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Le bugie del potere hanno le gambe corte - intervista Enzo Biagi
20.03.2004

MILANO Una parte dei politici italiani trova insopportabile, soprattutto pericoloso, che la sconfitta dell'erede di Aznar e la vittoria dei socialdemocratici di Zapatero, dipenda dalle bugie del dopo bombe. Si rifugiano nell'orribile teorema: i terroristi fanno vincere chi fa loro comodo. All'improvviso nessuno ricorda che mentre i feriti continuavano a morire e undici milioni di persone piangevano compostamente nelle piazze; mentre i garanti del potere madrileno stavano trafficando per salvare le poltrone, la gente si affidava affranta alle loro spiegazioni. Gli spagnoli sono un popolo serio e orgoglioso: agli americani del dopo 11 settembre e agli italiani del dopo Nassiyria hanno dato lezione di non retorica e indipendenza. Ma appena hanno scoperto che Aznar, per tener lontano il voto dai fantasmi dell'Iraq, aveva truccato la tragedia, telefonando il falso a direttori di giornali, delle Tv, della Efe (Ansa spagnola) per piegare titoli e servizi verso la colpevolezza dell'Eta, e insistendo due volte nello stesso giorno perfino col direttore della corazzata El Pais, l'indignazione ha annullato ogni divisione politica. Tutti assieme contro i bugiardi. I dipendenti di radio, Tv e agenzia di stato pretendono le dimissioni dei direttori. E la paura fa arrampicare su ipotesi meschine certi politici romani. Se qualcuno ne controlla le bugie, sanno, adesso, come va a finire.

Enzo Biagi sorride. «Bisognerebbe chiedere loro se dicono bugie». Biagi ha attraversato 65 anni della nostra storia, raccontandola. L'espulsione dalla tv non lo ha demoralizzato. Continua a scrivere e i giornali, provvisoriamente, garantiscono la libertà di espressione.

Gli ricordo lontane bugie di governi e Tv: un Bruno Vespa scoppiettante annuncia che il mostro delle bombe di Piazza Fontana è stato catturato. Si chiama Pietro Valpreda, anarchico e ballerino. Insomma, diverso da noi brava gente.

«Non voglio parlare di quelli della tv. Ma proprio sulle verità ancora non risolte di Piazza Fontana, altri giornalisti non si sono arresi ai comunicati ufficiali. Hanno continuato a cercare, scoprendo a poco a poco cosa era successo: Camilla Cederna, Giorgio Bocca, Marco Nozza. Tanti. La ricetta è vecchia come il mondo: un cronista normale non può diventare l'imbianchino del potere, qualsiasi tipo di potere, ma liberare la curiosità per frugare sotto le veline. Altro esempio. Quando hanno arrestato Tortora è uscito su Repubblica un articolo titolato "E se fosse innocente?". Attorno imperversavano le ipotesi su Tortora spacciatore, Tortora boss della coca. Troppi indizi sembravano campati in aria e Scalfari ha lasciato che remassi controcorrente. Ogni giornale, radio o tv, ed ogni cronista dovrebbero avere la stessa possibilità».

A Enzo Biagi è permesso dopo sessant'anni di prima fila, ma un giornalista alle prime armi, col futuro in bianco, come può ribellarsi quando il politico telefona al direttore, il direttore parla col suo capo e il suo capo gli passa notizie che non sono vere? Un po' pericoloso…

«Pericoloso anche per i vecchi, credo. Non so cosa rispondere. Vengo da un'altra Italia, ho cominciato in un'altra stagione. Nel 1937 - compivo 17 anni - con in tasca un articolo, ho bussato alla porta dell'Avvenire diretto da Raimondo Manzini. Il pezzo è apparso il giorno dopo col titolo: "Marino Moretti è crepuscolare?". Nessun ragazzo può oggi varcare la soglia di un giornale sperando che i suoi pensieri su un poeta vengano considerati, e magari pubblicati. Ho cominciato a inseguire la realtà ascoltando le notizie da una radio a galena: cuffie alle orecchie e antenna legata alla testiera del letto. Bisognava restare immobili per non perdere la linea. Misteriosamente prendeva Salamanca, radio dei rossi di Spagna. Alla sera lo speaker annunciava che il Papa soffriva di una malattia dovuta alla vita dissoluta: "tenimos por cierto …". Bocconi di notizie così, non controllabili nelle gabbie della censura. Mentre dalle notizie, vere o pasticciate, i ragazzi di oggi devono difendersi, inseguiti da immagini, voci, lampi del computer. Eppure anche per loro non deve essere facile capire».

