7.05.2003
 Sme, nell´85 Berlusconi disse cose diverse
Silenzi, ricordi e doppie verità del Cavaliere
La testimonianza del premier davanti al giudice
romano Infelisi
MARCO TRAVAGLIO da www.repubblica.it
Nelle «dichiarazioni spontanee» di Silvio
Berlusconi sul caso Sme molti conti non tornano.
Dagli atti, processuali e non, alcuni fatti
risultano diversamente. Altri non risultano
proprio. Nemmeno dalla testimonianza resa
il 30 ottobre 1985 dallo stesso Berlusconi
davanti al pm romano Luciano Infelisi, che
indagava su Prodi e altri per la presunta
«svendita» Sme (l´inchiesta fu archiviata
per totale mancanza di elementi di reato).
La testimonianza occupa quattro paginette
di verbale e, diversamente dalle dichiarazioni
dell´altroieri in veste di imputato (con
facoltà di mentire), fu resa sotto giuramento.
Con l´obbligo di dire «tutta la verità » .
Il Craxi occultato.
Oggi Berlusconi sostiene di essere sceso
in campo per l´affare Sme solo per «l´affettuoso
ma pressante invito» di Bettino Craxi. Nel
1985 il Cavaliere non fece mai, nemmeno una
volta, il nome di Craxi. Disse soltanto di
aver «parlato con il ministro Altissimo»
e non citò altri politici.
Le tangenti dimenticate.
Nemmeno Pomicino e Amato, tirati in ballo
insieme Craxi come fonti di presunte «tangenti
a una corrente Dc», figurano mai in quel
verbale. Se davvero Craxi e Amato gli avevano
appena confidato (nel maggio '85) quel giro
di mazzette, quale occasione migliore per
denunciare tutto alla magistratura, a brevissima
distanza dai fatti? Invece Berlusconi inspiegabilmente
tacque, contribuendo all´archiviazione dell´inchiesta,
per ricordarsi di quelle presunte confidenze
solo 18 anni dopo: a tre anni dalla morte
di Craxi (che mai nei suoi memoriali aveva
parlato o alluso a quelle mazzette) e dall´inizio
del processo Sme.
L´offerta mascherata.
Secondo il pool, il movente della corruzione
di due giudici romani per le sentenze Sme
sta nell´ordine di Craxi a Berlusconi di
mettersi di traverso con un´offerta alternativa,
appena superiore ai 500 miliardi offerti
da De Benedetti. Il cavaliere, ad abundantiam,
ne presentò due: una per 550 miliardi, ma
a volto coperto e per puro disturbo, tramite
un ex compagno di scuola di Previti (Italo
Scalera); l´altra ufficialmente, tramite
il faccendiere craxiano Pompeo Locatelli,
per conto della Iar (consorzio Fininvest-Barilla-Ferrero).
Ecco come Berlusconi liquida la faccenda
dinanzi a Infelisi: «La Fininvest, dopo che
il ministero delle Partecipazioni statali
aveva imposto una pausa alle trattative,
decise insieme con i sigg. Ferrero e Barilla
di presentare una propria offerta offrendo
600 miliardi» . E la prima offerta, quella
«mascherata»? Dimenticata. Fino a quando
Scalera, sentito dal pool nel '97, rivelerÃ
che il mandante era Berlusconi.
Perché la Sme.
Berlusconi oggi assicura: «Mai avuto alcun
interesse alla Sme». Lo fece solo per Craxi
e per la patria: «per evitare la spoliazione
di un bene dello Stato» , che a suo dire
valeva già allora 2000-2500 miliardi. Eppure,
all´indomani dei fatti, davanti al pm Infelisi,
a quella missione non fece alcun accenno:
anzi rivelò di aver chiesto «l´intero pacchetto
azionario» della Sme ai manager Iri Rasero
e Viezzoli (circostanza smentita due giorni
fa da Prodi). Poi, quando seppe dell´offerta
Buitoni per 500 miliardi, ne offrì 550 e
poi 600. Non 2000-2500. L´altroieri ha aggiunto
che De Benedetti avrebbe forse «ceduto la
Sme all´estero» , e lui glielo impedì. Eppure
risulta che già allora i suoi soci Ferrero
e Barilla fossero controllati da societÃ
estere.
Disinteressato interesse.
Sventata la cessione Sme all´Ingegnere –
giura Berlusconi - «io non me ne interessai
più». Eppure cinque anni dopo, il 14 gennaio
1990, la Iar perde Ferrero e Barilla, ma
i componenti superstiti Fininvest e Conserva
Italia (coop bianche) non si sciolgono: anzi,
rinnovano gli organi societari – scrive il
Sole 24 ore - «per proseguire il giudizio
contro l´Iri sull´asta per la Sme» . Ancora
nel 1990 Berlusconi chiedeva ai giudici a
condannare l´Iri a cedergli la Sme per 600
miliardi. Ma non ne valeva più di 2000?
Giudici per lanterne.
A parte la gaffe del caso Mondadori (1989-90)
datato da Berlusconi prima del caso Sme (1985-86),
c´è la difesa d´ufficio del giudice Verde,
autore – secondo il cavaliere – di una sentenza
«inappuntabile», confermata in Cassazione
da Giovanni Tamburino di Magistratura democratica.
A parte il fatto che la corruzione scatta
quando un giudice prende soldi collegati
a sentenze (indipendentemente dalla bontÃ
delle medesime), Giovanni Tamburino non è
mai stato in Cassazione, non s´è mai occupato
di Sme e non è mai stato iscritto a Md.
di Marco Travaglio - da www.repubblica.it
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