nel 2010, il sito è a tutt’oggi materia di contenzioso tra associazioni ambientalistiche, stato del Nevada, nazioni indiane residenti nell’area da un lato e il DOE, Department of Energy dall’altro. Yucca Mountain è, tra le altre cose, terra che gli western shoshone reputano di loro proprietà in base al trattato di Ruby Valley, mentre il Nevada, che ha già ospitato il Nevada Test Site, ossia il luogo in cui negli anni del secondo conflitto mondiale e nei decenni di guerra fredda venivano testate le armi nucleari, ha denunciato diverse agenzie federali pur di fermare questo progetto. Mentre il DOE si affretta a garantire che lo stoccaggio sarà perfettamente sicuro, ricerche indipendenti dimostrano che i contenitori inizieranno a perdere entro tempi molto più brevi di quelli indicati dagli studiosi del DOE. In aggiunta a tutto ciò, il sito dovrebbe ricevere 109.000 carichi di materiale radioattivo che viaggeranno sia su strada che per ferrovia attraversando gran parte del paese, tra cui 36 nazioni indiane. Le recenti modalità di attacco che i terroristi hanno impiegato renderebbero estremamente vulnerabili questi trasporti, ingigantendo il pericolo che già sussiste quando si spostano scorie radioattive. L’amministrazione Bush ha definitivamente scelto Yucca Montain come sito di stoccaggio di 77.000 tonnellate di materiale radioattivo di scarto nonostante il veto del Governatore dello stato del Nevada Kenn Guinn.

Ma nel frattempo cosa si è fatto delle scorie di un paese in cui il 20% dell’energia prodotta deriva da centrali nucleari in piena attività da decenni? Tra il 1986 e il 1990 il DOE stanziò una sovvenzione di un milione di dollari al National Congress of American Indians affinché esso illustrasse i vantaggi di accogliere siti di stoccaggio di scorie e altri rifiuti nucleari ai consigli tribali. L’appello, rivolto quindi non alle comunità nativo americane nel loro complesso ma ai singoli leader tribali, si rivelò un efficace strumento di aspre divisioni interne tra le tribù che lo accolsero. Sebbene 16 delle 21 domande di adesione alla "fase uno" del progetto fossero di nazioni tribali (a cui venivano elargiti 100.000 dollari affinché la tribù accettasse di considerare l’idea di uno stoccaggio temporaneo nella propria riserva) solo 9 tribù proseguirono verso la "fase due" (in cui si compivano ulteriori studi di idoneità del luogo e si mostravano i vantaggi alla comunità) intascando i successivi 200.000 dollari. Di queste solo tre rimasero in gara: oltre ai tonkawa dell’Oklahoma restavano i mescalero apache e gli skull valley goshute.

 

La riserva dei mescalero apache, 461.000 acri nel sudovest del New Mexico in cui si trova una stazione sciistica di successo e un complesso ricettivo notevole, un casinò e un’industria di legname, fu la prima ad accettare il progetto attraverso il proprio leader tribale, Wendell Chino. Facendo leva sul fattore povertà, che rimane piuttosto alta nella riserva, Chino mostrò i benefici monetari che sarebbero seguiti allo stoccaggio, tralasciando le conseguenze sulla salute pubblica. Insieme agli altri membri del consiglio tribale avviò delle trattative con 33 compagnie private per costruire e gestire un impianto di stoccaggio per il combustibile di scarto di reattori nucleari in territorio mescalero, che si sarebbe aggiunto all’altro sito, finanziato dal DOE. Nel frattempo la comunità mescalero fu tenuta quasi completamente all’oscuro di queste decisioni, che negli intenti di Chino sarebbero state avallate dai membri tribali attraverso un referendum. Nel 1995 il referendum ci fu, ma bocciò il progetto con 490 voti contrari e 362 favorevoli.

Poco tempo dopo, con una petizione firmata dal 30% di votanti, si richiese un altro referendum che questa volta, dopo la campagna condotta dal consiglio tribale che prometteva introiti di 250 milioni di dollari a seguito della costruzione del sito diede il via libera definitivo (si sospetta che del denaro sia stato promesso in cambio di un voto favorevole, e che siano anche state proferite minacce di licenziamento nei confronti di chi lavorava presso la tribù).

Il risultato immediato fu una lacerazione profonda tra sostenitori e oppositori che, in una comunità tradizionalmente unita da una rete fitta di clan, significò una pesante destabilizzazione sociale.

Col passare del tempo l’opposizione dei mescalero crebbe, le difficoltà di raggiungere accordi con le compagnie aumentarono e il progetto rimase sulla carta. Sei anni dopo, a seguito di aspri scontri, il progetto tramontò definitivamente. La riserva mescalero era salva.

A questo punto dove altro si sarebbero potuti stoccare rifiuti che nessuno vuole né nelle vicinanze né nei dintorni?

Nella riserva degli skull river goshute. D’altra parte intorno alla riserva si trova già l’area in cui da decenni il Governo americano testa armi biologiche e chimiche, chiamata Dugway Proving Grounds. Vicino c’è il Tooele Army Depot, deposito militare che immagazzina scorte di antrace e gas nervino. La contea di Tooele, che si trova nel circondario, ospita un sito di stoccaggio di materiali pericolosi e un inceneritore. La Magnesium Corporation, sempre nelle vicinanze, è indicata come la fabbrica più inquinante degli Stati Uniti.

Anche in questo caso il presidente tribale Leon Bear firmò un accordo con un consorzio di 8 compagnie private per ospitare "temporaneamente" 40.000 tonnellate di rifiuti radioattivi, e per una comunità così piccola e povera, la frattura tra chi si opponeva e chi era a favore fu disastrosa. A complicare la questione si aggiunsero le accuse a Bear di elezioni non chiare (in cui ancora una volta vinse) e di cattivo uso di fondi tribali, mentre fiumi di denaro venivano offerti all’esigua comunità tribale purché desse il proprio consenso. Non solo, nel 2001 la tribù ed il consorzio citarono in giudizio lo stato dello Utah che si opponeva alla costruzione del sito.

Ora si prospettano nuovi guai per il consiglio tribale dei goshute, dato che l’IRS, ossia l’ufficio delle tasse americano, sta indagando sui conti tribali. In più lo stato dello Utah sta combattendo una dura battaglia legale in due corti d’appello federali che si regge su di un semplice concetto: la commissione che si occupa di nucleare, la Nuclear Regulatory Commission, non ha l’autorità per concedere permessi di stoccaggio a imprese private, quindi il sito nella riserva goshute non può essere costruito.

Al di là del garbuglio di corporativismi (è alla XCEL Corporation che fanno capo le varie imprese private) di decisioni arbitrarie di singoli, di pressioni e di corruzione, rimangono gli uomini e le donne che abitano in zone della terra in cui il lavoro è una chimera e la povertà la quotidianità. Persone senza scrupoli fanno leva su di loro prospettando come futuro dignitoso una realtà di sfruttamento devastante e, in questo caso, letale. E questo, oltre a succedere negli angoli più sperduti del sud del mondo, o dell’est, succede anche nel nord, nel cuore dell’America, e sembra essere uno schema ordinatamente preparato che esemplifica quell’environmental racism, il razzismo ambientale, di cui parlano intellettuali e osservatori di cose nativo americane. Se si è riusciti a mostrare la costruzione di siti di stoccaggio per scorie nucleari come conveniente e positiva in termini di ricadute economiche, che dire della costruzione di casinò nelle riserve le quali, essendo giuridicamente stati negli stati, dispongono di una legislazione che permette il gioco d’azzardo? Sarà più facile, o no?

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