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Al di là della notizia
23.03.2004

L'efficacia dell'azione europea contro il terrorismo presuppone la fine della sfiducia e delle reticenze ad operare insieme - Dei fatti istruttivi Le crisi, per progredire. Nuovamente i fatti confermano la regola: l'Europa ha bisogno di crisi per progredire. Gli europei a volte danno l'impressione di vegetare in una specie di cattiva conoscenza della realtà mondiale e di aver bisogno di scosse per ridivenire consapevoli della necessità di unirsi. Il progetto di Costituzione resta bloccato da divergenze senza misura con l'importanza della posta in gioco e la cooperazione giudiziaria e di polizia si blocca davanti ad ostacoli essenzialmente burocratici o basati su suscettibilità nazionali. Dopo i tragici avvenimenti dell'11 marzo tutto pare evolvere nuovamente anche se nulla è acquisito. Vuol dire pagare troppo: perché sangue innocente deve colare per far risvegliare lo spirito europeo?

Oggi anche il linguaggio ritrova un certo vigore, e dei responsabili politici osano parlare di "sfide lanciate alla civilizzazione europea". Si riconosce che la Costituzione e la lotta al terrorismo sono legate strettamente. L'Europa ha bisogno della Costituzione elaborata dalla Convenzione per rilanciare la fiducia delle opinioni pubbliche, per dare all'Unione i mezzi per proteggersi contro coloro che la minacciano e per creare lo spazio comune di libertà e sicurezza richiesto dai cittadini. Un giorno sorrideremo per l'inconsistenza degli argomenti fatti valere per bloccare la Costituzione se il vertice di questa settimana conferma la volontà di sbloccare la Conferenza intergovernativa (CIG) e se darà forza e sostanza alla lotta al terrorismo (anche se si deplora che le circostanze proibiscano per la seconda volta al vertice di primavera di concentrarsi sull'obiettivo per il quale è stato creato e che resta essenziale, l'attuazione della strategia di Lisbona).

Oltre all'attentato di Madrid. Le analisi dell'attentato di Madrid indicano che i terroristi avevano preparato tutto perché gli effetti fossero maggiori e più devastanti: le bombe avrebbero dovuto esplodere dopo l'ingresso dei treni in stazione che sarebbe crollata sulla folla. Lo scopo era provocare in Europa l'equivalente dell'attentato di New York. Sono le operazioni organizzate da alcuni giovani fanatici; presuppongono una accurata organizzazione, mezzi finanziari, complicità sul posto. Non è solo terrorismo importato. La constatazione delle inchieste giornalistiche 9"Le Figaro: del 15 marzo) afferma "gli estremisti islamici sono a casa in Europa. I più giovani vi sono nati (?), le nuove reclute beneficiano della nazionalità europea (?). Hanno tutti i diritti che accorda loro il luogo di residenza in particolare circolare liberamente da un paese all'altro per raccogliere fondi e armi, e per comunicare".

E uno dei ministri dell'interno riuniti a Bruxelles venerdì scorso ha detto: "i terroristi trovano interlocutori e complici nelle frange estremiste di 17 milioni di immigrati musulmani". Si vede l'atmosfera che hanno saputo creare i terroristi.

Perplessità, reticenze e sfiducia. Certo questa volta l'Europa inizia a reagire. L'insieme di strumenti esaminati venerdì scorso dai ministri interno e giustizia, di cui parlano lunedì i ministri degli esteri non è trascurabile.

Ma diffido degli appelli per creare organismi nuovi e ancor più l'accento posto dapprima sulle risorse finanziarie ulteriori. La priorità non è gonfiare gli organismi esistenti né aumentare la burocrazia, ma sapere fino anche punto i governi sono pronti e decisi a utilizzare i consessi europei per sviluppare la cooperazione di polizia e giudiziaria. Lo svolgimento dei dibattiti ministeriali di venerdì, le dichiarazioni in margine al Consiglio e i documenti di base del Segretariato del Consiglio e della Commissione europea provano che gli ostacoli all'efficacia della cooperazione sono soprattutto politici: si chiamano sfiducia e perplessità. Europol e Eurojust esistono e costano abbastanza care per l'uso che ne viene fatto, tanto sono poco e male impiegate. L'opinione dei leaders del Parlamento europeo mi conforta.

Graham Watson osserva che "in tempo di crisi, i politici vogliono rispondere creando nuove cariche e nuovi organi, ma sarebbe più efficace utilizzare quelli che abbiamo" e Enrique Baron ha denunciato le resistenze di alcuni paesi membri ad attuare il mandato d'arresto europeo e le misure contro il riciclo di danaro (vedere il bollettino del 17 marzo p.5).

Invito il lettore a leggere quello che ha pubblicato il nostro bollettino la scorsa settimana in particolare le due pagine dedicate ai risultati del Consiglio GAI (pp. 4/5 del bollettino del 20 marzo) che esaminano le misure scelte dai ministri, che sono un insieme consistente, senza bisogno di organismi nuovi né finanziamenti strani, e parlano delle esitazioni, delle mezze frasi a volte allusive, e a volte chiare, e le confidenze in margine alla sessione, il tutto esprime forti reticenze dei servizi segreti della maggior parte dei paesi ad uscire dal quadro bilaterale per quello europeo".

Un florilegio eloquente. Sarebbe ingenuo e demagogico indignarsi a priori di questa constatazione; è più utile chiedersi quali ne siano i motivi.

