Welfare Italia :: Welfare :: Le priorità della Cgil di Paolo Nerozzi Invia ad un amico Statistiche FAQ
3 Maggio 2024 Ven                 WelfareItalia: Punto laico di informazione e di impegno sociale
Cerca in W.I Foto Gallery Links Documenti Forum Iscritti Online
www.welfareeuropa.it www.welfarecremona.it www.welfarelombardia.it www.welfarenetwork.it

Welfare Italia
Home Page
Notizie
Brevi
Il punto
Lettere a Welfare
Cronaca
Politica
Dal Mondo
Dalle Regioni
Dall'Europa
Economia
Giovani
Lavoro
Cultura
Sociale
Ambiente
Welfare
Indian Time
Buone notizie
Radio Londra
Volontariato
Dai Partiti
Dal Parlamento Europeo
Area Iscritti
Username:
Password:
Ricordami!
Recupero password
Registrazione nuovo utente
Brevi

 Foto Gallery
Ultima immagine dal Foto Gallery di Welfare Italia

Ultimi Links







Le priorità della Cgil di Paolo Nerozzi
26.03.2004

Le priorità della Cgil in questa fase
Primo, una nuova politica dei redditi
di Paolo Nerozzi
Segretario confederale Cgil
Responsabile per le politiche di coesione economica e sociale

Si parla molto in questi giorni di nuove povertà, di perdita di potere d’acquisto e viene posta con forza la questione del salario come problema centrale nell’agenda politica e sociale, a partire anche dalle inchieste dei grandi giornali e dalle vicende dei tranvieri. Per evitare una lettura sbagliata o un uso di queste tematiche per proporre rimedi che lascino le cose come sono, facendo finta di cambiare tutto, bisogna partire innanzitutto dalla vita quotidiana delle persone, cercando di capire che cosa è successo, quando è successo, perché è successo. Cercando anche di fare un po’ di chiarezza sulle strategie e sugli strumenti, senza confondere le une con gli altri. Se no, il rischio è quello di sollevare un gran polverone senza risolvere nulla.

È indubbio che in quest’ultimo periodo – e la Cgil l’ha detto per prima, con particolare insistenza, da quando ha cominciato a parlare del rischio di declino del paese – le condizioni di vita di molte persone abbiano raggiunto livelli drammatici. Sono milioni i pensionati che fanno fatica a chiudere il mese e, negli ultimi giorni prima dell’arrivo della pensione, devono decidere con attenzione che cosa mangiare. E sono tantissimi, sempre di più, i lavoratori con preoccupazioni analoghe: se si vive con 800 euro al mese – o anche meno – e si devono mandare a scuola i figli e pagare affitti spropositati, alla fine del mese si fa fatica ad arrivarci. Ma la “nuova povertà” non è solo questo: per i poveri è difficile l’accesso alla scuola, per non parlare dei tour interminabili da un ospedale all’altro dei malati che non hanno conoscenze o informazioni, o della desolazione di tanti anziani soli. Torna l’impossibilità che denunciò tanti anni fa Don Milani, quella di “fare parti eguali tra diseguali”.

Povertà dunque non è solo questione di reddito. È anche un problema di servizi. Il diritto alla mobilità: per un anziano avere un mezzo pubblico vuol dire non solo girare per la sua città ma anche poter andare a vedere i nipotini, se li ha, o uscire dal suo isolamento. La crisi dei trasporti è la crisi di un diritto delle persone, che provoca esclusione sociale.

Ed è un problema di condizioni di lavoro. Una delle cose che più mi ha colpito della vicenda dei tranvieri – a parte l’odioso doppio regime – è il carico di lavoro, le malattie professionali, gli incidenti. Di tutto questo si parla assai poco. Il fatto che sui luoghi di lavoro non ci sia più il controllo dei tempi, degli orari, della sicurezza e della salute, della fatica, tutto questo è l’altra faccia della povertà. Come pure la precarietà, una piaga per i giovani.