Solo quando si confrontano con la realtà ufficiale, il problema dell'ambiguità o dell'obbedienza dovuta per convenienza, si rivela ai giovani, facciano i giornalisti o altro. In quale modo devono imparare che silenzi e bugie non servono, e la verità prima o poi viene fuori?

«Subito, in casa. Dipende dai genitori. Una volta alle elementari il maestro ha chiesto a tutti qual era il mestiere del padre. Rispondevano farmacista, negoziante e quando è venuto il mio turno ho promosso mio padre impiegato. L'ho raccontato a casa e il mattino dopo la mamma mi ha accompagnato dal maestro: "Enzo deve dirle qualcosa…". Ho confessato la verità: padre operaio. Non ho più dimenticato che le bugie hanno queste gambe corte. Ogni padre, ogni madre devono guadagnarsi ogni giorno il rispetto dei ragazzi. Vedono, ascoltano, non parlano. Giudici severi. Diffido da chi fa sapere: sono amico di mio figlio. Gli amici se li trovano fuori, a casa hanno bisogno di genitori. Se il ragazzo cresciuto fa il giornalista, la regola non cambia: tutte le mattine deve confermare la fiducia dei lettori. Hanno memoria lunga e gli avvenimenti ancora di più».

Se in Spagna vinceva il partito di Aznar, giornalisti e direttori avrebbero rivelato con tanta foga, pressioni e inquinamento delle prove?

«Non tutti, ma qualcuno sì. Sono convinto che un bravo giornalista sa come i fatti abbiano una loro logica, ineluttabile. Alla fine viene sempre fuori ciò che si doveva sapere subito. Purtroppo alcuni non fanno a tempo di ascoltare la sentenza che dà loro ragione. Anni fa, le mie figlie parlavano ammirate di Che Guevara. Le ascoltavo e pensavo ai fratelli Rosselli, ricchi ebrei, contrari al fascismo che li ha assassinati attorno a Parigi. Stavano cercando la verità spogliando le menzogne, proprio come deve fare ogni giornalista nelle piccole realtà quotidiane».

È la piega professionale che le ha causato qualche guaio: licenziato da direttore di Epoca, allora grande settimanale. Se ne è dovuto andare da direttore del Tg1. Ha lasciato Il Resto del Carlino per incompatibilità con l'editore. Poi l'annuncio bulgaro di Berlusconi: via dalla Rai Biagi e Santoro. L'addio a Epoca è avvenuto quando al governo c'era Tambroni, Almirante lo appoggiava dall'esterno. Cos'è successo?

Biagi torna a ridere. «Una volta l'avvocato Agnelli mi ha raccontato del suo incontro con Tambroni. Stava uscendo dall'ufficio dell'uomo di governo, quando Tambroni lo ha trattenuto: "Un'ultima cosa". E gli allunga due foglietti: "Qui sono annotate le sue frequentazioni femminili…". Insomma, una minaccia. Più o meno la stessa storia si è ripetuta alla Mondadori. Tambroni non piaceva al mio giornale, soprattutto dopo i morti di Genova e Reggio Emilia, polizia che spara sulla gente. E Tambroni furibondo ha incontrato un dirigente della casa editrice. Due foglietti anche per lui, in cambio di una cortesia. Mi hanno licenziato».

Quand'era direttore del Tg1 i politici non le hanno chiesto favori?

«Non si sono mai fatti vivi, almeno direttamente…».

