6.05.2003
di Giuseppe Pisauro Silvia Giannini
La "Relazione sulla stima del fabbisogno
di cassa per l’anno 2003 – meglio nota come
Relazione di cassa (Rc) - presentata in aprile
è un documento importante perché costituisce
il primo momento di verifica degli obiettivi
del Governo sui conti pubblici.
La lettura della Relazione solleva tuttavia
alcuni dubbi sulle modalità con cui sono
state effettuate le previsioni delle entrate
e delle uscite e dei relativi saldi pubblici,
e non consente di confermare gli annunci
rassicuranti fatti dal Governo.
Vediamo alcuni esempi, concentrando l’attenzione
su alcune voci e sui principali saldi del
bilancio consolidato delle Amministrazioni
pubbliche, riportati nella tabella.
Crescita, indebitamento e avanzo primario
Innanzi tutto, va dato atto al Governo di
riconoscere, con maggiore tempestività rispetto
al passato, che l’economia sta andando peggio
di quanto originariamente previsto. Nel settembre
2002 la previsione di crescita per il 2003
era già stata rivista verso il basso: 2,3
per cento rispetto al 2,7 per cento inizialmente
prospettato nel Dpef presentato a luglio
2002. Ora, più realisticamente, la previsione
viene ulteriormente ridotta all’1,1 per cento,
un valore che potrebbe ancora rivelarsi ottimistico.
Il tasso di crescita nominale del Pil subisce
una riduzione più contenuta, soprattutto
se si confrontano le previsioni più recenti:
passa infatti dal 4,1 per cento (settembre
2002) al 3,9 per cento previsto nella Rc,
probabilmente come effetto di una più realistica
stima sull’andamento dell’inflazione. La
relazione rivede però solo il deflatore del
Pil, senza invece modificare il tasso di
inflazione dei prezzi al consumo che rimane
inchiodato su valori del tutto irrealistici.
I motivi di questo comportamento in apparenza
schizofrenico non sono particolarmente nobili:
un aumento del deflatore del Pil aiuta i
conti in quanto è associato a maggiori entrate;
al contrario, un aumento dell'inflazione
dei prezzi al consumo si ripercuote su contratti
e pensioni, quindi sulla spesa pubblica.
L’indebitamento delle Amministrazioni pubbliche
(Ap) - il saldo di riferimento per il Patto
di stabilità Ue - indicato pari allo 0,8
per cento del Pil nel luglio 2002, viene
aumentato a 1,5 per cento a settembre 2002
e ora (aprile 2003) al 2,3 per cento.
Sulla base di questi dati sono possibili
alcune considerazioni. In primo luogo, emerge
che nonostante gli interventi approvati con
la Legge finanziaria, nel 2003 il disavanzo
pubblico resterebbe sugli stessi livelli
raggiunti nel 2002 (2,3 per cento del Pil).
In secondo luogo, non è chiaro quanta parte
del peggioramento del disavanzo sia imputabile
alla revisione delle previsioni macroeconomiche.
Infatti, almeno in via di prima approssimazione
e nel breve periodo, l’indebitamento risente
per lo più dell’andamento del Pil nominale,
ma mentre quest’ultimo resta pressoché invariato
confrontando le previsioni di settembre 2002
e aprile 2003, l’indebitamento stimato aumenta
notevolmente. Infine, per effettuare un confronto
corretto tra il disavanzo 2002 e quello 2003
occorre considerare che a partire da quest’anno
il saldo in esame esclude gran parte delle
spese dell’Anas, non più considerata tra
le Ap, ma tra le imprese pubbliche che producono
per il mercato, come le ferrovie e le poste.
Ciò comporta una riduzione dell’indebitamento
di circa 2,5 miliardi di euro. Senza questa
"esternalizzazione", per molti
aspetti discutibile e che potrebbe non essere
accettata da Eurostat
, l’indebitamento raggiungerebbe il 2,5 per
cento del Pil. Un valore certo ancora inferiore
al fatidico limite del 3 per cento, ma comunque
elevato, soprattutto se si considera che
al suo contenimento contribuisce la riduzione
del peso degli interessi passivi, di circa
mezzo punto di Pil rispetto a quanto previsto
a luglio e settembre 2002 (1).
Le spese al netto degli interessi, invece,
aumentano più delle entrate e infatti l’avanzo
primario atteso (differenza tra entrate e
spese, esclusi gli interessi) peggiora di
circa due decimi di punto rispetto al 2002
(scendendo dal 3,4 per cento al 3,2 per cento
del Pil) e si allontana sensibilmente dai
precedenti obiettivi (5,1 per cento e 4,5
per cento, rispettivamente a luglio e settembre
2002).
Il peggioramento dell’avanzo primario suscita
preoccupazioni ancora maggiori se si ricorda
che esso avviene nonostante entrate e spese
risentano ancora nel 2003 di massicci interventi
straordinari, in particolare ulteriori cartolarizzazioni
e numerose sanatorie fiscali. La Relazione
di cassa non chiarisce, tuttavia, completamente
la portata quantitativa di questi interventi
e soprattutto non ne tiene distinti gli effetti,
il che rende difficile la lettura e l’interpretazione
del vero andamento previsto per i conti pubblici.