Questa povertà ha dunque più facce e per combatterla serve una nuova politica dei redditi. Ma che cos’è una politica dei redditi? C’è molta confusione in giro. Si confondono le strategie con gli strumenti, la politica dei redditi con l’accordo del 23 luglio, che è stato uno strumento importante per applicare la strategia ma non la strategia tout court.


La tradizione del New deal
La politica dei redditi – che in Italia si è cominciato a provare all’inizio degli anni 60 con il primo centrosinistra e le posizioni illuminate di Lombardi e di Giolitti ma anche, con differenze di merito, di La Malfa – si ispira alla grande tradizione del new deal rooseveltiano e del keynesismo. È un accordo tra lo Stato – oggi diremmo: lo Stato centrale e i governi locali – e le parti sociali per intervenire su tutto ciò che definisce le condizioni di reddito delle persone, dallo Stato sociale al fisco al salario. Ed era stata pensata da Keynes – ma anche da Lombardi e da Giolitti – come un processo di redistribuzione di reddito a favore delle classi meno abbienti. Con un ventaglio di interventi. Perché, a ben vedere, le prime politiche dei redditi erano la riforma sanitaria, quella della scuola, la privatizzazione dell’Enel, ma soprattutto l’intervento regolatore dello Stato nell’economia (quello che oggi non c’è più e che va riaffermato con forza). Questa era l’idea dei padri fondatori della politica dei redditi nel nostro paese: basta vedere la radicalità delle posizioni del primo centrosinistra, ma poi anche quello che avvenne a cavallo degli anni sessanta e settanta, con il tentativo di dare una risposta alle grandi lotte popolari e operaie. Di cui il cardine erano appunto le riforme della scuola e della sanità. E, forse non a caso, anche il contratto nazionale rinasce in quegli anni, con la lotta degli elettromeccanici.

Ma anche prima, a pensarci bene, il tentativo, profetico ma sfortunato, della Cgil di Di Vittorio per un piano del lavoro, che cos’era se non l’intervento regolatore dello Stato nell’economia e quindi politica dei redditi?

Oggi la politica dei redditi non c’è più, per responsabilità diretta del centrodestra. Non ci sono più regole. Ci sono solo i rapporti di forza. Ma noi dobbiamo saper usare questi rapporti per ricostruire nuove regole. Per riconquistare una nuova politica dei redditi, resa tanto più necessaria dall’attuale crisi economica. Una politica che deve intervenire su una molteplicità di campi: la ricerca, il fisco, il “salario differito” (che tanto ha contribuito a redistribuire la ricchezza nel nostro paese tra la fine degli anni 60 e i 70 e che è costituito dalla casa, gli asili nido, le scuole materne, il tempo pieno, il prezzo dei servizi). E poi c’è il salario. Che è uno dei perni di una tastiera ben più ampia.

Se questa è la politica dei redditi come strategia, la Cgil l’ha sempre avuta nel suo dna, da Di Vittorio a Santi, alle battaglie di Lama, al nostro ruolo nel risanamento del paese negli anni 90.

Altro sono gli strumenti. Che sono diversi a seconda della situazione, dei bisogni, dei protagonisti.

La riforma di Lama della scala mobile, assieme alla riforma sanitaria e quella della scuola, erano strumenti di politica dei redditi. Così come lo era anche l’accordo di S. Valentino – anche se io ero e resto contrario, per molte ragioni, a quell’intesa e a come venne raggiunta. Così come lo era il protocollo del 23 luglio. Sono tre strumenti diversi che rispondono a idee diverse e a fasi diverse. E ce ne possono essere altri.

Quella che va tenuta ferma è la necessità di una politica dei redditi. Sugli strumenti si può ragionare. Anche se oggi mettere in discussione il sistema contrattuale del 23 luglio, senza una politica dei redditi, senza un nuovo quadro di obiettivi condivisibili e condivisi, rischia di essere un suicidio. Da questo punto di vista penso davvero che la posizione più giusta sia quella che affermammo nel XIV congresso.

Ciò detto, torniamo all’inizio. All’impoverimento di larga parte del paese, alle sue cause, ai suoi possibili rimedi.

