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Anna Mae e le altre (di Paola Carini)
3.03.2004

"Si aggirano degli spettri a Wounded Knee", scrive il giornalista oglala lakota Tim Giago. "Alcuni del massacro del 1890, altri dell’occupazione del 1973". Wounded Knee si trova nel cuore di Pine Ridge, la riserva della nazione sioux nel South Dakota che comprende la parte meridionale delle Badlands, le tipiche conformazioni rocciose erose dal vento comprese tra la zona sudoccidentale del South Dakota e quella nordoccidentale del Nebraska. Con il trattato di Fort Laramie del 1868 il Congresso aveva attribuito l’intera area delle Badlands, ora parco nazionale, ai sioux, salvo riprendersele pochi anni dopo quando vi fu scoperto l’oro. Erano gli anni ottanta dell’Ottocento, gli anni dell’accaparramento della terra indiana che il governo aveva "comprato", confiscato, parcellizzato e poi venduto al miglior offerente, ma anche il periodo in cui si diffuse tra molte tribù un revival religioso chiamato Ghost Dance, la Danza degli Spettri, iniziato dal profeta paiute Wovoka. Sebbene contenesse un forte messaggio di pace, nel 1890 il governo proibì questa pratica religiosa temendo che avrebbe potuto incitare alla lotta soprattutto i sioux che, rinchiusi nella riserva, erano ridotti in estrema povertà e decimati dalle malattie.

Il 28 dicembre 1890 un gruppo di minneconjou sioux con a capo Big Foot (noto anche come Spotted Elk) si diresse verso Wounded Knee per unirsi ad altri sioux che non intendevano abbandonare la nuova religione. Inseguiti, vennero circondati dal Settimo Cavalleria. Fu presumibilmente uno sparo accidentale a scatenare l’esercito che massacrò più di trecento tra uomini, donne e bambini sioux falciandoli con i temibili cannoni revolver Hotchkiss. Circa 150 corpi, ricoperti dalla tempesta di neve che si abbattè nelle ore successive, vennero poi sepolti in una fossa comune. Gli altri, molto probabilmente, vennero lasciati congelati sotto la neve. Sopravvissero solo due persone: una donna anziana e una bimba, salvatasi grazie al corpo della madre che le aveva fatto da scudo.

Per molto tempo ci fu un cartello posto in quel luogo che indicava l’accaduto come "La Battaglia di Wounded Knee" ma, sebbene la Storia non abbia ancora chiarito fino in fondo né le dinamiche né i ruoli dei protagonisti principali, rimane l’incontrovertibilità dell’esito finale: non si trattò di uno scontro militare, ma del massacro di gente inerme.

Nel febbraio del 1973 duecento attivisti dell’American Indian Movement, sorto in difesa dei diritti civili dei nativo americani, si ritrovarono a Wounded Knee per protestare contro il consiglio tribale di Pine Ridge e, al contempo, commemorare il massacro. La ferrea disciplina stabilita dal capo del consiglio, Richard Wilson, sfociava spesso in pestaggi e intimidazioni nei confronti di coloro che dissentivano. L’arrivo dei giovani attivisti aumentò le tensioni fino a trasformarsi in un vero e proprio assedio della cittadina. Circa 2000 nativo americani rimasero barricati in città per più di 70 giorni, sotto il tiro di 300 sceriffi federali e agenti dell’FBI. Due di loro morirono durante gli scontri a fuoco ma, alla fine, l’occupazione di Pine Ridge ebbe l’effetto di amplificare le rivendicazioni dei nativo americani, ovvero la tutela dei loro diritti civili. Il 27 marzo Marlon Brando vinse l’Oscar per "Il Padrino" ma non ritirò la statuetta. Sul palco salì invece una giovane donna nativo americana che, a nome dell’attore, rifiutò l’onorificenza adducendo ai fatti di Wounded Knee e al trattamento riservato ai nativo americani nell’industria del cinema e nella televisione.

Anna Mae e le altre

Tre anni dopo quei fatti violenti ebbero un tragico strascico. Anna Mae Pictou-Aquash, giovane madre di 25 anni di origini micmac, cittadina canadese e attivista AIM, venne portata a Rapid City (South Dakota) per incontrare alcuni leader dell’AIM. Il fatto che quando veniva arrestata dall’FBI veniva immediatamente rilasciata o che quando altri suoi compagni venivano presi lei rimaneva libera, aveva dato adito al sospetto che fosse un’agente federale infiltrata. Il suo corpo fu trovato nel febbraio del 1976 nelle Badlands, all’interno della riserva di Pine Ridge. Un colpo alla nuca l’aveva freddata mentre aveva le mani legate.

Nel febbraio di quest’anno Arlo Looking Cloud, l’uomo che la condusse in auto fino a quella strada isolata dove venne uccisa, è stato condannato, sebbene lui indichi John Graham, cittadino canadese di cui si attende l’estradizione, quale esecutore materiale.