La scarsa trasparenza delle previsioni di
entrata
Prendiamo, per esempio, le entrate in conto
capitale, che sono suddivise in due voci:
"imposte in conto capitale", dove
vengono solitamente contabilizzati gli incassi
di imposte straordinarie, come quelli derivanti
dalle sanatorie fiscali, e "altre entrate
in conto capitale di natura non tributaria".
L’insieme di queste voci aumenta da 5,6 a
7 miliardi di euro, e la Relazione (p. 21)
spiega il positivo andamento con gli introiti
connessi al rientro dei capitali illegalmente
detenuti all’estero (scudo fiscale). In realtà ,
la voce "imposte in conto capitale"
dove anche l’anno scorso sono stati correttamente
contabilizzati gli introiti dello scudo fiscale,
resta costante, a 2,9 miliardi di euro, rispetto
al 2002. Ciò è comprensibile, se si pensa
che nel 2002 le imposte in conto capitale
includevano, oltre agli incassi derivanti
dalla regolarizzazione dei capitali illegalmente
detenuti all’estero, le somme restituite
dalle banche per le agevolazioni non ammesse
in sede comunitaria, per un importo complessivo
di circa 2 miliardi di euro e che un importo
sostanzialmente uguale è previsto nel 2003,
a seguito della riapertura e dell’estensione
alle società dello scudo fiscale. Ma allora
non è chiara la spiegazione fornita dalla
Relazione, né cosa giustifichi l’aumento
delle entrate in conto capitale di natura
non tributaria (da 2,7 a 4,2 miliardi).
La stabilità delle imposte in conto capitale
evidenzia inoltre che esse non includono,
a differenza dell’attuale prassi contabile,
il gettito di tutte le altre sanatorie (condono
tombale, concordato per gli anni pregressi,
chiusura delle liti fiscali, etc.). Queste
ultime misure straordinarie, aggiuntive rispetto
al 2002, sembrano dunque alimentare le entrate
correnti di natura tributaria (imposte dirette,
indirette e contributi sociali), che crescono
del 4,5 per cento, rispetto al 2002. Se questa
procedura può servire a togliere il Governo
dall’imbarazzo di dover fornire una quantificazione
di ciò che si attende di incassare nel prossimo
mese dai numerosi condoni, al contempo rende
impossibile valutare l’andamento delle singole
voci di entrata e le ipotesi sulla base delle
quali sono costruite le stime.
In sostanza non si sa quanto di questo andamento
sia imputato all’effetto automatico della
crescita del Pil nominale, quanto a provvedimenti
strutturali di modifica del sistema, soprattutto
il primo modulo della riforma dell’Irpef,
e quanto a misure "una tantum"
come i condoni.
In conclusione, nonostante la gran quantitÃ
di dati presentati nella Relazione, permane
l’incertezza sui conti del 2003 e sull’ereditÃ
che le misure straordinarie cui si è fatto
ricorso in questi anni lasceranno nel futuro.
Come interpretare l’affermazione contenuta
nella Relazione (p. 20), secondo cui a differenza
del passato la previsione dell’indebitamento
per il 2003 "costituisce una stima e
non un obiettivo"? È da attendersi una
nuova manovra di finanza pubblica in corso
d’anno?
L’incertezza sulla politica economica si
aggrava se si guarda poi al medio periodo.
Il Governo continua a promettere una riduzione
strutturale delle imposte, così come previsto
dalla legge delega per la riforma fiscale
e ribadito nella Relazione di cassa, che
comporterebbe, a regime (tenendo conto dell’abolizione
dell’Irap e della modulazione su due sole
aliquote dell’Ire), una riduzione del prelievo
di circa 60 miliardi di euro, pari a circa
4 punti di Pil. Contemporaneamente, si dovrebbe
assistere a una massiccia devoluzione di
competenze dallo Stato centrale alle Regioni
e agli enti locali, un’operazione che con
il moltiplicarsi dei centri di responsabilitÃ
appare destinata a provocare nuove tensioni
verso un aumento della spesa.
È realistico pensare che queste promesse
possano essere mantenute, nei prossimi anni,
dato il tendenziale peggioramento dell’avanzo
primario di cui si è detto, la necessitÃ
di compensare le numerose una tantum che
hanno consentito la "resistenza"
dei conti pubblici nel 2002 e nel 2003 e
le prospettive di crescita economica, che
se pure migliorassero non saranno certo sufficienti
a finanziare i tagli delle imposte e il nuovo
federalismo?
Per il momento, lascia intendere la Relazione,
tutto è rinviato al prossimo Dpef e alla
prossima Legge finanziaria, quando saranno
noti i dati del condono e dell’autotassazione.
(1) L’incidenza di questa voce di spesa,
già scesa fortemente nel 2002 (dal 6,4% al
5,7% del Pil) passa ora, nelle previsioni
del governo, al 5,5%)
da www.lavoce.info
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