Vediamo dapprima le cause. Dopo la fase di risanamento necessaria per entrare nell’euro – che è durata i primi tre anni del governo di centrosinistra e ha prodotto risultati importanti – nel secondo biennio sarebbe stato necessario giocare gli elementi di crescita che si intravvedevano per provare a cominciare a ridistribuire la ricchezza nel paese. Questo non è stato fatto ed è stato un errore. Tre potevano essere i terreni: scuola, sanità e lotta all’evasione. Ma le rimozioni di Berlinguer e della Bindi, e il passaggio di Visco dalle Finanze al Tesoro, hanno fatto arenare processi interessanti in corso. E l’incapacità di rispondere con riforme forti al disagio che c’era nel paese ha aiutato la ricerca di risposte nelle promesse del centrodestra. Che poi ha scientemente sfasciato ogni politica dei redditi e altrettanto scientemente ha avviato una redistribuzione dei redditi a favore di quelli più alti. Non voglio mettere nessuna continuità tra i due momenti – il centro sinistra che non ha fatto la redistribuzione necessaria, il centrodestra che poi ne ha fatta tutta un’altra – ma non possiamo neanche tacere gli errori della “nostra parte” se vogliamo avere i titoli per criticare quelli degli “altri”. Del resto, una certa subalternità all’idea liberista nel centrosinistra c’era ed è rimasta.

Come si risponde a questo impoverimento? La precondizione necessaria è lo sviluppo, che vuol dire ricerca, formazione, intervento dello Stato. O meglio, governo dell’economia da parte dello Stato. Che non vuol dire tornare all’Iri, quanto avere un’idea programmatoria e di politica industriale (vedi il caso Terni) molto più forte di quella che c’è oggi. Come avviene peraltro in tanti paesi dell’Europa. E anche negli Usa.


Federalismo e solidarietà
Poi occorre una politica di welfare forte, affrontando anche il nodo del federalismo fiscale. Con le logiche di compensazione solidaristica che sappiamo necessarie. Accanto a questa occorre una politica fiscale che dica basta a una riduzione delle tasse che non è possibile se non tagliando il welfare e non destinando risorsa alcuna all’innovazione. Che restituisca integralmente il fiscal drag. E che riprenda quella lotta all’evasione che è stata massacrata dalla “creatività” tremontiana.

Occorre poi riflettere sulle privatizzazioni, soprattutto a livello locale. Il trasporto pubblico non sarà mai a costo zero. La mobilità, come l’acqua e l’ambiente, rappresentano diritti. Le autonomie locali, per di più, sono impoverite da anni di tagli. La sbornia delle privatizzazioni sta passando un po’ ovunque: è un processo che va interrotto.

Le condizioni di vita delle persone dipendono molto dalle tariffe, da quel “salario differito sul territorio” che è rappresentato dai servizi. Battaglie come quella per la casa, per la mobilità, per il tempo pieno nella scuola, per gli asili nido diventano decisive per una diversa distribuzione del reddito.

Alla fine di tutto ciò, c’è la questione contrattuale e salariale. E della precarizzazione del lavoro, vera emergenza a volte sottovalutata. Dobbiamo essere in grado di dare una risposta che inverta la tendenza su due terreni: trasformando la precarizzazione in stabilità, là dove la prima è solo un modo per risparmiare sul costo del lavoro; costruendo reti di protezione efficace per quei lavori che hanno invece al loro interno degli elementi strutturali di flessibilità. Una rete protettiva che si prenda cura anche di quei lavoratori che vengono espulsi in età che rendono difficile il ricollocamento ma non consentono la pensione.

Per quanto riguarda i giovani, e sono sempre di più, che alternano studio e lavoro, dobbiamo anche interrogarci su quale tipo di risposta dare loro: non si può dire di no al salario di cittadinanza senza riprendere la nostra elaborazione legata alla formazione, a lavori che hanno un rapporto con la società. Bisogna innovare anche su questo: il nuovo welfare deve tener conto anche della ricchezza del volontariato, dei giovani e degli anziani.

