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I linguaggi della politica
8.02.2004

I LINGUAGGI DELLA POLITICA.
Riflessioni a margine degli Stati Generali dell'Informazione.
Le proposte di Italia dei Valori

di Antonio Di Pietro e Francesco Paola*
Il giorno dopo gli "Stati generali" della informazione (ma non sarebbe stato più giusto chiamarli della costituzione? della democrazia?) è giusto che sia effettuata qualche riflessione maggiore sulle dinamiche in corso.
1) La prima di queste riflessioni concerne la necessità di linguaggi nuovi nella politica. La indispensabilità, per meglio dire, di analisi e di linguaggi nuovi.
Non v'è bisogno di citare la premio Nobel Amartya Sen per evidenziare quanto, allo stato attuale, tutte le dimensioni e libertà, tutte le questioni più importanti, siano strettamente connesse, strutturalmente interrelate tra loro. Questo vale come regola generale, vale tanto più in situazioni come quella italiana: dove le libertà fondamentali sono poste a rischio.
E' per questo che va detto, con tutta la necessaria chiarezza, che situazioni - simbolo (case-symbol) come la "Enron" italiana (il caso Parmalat) e la questione della informazione sono solo apparentemente dissimili.
Controlli insufficienti e inadeguati, sostanzialmente subalterni alla politica, (subalterna, a propria volta, a potentati economici di varia natura) hanno determinato scandali finanziari, crisi strutturali e di sistema per centinaia di migliaia di risparmiatori, per interi segmenti produttivi del Paese: il rapporto Eurispes 2004 evidenzia da ultimo l'impoverimento progressivo della classe media italiana, l'avanzare progressivo, di migliaia di nuovi poveri, pochi ricchi sempre più ricchi e garantiti.
Questa stessa strutturale insufficienza di cultura politica, di garanzie, di norme adeguate ed organi posti a tutela della indipendenza della informazione sono causa diretta al tempo stesso delle difficoltà sempre maggiori alla libera informazione in Italia, del rafforzamento sempre maggiore dei monopoli mediatici, della chiusura dei mercati che determina la impossibilità per molte imprese di accedere al mercato della comunicazione. Queste stesse difficoltà ed inerzie stanno facendo morire lentamente il cinema (quanto sono condivisibili, le parole di Citto Maselli!) e tutte le altre forme espressive e comunicative in Italia. E la democrazia, prima di tutto.
Un linguaggio nuovo, che parli a tutti, che renda a tutti percepibili queste semplici verità. E' quanto di più necessario.
Le riflessioni paiono spesso frammentate. Non pare ancora chiaro, ad esempio, alla moltitudine dei risparmiatori truffati da Parmalat che se vi fosse stata una stampa ed una informazione libera ed efficace, questo avrebbe potuto certo aiutare a prevenire se non anche a contrastare questi illeciti di sistema. La necessità che si pervenga ad accrescere queste forme di consapevolezza pare davvero indispensabile.
Oltre a ciò, tali analisi puntano alla riscoperta di un significato nuovo ed avanzato del principio costituzionale di separazione dei poteri: che colleghi la necessità di autorità indipendenti e scevre da influenze politiche, alla necessità di un servizio pubblico RAI che anche esso faccia della indipendenza ed imparzialità la propria bandiera.
Queste riflessioni è nostro desiderio (ci è dato di esprimere un desiderio?) possano essere comuni a tutti, a prescidere da qualsiasi appartenenza od alchimia politica: siano patrimonio dei risparmiatori di Parmalat come dei giornalisti RAI; appartengano a tutti i soggetti lesi dalla disinformazione e dalla situazione di conflitto di interessi mediatico, presenti ieri agli "Stati Generali".
2) Una seconda riflessione. Alcuni, e tra essi, ci pare, l'on. Fassino, hanno, ci pare, evidenziato, dopo avere elencato tutti i mali attuali, che utile antidoto alla lottizzazione politica della RAI potrebbe essere la liberalizzazione di parte almeno del servizio pubblico, di alcune delle reti RAI.
Ma, se così fosse, questa analisi parrebbe superata, parziale. Essa non terrebbe conto della complessità della situazione attuale: e cioè della esistenza di una vita democratica posta gravemente a rischio da un conflitto di interessi politico - mediatico senza pari nella storia della nostra (giovane) repubblica; di funzioni parlamentari, di governo, anche esse spesso esercitate in modo del tutto difforme dai principi costituzionali, e gravemente inquinate e poste a rischio da leggi il cui procedimento decisionale sia in pratica determinato, in modo decisivo, dal soggetto titolare di posizioni di conflitto di interesse e di cariche costituzionali, insieme.

