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Zitti zitti demoliscono l’Italia - di Willer Bordon
2.03.2004
Se avessimo un governo normale Bossi non sarebbe ministro. Se fossimo un paese normale di fronte alle esibizioni demenziali di Umberto Bossi la maggioranza per scoppiare. È il caso, dunque, di prendere atto che la fenomenologia del caso italiano è, per più ragioni, del tutto atipica.
Ed è il caso di evitare di derubricare gli ultimi episodi solo sotto la categoria della carnascialata e non solo perché domenica era la prima di Quaresima, ma perché sarebbe il caso di cogliere gli elementi, tutt’altro che insigni  che tengono insieme, come il cemento, il matrimonio tra Bossi e Berlusconi. I due rappresentano, pur con una differente tecnica teatrale, il medesimo canovaccio: l’umore profondo di una destra populista, antilegalitaria, insofferente a regole, comprese quelle grammaticali e culturali.
Perché, dunque, stupirsi se sotto il bombardamento a tappeto di questa coppia esemplare di volta in volta, senza alcun limite, l’Europa, la magistratura, il Quirinale, il papa, la Chiesa? Come non cogliere, dunque, che è tutt’altro che solo propaganda quanto sta andando in onda (nell’Italia di Berlusconi anche il lessico per dimensionarsi alla radice televisiva) nell’aula del senato. Dove da più settimane si recita a soggetto lo sceneggiato che ha per titolo: «Come ti riduco a brandelli l’Italia costituzionale». In queste stesse pagine sono stati ospitati articoli e riche mettevano in luce astrusità, perversità, sgrammaticature di un tentativo di riforma costituzionale che suscita, a dir poco, “ribrezzo estetico”. Nicola Mancino e Leopoldo Elia hanno, con dovizia di particolari e competenza politica e scienti messo in risalto i punti più assurdi, più contradditori, più pericolosi di quello che sta accadendo a palazzo Madama.
Ma se ho sentito il bisogno di scrivere è perché non avverto in fondo - non dico nella più opinione pubblica vasta (in cui solo in parte si avverte il ridelle modicostituzionali sulla grama vita quotidiana), ma nemmeno nel più ristretto quartiere della politica e di coloro che fanno opinione - la dovuta attenzione e il dovuto allarme.
Eppure quello che sta avvenendo al senato è colossale. Si tratta del tentativo, mai così devastante, di modicare qualità e quantità di 35 articoli della Costituzione, cioè di gran parte della nostra Carta fondante. E il fatto che in questa fase non vi sia in gioco la prima parte, quella dei Principi fondamentali non tragga in inganno. Quando la demolizione della seconda parte sarà cosa fatta, la prima apparirà del tutto estranea ed i suoi valori fondamentali inutili orpelli da cui disfarsi il più rapidamente possibile.
Non vi è, dunque, attorno a tali questioni attenzione sufficiente, ad eccezione dell’iniziativa meritoria di Libertà e Giustizia e della sua presidente Sandra Bonsanti, che ha acquistato pagine di pubblicità sui maggiori quotidiani nazionali per cercare di rompere un innaturale silenzio.
Eppure alcune di queste norme devitalizzano i poteri attribuiti al presidente della repubblica facendo venir meno il suo ruolo di garante della Costituzione e dei cittadini. Eppure alcune di queste norme cercano di mettere sotto tutela “politica” la stessa Corte costituzionale. Eppure alcune di queste norme non solo non costruiscono nessun approccio seriamente federale ma con la cosiddetta “devoluzione” destruttureranno l’unità nazionale trasferendo tutti i poteri in materia di sanità e di istruzione alle diverse regioni.
In un’Italia in cui il sistema scolastico e sanitario già presenta caratteristiche assai poco commendevoli, si vuol dar vita a venti - venti - sistemi scolastici e sanitari diversi. Lo stato italiano frammentato sarà controllato da un solo potere: quello del capo del governo. Un capo che domina la scena o nel caso attuale, come giustamente ricorda Libertà e Giustizia, a dominare il palcoscenico, con i cittadini trasformati in una platea obbligatoriamente plaudente.
Tra il ‘46 ed il ‘47 un’Assemblea costituente di 556 componenti lavorò per una anno e mezzo per scrivere ed approvare la Costituzione italiana. Tra loro c’era il meglio della cultura umanistica, scientifica e politica.
Da Piero Calamandrei a Guido Calogero, da Guido Carli a Gaetano Martino, da Emilio Lussu ad Ugo La Malfa, da Arturo Labriola a Giuseppe Saragat, da Giuseppe Dossetti ad Aldo Moro, da Benedetto Croce a Luigi Einaudi, da Giuseppe Di Vittorio a Palmiro Togliatti, da Concetto Marchesi a Rodolfo Morandi, da Enrico Mattei a Cesare Merzagora, da Mario Pannunzio a Ferruccio Parri, da Sandro Pertini a Leo Valiani.
Ricordo alcuni di quei nomi che sotto la presidenza di Umberto Terracini - presidente del consiglio era Alcide De Gasperi - scrissero la nostra Carta fondamentale.
Questo per cercare di far capire la distanza abissale che ci separa dal “pastrocchio” che, oggi, sembra scriversi stancamente al senato. Oscar Luigi Scalfaro, Giulio Andreotti, Emilio Colombo: i tre costituenti oggi senatori a vita, forse, più di chiunque altro potrebbero commentare e valutare la distanza siderale tra quei luoghi, quei tempi, quegli uomini e i “saggi” di Lorenzago, di cui degno di nota e di ricordo appaiono unicamente... i calzoncini di Calderoli.
È forse questa distanza che rischia di rendere il tutto incredibile e che fa pensare a molti che si sia di fronte soltanto ad una sceneggiata. Che è il prezzo da pagare a Bossi per la campagna elettorale ma, domani, una volta passata la tornata elettorale, tutto finirà in un cassetto o in un cestino.
Mi permetto di dissentire; certo è possibile che questo avvenga specie se come si preannuncia la Casa della libertà riceverà una lezione elettorale.
Ma lo sfregio, intanto, esiste e resiste.
L’idea di poter modificare con procedura ordinaria parti così vaste della Costituzione e, per di più, a colpi di maggioranza costituisce un precedente di proporzioni colossali; e a quello studente che tra qualche anno, magari consultando gli annuari parlamentari, scoprirà, leggendo gli stenografici, «con cotanto insano senno», sarà difficile spiegare che si trattava solo di una sceneggiata.
E se così non fosse? Se tutto corrispondesse a quel qualcosa di ideologico che unisce Bossi e Berlusconi, a quel disegno perversivo che ne sottende i propositi? Ecco perché occorre reagire di più e meglio. A questo stiamo pensando come gruppi parlamentari del centrosinistra al senato, a questo chiamiamo tutti coloro che nel paese avvertono la medesima preoccupazione ed il medesimo pericolo. Non vorremmo che un governo a pezzi facesse a pezzi l’Italia.
 
 
Fonte: www.europaquotidiano.it
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