La sinistra al di là di ogni più rosea previsione. Jean Pierre Raffarin sull'orlo del licenziamento. Jacques Chirac molto seriamente azzoppato. Le percentuali riportano in mente date storiche, come quel 1981 che vide Mitterrand accedere all'Eliseo. Alla sinistra va qualcosa come il 49,9 per cento dei consensi, quasi dieci punti in più di domenica scorsa (40, 3). La destra si ferma al 37 per cento, aveva il 34 una settimana fa e quel tre per cento in più le viene dal riporto di una parte dei voti lepenisti, fermatisi stavolta al 12,5 per cento. La sinistra fa cappotto sulle regioni: solo l'Alsazia resta alla destra, le altre venti regioni metropolitane ieri sera erano acquisite alla sinistra, come peraltro le quattro regioni d'oltremare. La Corsica fa storia a sé, essendo una collettività territoriale più che una regione: la sua sorte politica si deciderà nei prossimi giorni con i negoziati tra i partiti in lizza. Fino a ieri sera la destra governava quattordici regioni, gliene resta una. La sinistra era alla testa di otto regioni, da oggi ne guida venti. Un maremoto politico. Persino l'astensione, che normalmente al secondo turno è più alta che al primo, è ulteriormente retrocessa. Era stata del 37,7 percento domenica scorsa, ieri si è ridotta al 34,5. Come se i francesi avessero voluto riparare al terribile sfregio inferto alla sinistra due anni fa, quando Le Pen rimpiazzò Jospin nella corsa finale per le presidenziali.
In una giornata come ieri i simboli si sprecano. Ne citeremo due. Quello dell'Auvergne, dove da diciotto anni regnava incontrastato - reduce dall'Eliseo - Valery Giscard d'Estaing. Non sarà più presidente di quella regione, avendo riportato il 47 per cento contro il 52 dello sfidante socialista. Per Giscard, a 78 anni, è una vera e propria uscita di scena. Ma l'altro luogo simbolo è Poitiers, città capoluogo del Poitou-Charentes, dove ha trionfato Ségolène Royal, già ministro socialista nonché compagna del segretario del Ps François Hollande, e madre dei loro quattro figli. Ha vinto con uno schiacciante 55 per cento contro la presidente uscente Elisabeth Morin, per la quale si era freneticamente impegnato lo stesso primo ministro Jean Pierre Raffarin, che aveva governato il Poitou per quattordici anni. Ségolène Royal resterà l'icona di questa tornata elettorale: è nella sua regione che la vittoria era più difficile, è nella sua regione che è stata più stentorea. C'è già molta gente che vede la cinquantenne Ségolène come prossimo candidato alle presidenziali nel 2007: sarebbe un'ottima soluzione - si dice - e impedirebbe le storiche lotte tra gli "elefanti" del partito, che così spesso hanno appesantito e talvolta rovinato il Ps. Potremmo citare anche l'Ile de France, la regione parigina, dove il socialista Jean Paul Huchon era ieri sera confermato alla presidenza con più del 49 per cento dei voti. In questa regione erano scesi in campo i massimi tenori della destra, a cominciare da Nicolas Sarkozy, ministro degli Interni, e dallo stesso Raffarin. Per la destra nel corso di questa ultima settimana l'Ile de France era diventata una zattera di salvataggio. Se l'avessero spuntata, vista la sua importanza, avrebbero potuto utilizzarla per dare legittimità al governo in carica. E invece no, è stato naufragio anche a Parigi. Il governo nazionale resta in carica, ma svuotato, spettacolarmente privato della fiducia popolare.
Sono passate a sinistra regioni come la Bretagna, vera roccaforte storica della destra. O la Borgogna, i cui viticoltori avevano premiato addirittura Le Pen alle precedenti regionali del '98. O la Piccardia, o l'Aquitania, o la Linguadoca, o il Rodano-Alpi. Tutta la Francia ieri sera si è colorata di rosa-rosso-verde, restava un angolino blu soltanto in alto a destra, in Alsazia.
Gli uomini della destra al governo non hanno nascosto l'ampiezza del disastro. François Fillon, numero due del governo, non ha esitato ad ammettere un "21 aprile alla rovescia". Jean Pierre Raffarin ha detto di "aver capito la lezione", ribadendo nel contempo la necessità di quelle riforme (servizi pubblici, previdenza sanitaria, pensioni) che i francesi hanno seccamente bocciato nelle urne. Quale sorte riserverà Jacques Chirac al suo primo ministro? Non erano in molti ieri sera a scommettere sulla sua permanenza a palazzo Matignon. Ma nello stesso tempo la sconfitta appare di proporzioni troppo grandi per farne una semplice questione di uomini. Un rimpasto di governo appare inevitabile, un cambio al vertice piuttosto probabile. La sinistra ieri sera ha rispettato il carattere istituzionale del voto, che resta regionale, e non ha chiesto le dimissioni del premier. Ha detto François Hollande che si è trattato di una "pesante punizione" per la politica del governo e una "severa sconfessione" per Jacques Chirac. I socialisti gli rimproverano di non aver tenuto fede al mandato ricevuto al secondo turno delle presidenziali, quando l'82 percento dei votanti lo confermò all'Eliseo, destra e sinistra insieme. Ha detto ancora Hollande: "Ha violato il patto sociale e repubblicano, ha minato la coesione nazionale". Parlava delle misure di carattere sociale: "La destra deve rinunciare ad ogni messa in causa delle conquiste sociali".
Ma perché la sinistra ha ritrovato tutti i suoi colori, dopo l'abisso nel quale era caduta solo due anni fa? Laurent Fabius ha la sua idea: "Primo: è una sinistra che ascolta. Secondo: è una sinistra più concreta di quanto lo fosse. Terzo: è una sinistra più unitaria. Quarto: è una sinistra che guarda al futuro, e le regioni appartengono al futuro". Ségolène Royal sembra pensarla nello stesso modo: "La Francia delle regioni è nata oggi!", diceva ieri sotto una valanga di applausi. L'indicazione è chiara, e va nel senso del decentramento, di una svolta storica rispetto al tradizionale centralismo giacobino. I socialisti ieri sera parlavano volentieri di una "gauche nouvelle", per tracciare una linea di confine con la coalizione alquanto rissosa, spocchiosa e tecnocratica che aveva accompagnato Jospin nella sua caduta agli inferi due anni fa. Dimenticata anche l'emorragia protestataria che aveva gonfiato l'estrema sinistra, portandola alla vetta insperata del 10 percento. Le percentuali di ieri dicono in maniera inequivocabile che le pecorelle smarrite sono tornate all'ovile. Diceva Laurent Fabius: "Stasera la speranza è passata a sinistra". Ma i dirigenti socialisti parlavano anche di una necessaria "gravità " nel commentare un simile trionfo. Si apprestano ad un governo parallelo del paese, e regione per regione saranno giudicati sul campo. Sarà questo il terreno sul quale consolidare o vanificare le speranze di tornare al governo del paese nel 2007.
di Gianni Marsilli
da www.unita.it