Quanto sia enorme, e senza precedenti, e grave, questa vicenda, sul piano della analisi costituzionale e dei riflessi che può avere sul Paese non pare ancora oggi essere a sufficienza percepito (nonostante tutto) da parte di alcuni di quegli stessi soggetti cui è peraltro da rimproverare, certamente, la mancata approvazione della legge sul conflitto di interessi.
Un interrogativo poniamo senza pretesa di verità, solo affinchè si sviluppi il dibattito: è razionale parlare di dismissioni in assenza di condizioni di corretta concorrenza in Italia? di dismissioni che dovrebbero cioè avvenire in contesti di mercato privi di adeguati equilibri concorrenziali, privi, allo stato, di normative adeguate a prevenire gli abusi (ed in presenza anzi di normative volte ad incentivare posizioni di monopolio)? dismissioni in contesti di mercato privi di autorità garanti adeguate ed efficaci? non si correrebbe il rischio, anche per tale via, che segmenti essenziali del servizio pubblico RAI rafforzino ulteriormente le posizioni dominanti e i monopoli mediatici nei settori informativi?
E' evidente, sia chiaro a tutti, che nessuna dismissione potrebbe essere mai possibile se prima (o insieme) non si creano adeguati contrappesi istituzionali, e dunque sistemi di controllo finalmente indipendenti ed adeguati, e norme idonee a garantire pluralismo informativo ed apertura dei mercati.
Questo non significa essere pregiudialmente contrari alle dismissioni (e noi, che siano rappresentanti diretti, in Italia, della cultura democratico - liberale europea, non lo siamo di certo): significa che esse possono avvenire solo se preesiste un insieme di regole che garantiscano equilibri concorrenziali ed informativi adeguati ad un paese democratico e civile.
In sintesi, non si può pensare di parlare di liberalizzazioni in mercati che liberi non sono. Nè ci pare si possa neppure pensare di correre il rischio che per questa via finiscano per rafforzarsi sempre i soliti soggetti che già detengono posizioni di monopolio mediatico. Si apra dunque il dibattito, ma esso deve essere complessivo.
Anche sotto tali profili sono necessari linguaggi della politica più ampi, diversi, che tenga conto delle interrelazioni esistenti. La mancata approvazione di una legge seria sul conflitto di interessi, che impedisse le attuali degenerazioni democratiche è stato uno degli errori più tragici che una classe politica che si ispiri a valori costituzionali potesse commettere. Ciò è ormai storia di questo Paese. Non si corra dunque neppure il rischio di commettere gli stessi errori del passato.
3) In ultimo, un invito alla coesione, intorno a temi strategici ed essenziali. E' con questo spirito che abbiamo istituito un tavolo di "vigilanza costituzionale" sui temi della informazione. Una prima riunione nei prossimi giorni. Il tavolo ha avuto adesioni qualificate, ed è aperto a tutti. Non avrà cadenze fisse. L'obiettivo è di monitorare la situazione esistente. Ragionare sul da farsi per prevenire e contrastare possibili tentativi estremisti, o di strappo costituzionale dell'attuale presidente del consiglio (ciò che ci pare, purtroppo, più che possibile la reiterazione di larga parte della legge Gasparri dichiarata manifestamente incostituzionale, il decreto legge su Rete 4, le proposte di modifica della par condicio ne costituiscono, ci pare, sufficiente riprova). L'obiettivo è la costruzione di quelle analisi e linguaggi avanzati e nuovi, di cui prima di scriveva, e di cui tanto vi è bisogno. Grazie.
*Antonio Di Pietro (Presidente nazionale Italia dei Valori), Francesco Paola (responsabile nazionale concorrenza e conflitto di interessi)

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