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Tobin Tax, si riparte da Roma
6.03.2004

Un granello di sabbia negli ingranaggi degli scambi finanziari: questo è la Tobin Tax, un’imposta piccola piccola, dello 0,1%, sulle transazioni valutarie che potrebbe però consentire, sull’enorme volume delle operazioni speculative, di mettere insieme un gettito significativo da destinare allo sviluppo.

Ha il sapore di un’utopia, ma non lo è. Già ipotizzata da Keynes nella sua Teoria generale, la tassa è stata proposta per la prima volta nel 1972 da un serissimo accademico, James Tobin, che nel 1981 vinse il Nobel per l’economia per i suoi studi sui sistemi finanziari.

Da autorevoli economisti è considerata non una panacea, ma un’idea da studiare e una buona cura per mantenere in salute gli stessi mercati. Per trasformarla in realtà ci vuole una normativa coordinata a livello internazionale.

E ora qualcosa si sta muovendo.

In Francia il parlamento nel 2001 ha approvato una legge, con un’aliquota pari a zero che sarà modificata nello 0,1% non appena gli altri stati dell’Unione europea avranno introdotto una misura identica. Lo stesso ha fatto la Finlandia, mentre il Belgio si appresta al voto definitivo entro il 30 aprile. Il parlamento europeo ne ha discusso nel 2000, senza però approdare a una risoluzione condivisa. Il Canada il 23 marzo del 1999 ha dato il via libera a una mozione proposta dal New Democratic Party dell’opposizione, approvata a larga maggioranza grazie all’appoggio del ministro delle finanze e della maggior parte del Liberal Party al potere. Negli Stati Uniti invece una proposta è stata presentata al Congresso nell’aprile del 2000 e bocciata a maggio del 2001.

È chiaro che solo un forte lavoro di concerto, una globalizzazione virtuosa può portare a veri risultati. Le leggi introdotte infatti sono tutte a tempo, prevedono cioè che la Tobin Tax entrerà concretamente in vigore quando tutti saranno pronti e la comunità internazionale, almeno all’interno di alcune grandi aree, fischierà il calcio di inizio.

In Italia un gruppo di parlamentari del centrosinistra ha deciso di intraprendere pazientemente l’impresa della Tobin Tax e ha trasformato in proposta di legge una iniziativa popolare promossa da Attac, l’associazione nata in Francia nel giugno del 1998 sul progetto Tobin Tax che ora ha una sorella italiana. La proposta è stata illustrata ieri alla camera, approfittando della presenza di Bruno Jetin, economista di Attac France, a Roma per essere ascoltato dalle commissioni esteri e finanze.

Jetin ha sottolineato come il "granello di sabbia" potrebbe essere utile anche per stabilizzare le fluttuazioni dell’euro.

Gli scambi valutari sono infatti per il 90% di natura speculativa, finalizzati cioè solo al rapido guadagno finanziario. Un piccolo prelievo potrebbe raffreddare la febbre dei mercati perché colpirebbe in modo significativo quando vi sono forti turbolenze speculative, con un grande numero di movimenti in tempi rapidissimi.

La proposta di legge, primo firmatario Alfiero Grandi (Ds), cammina caparbiamente, in un clima politico che non consente grandi illusioni bipartisan, anche se ieri molti parlamentari del centrodestra hanno manifestato interesse per l’idea. «Concluderemo le audizioni entro giugno, e poi promuoveremo una discussione con il centrodestra per vedere quali spazi ci sono», dice Grandi.

Mentre Mario Lettieri, della Margherita, sottolinea che «non si tratta di una rivoluzione, ma di un meccanismo che produrrebbe risorse notevoli per lo sviluppo dei paesi più poveri».

L’ipotesi allo studio del parlamento italiano ha un valore aggiunto rispetto a quelle già approvate altrove. Prevede infatti che se entro diciotto mesi la Tobin Tax non sarà introdotta a livello europeo, l’Italia partirà da sola, sottoponendo a una microimposta dello 0,02% le transazioni sui mercati italiani. Proviamo a dare il buon esempio.

da www.europaquotidiano.it

 

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