Alla base, naturalmente, c'è la paura che talune informazioni riservate affidate al macchinario comunitario non rimangano più tanto riservate. Alcuni ministri hanno fatto riferimento a questa preoccupazione, senza approvarla, ma senza neppure condannarla. Ma le dichiarazioni, in genere anonime, raccolte dai giornalisti in margine ai lavori di Bruxelles o nelle capitali, sono più precise ed esplicite. Eccone alcune: "gli Stati rifiutano di affidare ad una struttura europea aperto a tutti i venti informazioni riservate attinenti alla loro sicurezza". "Lo scambio di informazioni è molto aleatorio; nell'insieme, è una cosa che rimane molto opaca, soprattutto non appena ci si interessa all'estremismo islamico". "Il governo di Londra dispone di molte informazioni, ma Scotland Yard è poco loquace, per tradizione, preferisce gli scambi con la CIA o il FBI". Risposta di un diplomatico britannico: "l'UE non ha alcuna cultura della riservatezza; è escluso affidare informazioni riservate a strutture aperte a tutti". Ancora più esplicito: "gli specialisti del terrorismo non dicono nulla di più di quanto è già stato pubblicato sui giornali".

A volte si parla del problema dei nuovi Stati membri: "in venticinque, gli scambi di informazioni non varranno molto di più di una discussione dentro un bar". Secondo un giornale, i paesi d'Europa centrale e orientale si fondano in questa materia sulle strutture della NATO; quindi, le informazioni riservate europee sarebbero comunicate automaticamente agli Americani. Non è forse una cosa normale, nell'ambito dell'Alleanza atlantica ? Oppure è un ulteriore elemento di diffidenza ?

In alcune frasi del documento del Segretariato del Consiglio (documento che - particolare importante - era stato comunicato in quanto documento riservato agli Stati membri alcuni giorni prima degli attentati di Madrid e di cui l'Agence EUROPE aveva pubblicato in anteprima la sostanza nel suo bollettino del 13 marzo, p.4) non si dicono cose molto diverse, anche se la forma è meno brusca, quando si parla della "paura di condividere informazioni riservate con un numero eccessivo di protagonisti".

Un lungo periodo di apprendimento. Non bisogna farsi illusioni: la diffidenza e le reticenze non vorranno meno dall'oggi all'indomani, né a causa dell'emozione del momento. Ci vorrà un lungo periodo di apprendimento, bisognerà creare l'abitudine di lavorare insieme, allacciando persino legami personali. Non si riuscirà a trasformare la diffidenza in fiducia creando nuovi organismi per i quali l'Europa non è ancora pronta (come una specie di CIA europea), né aumentando artificialmente le competenze di Europol e Eurojust con apporti massicci di mezzi; ne risulterebbe soltanto una burocrazia più pesante e non necessariamente più efficiente. Bisogna innanzitutto far funzionare quello che già esiste e anticipare realizzazioni già previste e colmare le lacune denunciate nella relazione già menzionata del Segretariato del Consiglio. Questa relazione aveva qualcosa di profetico, perché parlava esplicitamente delle lacune di cui il Consiglio Giustizia/Interni aveva discusso successivamente - l'istituzione del mandato di cattura europeo, il controllo ai confini esterni, i futuri visti biometrici - e insisteva anche su aspetti che superano le competenze del Consiglio Giustizia/Interni, ma che sono essenziali, come l'aspetto del finanziamento del terrorismo (sembra che ciò che l'Europa ha fatto finora al riguardo sia rimasto ampiamente inefficace) o il controllo del rispetto delle clausole antiterrorismo negli accordi con i paesi terzi.

Queste clausole esistono, ma quale puo' essere la loro efficacia se nessuno esamina la possibilità di applicarle ? Su questo punto, devono agire i ministri degli Esteri e i ministri delle Finanze, in sede di Consiglio Ecofin, per gli aspetti finanziari, che sono importantissimi tanto per bloccare i progetti dei terroristi nell'UE, quanto per conoscere i paesi e gli organismi che li finanziano (questi sono già noti, almeno in parte, ma tra conoscere e agire rimane molta strada da fare). Altrettanto sintomatico è il fatto che i governi non si servano delle strutture di Eurojust: una buona metà degli Stati membri non avrebbe ancora recepito nelle rispettive legislazioni nazionali le disposizioni del caso. È veramente istruttiva la lettura della relazione del Segretariato del Consiglio, riassunta nel nostro bollettino del 13 marzo.

Sulla strada giusta. Per concludere, ritengo che i ministri degli Interni e della Giustizia abbiano scelto la strada giusta, insistendo sul funzionamento di ciò che già esiste e sull'anticipazione di realizzazioni già previste, piuttosto che sulla creazione di nuovi consessi o sull'ulteriore sviluppo delle burocrazie. Tanto più che la lista delle misure raccomandate riguarda aspetti essenziali, come il mandato di cattura europeo, le misure che dovrebbero permettere di eliminare i passaporti falsi, la creazione effettiva dell'Agenzia europea dei confini, la conservazione dei dati raccolti dalle compagnie telefoniche e su Internet, il registro delle persone condannate per atti terroristici. Si tratta di misure concrete, operative, efficaci, che possono salvare migliaia di vite. Si spera che il Consiglio Affari generali e, soprattutto, il Vertice confermeranno ed estenderanno le conclusioni del Consiglio Giustizia/Interni.

di Ferdinando Riccardi

dal Bulletin Quotidien Europe 8671 - 23/3/2004

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