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Perché insistiamo nel chiedere una svolta in Iraq
20.03.2004

Perché insistiamo nel chiedere una svolta in Iraq

Le ragioni addotte per invadere militarmente l’Iraq si sono dimostrate inconsistenti. La presenza in quel paese d’armi di distruzione di massa tanto da costituire un pericolo imminente per la sicurezza degli Stati Uniti e dell’Europa era assolutamente infondata.

Non dimentichiamo che lo stesso presidente del consiglio, intervenendo sulla questione irachena, ha più volte avallato la tesi dell’esistenza di «formidabili strumenti di sterminio» in Iraq, tali da giustificare un intervento unilaterale. Ma le cose non stavano affatto così.

Le indagini condotte dopo la fine del conflitto armato dal vasto contingente di ispettori ed esperti americani, inviato in Iraq dal presidente Bush e diretto da David Kay, hanno concluso che non esistevano in Iraq armi di distruzione di massa. L’emergere di questa verità ha semi-distrutto la credibilità del governo del presidente Bush e di quello di Blair davanti le loro opinioni pubbliche.

Il tempo ha dimostrato che questa guerra non è servita né a eliminare una sola arma di distruzione di massa, né a diminuire la minaccia terroristica. È invece servita a indebolire l’autorità delle Nazioni Unite, a dividerci all’interno del paese e dai nostri principali partners europei, a danneggiare l’immagine dell’Italia nel terzo mondo, in particolare nei paesi musulmani.

I nostri soldati hanno fatto parte della forza di occupazione sotto comando americano e operanti sotto il codice militare di guerra.

La risoluzione 1511 del Consiglio di sicurezza dell’Onu risale solo allo scorso ottobre e, nel legittimare la forza d’occupazione in Iraq, ne giustifica la presenza per ristabilire all’interno del paese condizioni di sicurezza, venute meno a seguito della guerra, e per restituire al più presto la sovranità agli iracheni. A tal fi- ne invitava il Consiglio di governo e l’Autorità provvisoria americana a sottoporre al Consiglio di sicurezza entro il 15 dicembre 2003 un preciso calendario per redigere la nuova costituzione irachena e per indire, ai sensi di tale costituzione, lo svolgimento di elezioni democratiche. Da parte sua, Bush ha stabilito che la sovranità agli iracheni dovrà essere restituita entro il 30 giugno 2004: quattro mesi prima delle elezioni presidenziali americane.

Nel frattempo le condizioni di sicurezza in Iraq si sono deteriorate ulteriormente, si è assistito ad un escalation di violenza che causa uccisioni pressoché giornaliere. È quindi evidente come le attuali forze di occupazione, in particolare quelle che hanno condotto la guerra, non siano in grado di ristabilire l’ordine e la sicurezza, sempre più costrette a nascondersi per difendere se stesse, piuttosto che contribuire alla realizzazione di un efficace programma di ricostruzione delle infrastrutture del paese.

La situazione è veramente complessa ed è da dubitare che l’Autorità provvisoria americana e il Consiglio di governo iracheno che opera sotto il controllo degli Stati Uniti, siano in grado di gestire la transizione verso la cessione della sovranità a un nuovo governo iracheno democraticamente eletto entro i tempi indicati. Adesso è più che mai necessario che il comando americano in Iraq faccia un passo indietro: perché la presenza di contingenti stranieri sia proficua occorre una svolta politica e strategica, occorre che all’occupazione militare straniera subentri una forza delle Nazioni Unite alla quale sia affidato il controllo del paese. Malgrado ciò le autorità americane non sembrano volersi muovere in questa direzione. Anzi, stanno escogitando misure temporanee poco democratiche: propongono elezioni parziali, con candidati scelti dai consigli provinciali locali, e anche che l’attuale Consiglio di governo nominato dalle stesse autorità americane in Iraq, costituisca il nuovo governo provvisorio iracheno. Ma la legittimità democratica può essere conferita soltanto a un governo che nasca da elezioni generali, che invece sarebbero rinviate al 2005. Siamo davanti ad una strada lunga e contorta e manca una prospettiva temporale certa per il subentro, alla forza d’occupazione attualmente in Iraq, di una missione militare guidata dalle Nazioni Unite.

Mentre non possiamo accettare la situazione esistente confermiamo la nostra piena disponibilità ad assicurare una presenza militare italiana in Iraq per compiti di peace keeping e per sostenere un forte programma di aiuti umanitari e di ricostruzione civile, ma come parte di una missione multilaterale sotto l’egida dell’Onu.

di LAMBERTO DINI

da www.europaquoitidiano.it

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