E arriviamo così al salario vero e proprio e ai contratti. C’è una perdita di potere d’acquisto pesante, che riguarda proprio i più deboli. Quelli per i quali non solo non si riesce ad affermare il secondo livello di contrattazione, ma che spesso non riescono a conquistare neanche il contratto nazionale. Che va rafforzato e reso esigibile per tutti perché i più deboli li difendi solo con il contratto nazionale. Questo aspetto dell’intesa del 23 luglio va dunque rafforzato. Sul “come” va fatta una discussione, e del resto c’è un dipartimento, quello sindacale, che sta già lavorandoci. Certo la soluzione non può essere la scala mobile o meccanismi automatici preventivi. Nell’impianto del 23 luglio è possibile apportare le modifiche necessarie riprendendo idee che allora non divennero realtà. Bisogna partire da un’inflazione attesa credibile e da una redistribuzione di parte della produttività, come del resto abbiamo detto anche al congresso. Se poi l’inflazione si discosta troppo da quanto pattuito, bisogna trovare meccanismi che rendano certo il recupero del potere d’acquisto.

A questo livello nazionale va affiancato un 2° livello che tenga più conto delle professionalità, che riproponga il tema dell’organizzazione del lavoro (fatica, salute, orari), che tenti di recuperare almeno una parte del salario individuale, e che tenga conto delle differenze tra le filiere produttive. Un modello unico, insomma, che può essere articolato in maniera diversa.

Inoltre va definita e praticata una contrattazione territoriale e regionale che affronti i temi dello sviluppo, del welfare e del “salario differito”.


Oggi necessaria la lotta
D’altronde, prima che i terroristi lo uccidessero, su quest’ultimo tema stava riflettendo Massimo D’Antona, a partire dal Patto di Natale. Patto che non poté affrontare questi problemi anche perché aleggiava quell’incubo della sconfitta che poi ha aiutato la sconfitta a materializzarsi.

E perché era alla fine quel riformismo confindustriale che oggi speriamo rinasca. Per rilanciare una vera politica dei redditi, infatti, occorrono industriali rappresentativi, che vogliano e sappiano dialogare. E, sul fronte politico, interlocutori credibili, come certo non è il governo Berlusconi.

Se per il domani è necessario riprendere una discussione per una nuova politica dei redditi, per quanto riguarda le emergenze di oggi – crisi industriale, attacco alle pensioni, perdita del potere d’acquisto – è necessario riprendere un’iniziativa di lotta, facendo tutti gli sforzi possibili perché sia unitaria, per evitare fughe corporative o solitudine e abbandono, e per dare speranza non solo a quelli che rappresentiamo ma a tutto il paese, che vive una crisi profonda, non solo economica ma anche etica e morale.

Welfare Italia
Hits: 1798
Welfare >>
I commenti degli utenti (Solo gli iscritti possono inserire commenti)
Terza pagina

Sondaggi
E' giusto che Bersani si accordi con Berlusconi per le rifome ?

Si
No
Non so
Ultime dal Forum
La voce del padrone di Lucio Garofalo
Salotti culturali dell'Estate bolognese
Pippo Fallica querelo' Corriere della Sera e La Sicilia?
NO LEADER, NO PARTY di Luigi Boschi
UN PARTITO LENINISTA (LEGA) CHE SPOSA IL VATICANO di A.De Porti
POESIA DI VITA di Luigi Boschi
La vita spericolata del premier di Silvia Terribili
Romea Commerciale di Orlando Masiero
Sondaggio, 15mila i voti finora espressi
Buon che? di Danilo D'Antonio
L'Italia è una Repubblica "antimeritocratica" fondata sul lavoro precario
LA PROTESTA DEI SANGUINARI di Luigi Boschi
L'AQUILONE STRAPPATO di Antonio V. Gelormini
Il reality scolastico su "Rai Educational"
Vuoto indietro diventa proposta di legge,





| Redazione | Contatti | Bannerkit | Pubblicità | Disclaimer |
www.welfareitalia.it , quotidiano gratuito on line, è iscritto nel registro della stampa periodica del Tribunale di Cremona al n. 393 del 24.9.2003- direttore responsabile Gian Carlo Storti