Ma lo tenevano d'occhio. Il Tg Unico di allora era un festival di ministri e sottosegretari che tagliavano nastri. Ponti, latterie, asili. Biagi si arrabbia: se vendessimo il Tg in edicola nessuno lo comprerebbe. Ordina: non ne voglio più. Resiste alle pressioni che attraversano la redazione, ma una sera da Roma torna a Milano e guarda il tg. Salta sulla poltrona. Nella riunione del mattino aveva proibito di mandare in onda il varo di un traghetto tenuto a battesimo dall'onorevole De Feo, socialdemocratico. Approfittando del suo viaggio a Milano, qualcuno lo ha infilato all'ultimo. Nessun segretario di partito le ha telefonato?

«Moro, una volta: dirigeva la Democrazia Cristiana onnipotente. Non ha chiesto niente. Solo una chiacchierata. Mi ha detto "si fa fuoco con la legna che si trova"».

Perché ha lasciato la direzione del Resto del Carlino dopo appena otto mesi?

«Credo di non essere piaciuto al ministro delle finanze Luigi Preti, molto vicino al cavalier Monti, l'editore…».

Ogni giorno appariva sul Carlino un parere, un'intervista, e al lunedì il punto sul calcio del ministro Preti. Una volta la settimana scriveva l'articolo di fondo: «A me sembra troppo», annuncia Biagi alla redazione. Da quel momento cominciano i fastidi, addirittura una lettera con la quale il ministro critica il direttore troppo disinvolto. Biagi la pubblica, ma non resiste a sorridere di Luigi Preti in un corsivo intitolato «Grand'Hotel». E a ricordare ad alta voce i meriti letterari di un politico che col suo racconto batte l'Indro Montanelli degli anni d'oro, al premio Bancarella. Qualche libraio confida le raccomandazioni affettuose degli agenti della finanza. Biagi lascia il Carlino, ma il fisco non lascia Biagi. Controlli riservati ai grandi evasori. Agenti sconsolati tornano al loro comando a mani vuote, eppure ogni anno il rito si ripete. «Brava gente. Verificava la mia trasparenza e alla fine si scusava». Ordini dall'alto, bisogna prenderlo in castagna.

Oggi la Tv allarga le vecchie bugie di un tempo?

«Dipende da chi ospita. La Tv è la macchina della verità: fa capire chi è sincero e chi no. Non è vero che il cinismo è necessario ad ogni politico, facendone spesso un bugiardo. Non mi pare lo siano stati Zaccagnini o Amendola. Quando il vecchio Angelo Rizzoli racconta al suo amico Nenni (cresciuti entrambi nei collegi degli orfani) che Mussolini voleva fucilarlo appena i nazisti lo hanno arrestato a Parigi, Nenni si infuria e grida: "Non credo. L'ho conosciuto bene quando siamo stati in galera assieme…". Pacifisti contro le conquiste africane. "… non l'avrebbe fatto mai". Rifiutava perfino i pettegolezzi. Non penso dicesse bugie De Gasperi. Il politico che impara a mentire mette via qualche soldo e De Gasperi è morto che non aveva niente, se non la casa regalata dagli estimatori del partito».

Come mai Berlusconi non vuole confrontarsi con nessuno? Con Rutelli, le scorse elezioni; con D'Alema o Fassino adesso. Nessun vero giornalista può contestare quei numeri forse immaginari che scioglie a cento all'ora in monologhi senza fine. Ha paura si scopra qualche bugia?

«Preferisce essere da solo per poter dire ciò che vuole senza interruzioni. Per fortuna ci sono i giornali. E i politici querelano, ma solo civilmente: pretendono cifre enormi per spaventare».

Qualche politico la chiama?

«Una volta mi ha telefonato Prodi da Bruxelles. "È successo qualcosa?", ho chiesto. "Avevo solo nostalgia". Compiamo gli anni lo stesso giorno. Abbiamo festeggiato anche assieme».

Cosa guarda in Tv?

«I tg. Ormai sono rimasto solo, in casa. Leggo. Privilegio la compagnia di Voltaire, Achille Campanile o Hemingway. Quand'ero bambino, con mia madre andavo a trovare una signora. Sedevo su una poltrona di pelle e fregavo le mani sulla pelle con una sensazione di benessere. Con Lucia, la moglie che mi ha lasciato, abbiamo comperato quattro poltrone. Accendo la luce, sfoglio e sfioro la poltrona con le dita fino a quando comincia il sonno».

a cura di Maurizio Chierici - da www.unita.it

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