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E' OPPORTUNO GUARDARE OLTRE L'EUROPA
4.03.2004
E' indispensabile lavorare ad una reale comunità europea su basi politiche oltre che economiche di solo mercato, ma non sarà sufficiente. I segnali che arrivano dal resto del mondo sull'occupazione sembrano indicare un progressivo e continuo incremento della disoccupazione. Osservatori economici accreditati evidenziano un forte calo d'occupazione in essere da oltre un ventennio. Occorre ripensare l'intero sistema economico. Prendo spunto dal recente articolo di Padoa Schioppa su i mali dell'Europa che non decolla e dell'Italia in particolare per cercare di ampliare, in epoca di economia globale, l'angolo di visuale a tutto il mondo produttivo, comprensivo dei cosiddetti paesi emergenti, Cina e India. Infatti la condivisibile sintetica analisi circa i mali dell'Europa e di alcuni singoli stati porta alla scontata conclusione della assoluta necessità perchè si operi in modo da realizzare una vera unità politica, oltre che di mercato, di tutti gli stati membri o in via di accoglimento, per tentare di dar luogo ad un reale processo di sviluppo comunitario. Momento indispensabile, quindi necessario, ma nell'ottica dell'andamento globale del rapporto economia-occupazione insufficiente. Uno dei pilastri del liberismo dei vari stati è sempre stato quello di creare i presupposti per una forte domanda interna onde permettere un'economia di scala tale da determinare una crescente competitività nell'esportazione e un flusso continuo di liquidità per gli investimenti e la ricerca, oltre ovviamente agli utili per la remunerazione del capitale d'impresa. Eblematica a questo proposito la riunificazione delle due Germanie che il governo occidentale favorì proprio in quest'ottica: raddoppiare la popolazione, con un 50% di essa affamato di tutto e disposto, se messo nelle condizioni economiche di farlo, gardatamente ad aumentare considerevolmente la richiesta interna di consumi. Nel frattempo si era scoperto o si scoprì quanto vantaggioso fosse spostare le produttività in paesi con basso costo di manodopera, anche qualificata. Ed ecco che gran parte dell'economia occidentale si trasferisce nel post-industriale dei servizi, fatte salve le produzioni che, diverse da stato a stato, venivano di volta in volta definite strategiche. Subito a seguire il massiccio rapidissimo evolversi delle nuove tecnologie, che dapprima hanno funzionato come ricerca e produzione primarie, tali da richiedere un considerevole apporto di operatori altamente specializzati che ha permesso di bilanciare le perdite di manodopera dei settori dove queste tecnologie venivano impiegate, ma che oggi sembra a sua volta segnare il passo con evidenti segni di forte riduzione di addetti. L'occidente si sente minacciato nel suo valore più sacro: il benessere; reinventa una dottrina d'emergenza che va sotto il nome di neo-liberismo dove tutto è permesso e concesso in nome del Dio business. E' in questa "disperazione" che si può trovare una chiave di lettura delle preconfigurate, ma raffazzonate campagne belliche di recente e attuale memoria. Non dimentichiamo che la crisi dei mercati e di borsa è di fatto antecedente l'11 settembre, anche se oggi quella data e quell'evento vengono populisticamente indicati come inizio di un nuovo calendario: tutto è colpa del terrorismo. Ma a ben guardare la storia, c'è sempre stato un Bin Laden cui addebitare tutte le nefandezze e le colpe di eventi scomodi.( Prima che mi si accusi di essere fiancheggiatore o anche solo simpatizzante di Al Qaeda dichiaro che non condivido nè approvo nulla di quello che questi signori hanno fatto, fanno e probabilmente faranno). Nonostante i tentativi dell'ultim'ora il modello economico fin qui adottato è arrivato al suo capolinea come meglio di me dicono i seguenti articoli che riporto solo come sommario: USA, New York Times: Teoria e realtà ------------------------------------------------------------------------ La globalizzazione ed i lavoratori americani. ------------------------------------------------------------------------ Lo status del lavoratore americano qualificato, ben pagato, protetto dal sistema sanitario e pensionistico ha subito in questi anni colpi durissimi. La ragione, secondo il columnist del New York Times, sta nell'economia globalizzata. La realtà, afferma Bob Herbert, sta sconfessando quanti affermavano che la globalizzazione avrebbe trasformato il mercato del lavoro negli Stati Uniti moltiplicando i lavori migliori e meglio pagati. Gran Bretagna, The Guardian: Il vecchio dilemma ------------------------------------------------------------------------ Crescita della produttività e distruzione dei posti di lavoro. E la domanda ? ------------------------------------------------------------------------ Il commento pubblicato dal Guardian è firmato da Jeremy Rifkin, autore -tra l'altro- del celebre volume "La fine del lavoro". Secondo Rifkin, l'economia è di fronte ad un vero e proprio dilemma: se i progressi teconologici provocano nel contempo la crescita della produttività e l'espulsione del lavoro umano, da dove verrà la domanda per consumare i nuovi prodotti e servizi ? una contraddizione inerente all'economia di mercato sin dai suoi albori ma che ora appare irrisolvibile. In particolare da quest'ultimo riprendo due citazioni di dati incontrovertibili: 1) "dal 1982 al 2002 la produzione USA di acciaio è cresciuta da 78m a 102m tonnellate mentre i lavoratori del settore acciao sono diminuiti, sempre nel medesimo periodo, da 289m a 78m": 2) Il fenomeno del calo di occupazione è generalizzato e coinvolge già da tempo anche i paesi emergenti. Tra il 1995 e il 2002 la Cina ha perso più di 15m posti di lavoro nell'industria manufatturiera, il 15% del suo totale addetti del settore. Io non so dire se per santità o se per opportuno suggerimento dei suoi attenti ed esperti consiglieri economici che il Papa, un anno fa, ebbe a dire "bisogna passare dall'economia del business all'economia del soddisfacimento dei bisogni primari". Certo è che stante tutta una serie di forti e oggettivi segnali si fa impellente una nuova concezione economica del mondo. E se una strada fosse quella propugnata dai Social Forum, fin da Porto Alegre, nel ripartire a riscrivere tutto dall'aggregazione sociale più piccola, quella della comunità ovvero del comune attraverso una strategia federativa con i limitrofi o quelli aventi realtà e problematiche comuni e/o complementari? In apparenza potrebbe risultare semplicistica, ma a ben guardare anche l'organismo umano è fatto di cellule e se ognuna viene mantenuta efficiente nella sua funzionalità precodificata, ricambio generazionale, e nelle sue interconnessioni con le altre, tutto funziona perfettamente. Non è un caso che la nostra costituzione in prima istanza definisca l'Italia come Repubblica fondata sul lavoro. Infatti è solo attraverso il lavoro e il conseguente salario sufficiente che un individuo può assurgere alla dignità di persona, persona libera e quindi in grado di trasformarsi in quel cittadino portatore dei valori fondamentali, ugualmente definiti con chiarezza dalla prima parte della costituzione medesima, necessari per una civile costruzione e crescita della società. Senza il lavoro tutto crolla per mancanza di risorse. Viene meno la capacità di spesa che ferma ulteriormente l'economia, viene meno gran parte del gettito fiscale per assicurare il diritto allo studio, alla sanità, alla solidarietà sociale e via dicendo. PENNAdOCA
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