Ancora una volta, e a 28 anni di distanza, i personaggi e le circostanze continuano ad essere tutt’altro che cristallini, l’accertamento dei fatti continua ad oscillare tra testimonianze e "sentito dire", tra accuse reciproche e la sospetta presenza di agenti federali infiltrati con ruoli destabilizzanti. A molti sembra che Looking Cloud sia semplicemente una vittima di macchinazioni ben più grandi di lui. Altri come Russell Means, uno dei leader storici dell’AIM, addossa la responsabilità a non ben identificati infiltrati nel movimento, ma la magistratura non ha mai indagato più a fondo chiedendo conto delle sue affermazioni. Alla gran parte degli residenti di Pine Ridge il processo appare come un atto di ingiustizia, l’ennesimo, nei confronti di un nativo americano preso come capro espiatorio.

Ogni linea, seppur sottile, di demarcazione tra vero e falso è risucchiata da questo vortice di identità doppie – altri come la moglie di Dennis Banks, leader dell’AIM, lavoravano per l’FBI – di omicidi irrisolti, di improbabili assassini (si pensi a Leonard Peltier) di contraddizioni e di violenze. I chiaroscuri della Storia si stagliano sullo sfondo degli eventi, mentre in primo piano rimane l’incontrovertibilità della morte di Anna Mae e la ricerca, vana, della verità da parte delle sue figlie.

Si aggirano degli spettri a Wounded Knee, e sono gli spettri del dubbio, delle verità negate, delle donne usate, ma ce ne sono altri che si aggirano per quel conglomerato di comunità nativo americane sparse per tutti gli Stati Uniti che si chiama Indian Country. Anche questa volta sono spettri di donne. E sono migliaia.

Nel 1974 la coraggiosa dottoressa Connie Uri, choctaw, che lavorava nell’ospedale indiano di Claremore, in Oklahoma, pubblicò un articolo su di un periodico mohawk, l’Akwesasne Notes. In esso denunciava che molte delle donne in età fertile che si rivolgevano alla struttura ospedaliera avevano subito un intervento di isterectomia oppure la chiusura delle tube senza che ci fosse stata alcuna necessità medica, senza avere dato un consenso consapevole, senza avere idea delle conseguenze e, in alcuni casi, dopo essere state minacciate. La notizia si sparse immediatamente e altre tribù si attivarono per verificare la presenza di simili episodi, ma solo nel 1976 il Congresso intervenne attraverso il GAO, il General Accounting Office. L’ufficio indagò prendendo in considerazione all’inizio quattro ospedali di aree diverse, poi dodici. Il GAO è il braccio investigativo del Congresso che interviene per valutare l’uso di fondi e l’adempimento regolare di programmi e attività promossi a livello federale e, siccome quegli ospedali facevano capo all’Indian Health Service (IHS) il quale a sua volta esplicita l’intervento federale a sostegno della salute pubblica dei nativo americani nelle riserve, ecco spiegata l’indagine congressuale. Il risultato fu che la sterilizzazione proposta (e imposta) tra il 1972 e il 1976 riguardò 3406 donne nativo americane tra i quattordici e i quarantaquattro anni ma, essendo uno studio limitato a poche tribù rispetto alla totalità degli ospedali con utenza tribale e soprattutto basato unicamente sulle cartelle e sui documenti forniti dagli ospedali stessi, le stime delle donne rese sterili sono molto, molto più alte.

Alcune di loro si rivolsero al tribunale, ma ben presto scoprirono che i medici e il personale ospedaliero che avevano "consigliato" loro questo tipo di operazione chirurgica prospettandola come un ottimo sistema contraccettivo, si erano premuniti di fargli firmare tutta la documentazione necessaria affinché apparissero pienamente consapevoli della decisione. Non c’era modo, quindi, di perseguire penalmente i responsabili.

Il fenomeno ebbe anche portata nazionale. Dagli inizi degli anni settanta fino al 1982 si stima che della popolazione femminile statunitense il 15% delle donne bianche, il 24% delle donne afro-americane, il 35% delle donne portoricane e il 42% delle donne nativo americane sia stato sterilizzato senza consenso. Il gruppo etnico e la povertà furono la discriminante che fece da propulsore a questa pratica ignobile, le cui radici affondano nelle teorie eugenetiche di fine Ottocento che, incorporate nel corpus legislativo di 31 stati americani tra gli anni venti e trenta del Novecento, avevano giù sterilizzato "per legge" un numero incalcolabile di donne.

Si aggirano degli spettri in Indian Country, e sono quelli delle maternità negate e delle donne violate. Nel corpo. Nell’intimo. A migliaia. E anche questo è un fatto incontrovertibile.

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