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La Spagna e l'America Latina
30.03.2004

L'effetto Aznar sull' America Latina e' stato deleterio, ed io l'ho potuto sperimentare in prima persona nel corso dei miei anni in Brasile ed in precedenza quando mi occupavo d'America Latina da Bruxelles. Dal 1986 in poi (entrata della Spagna nella CE), Madrid aveva sempre avuto un ruolo propulsore delle relazioni europee con l'America Latina, ed anche per questo l'Unione Europea ha avuto molto successo nel crearsi una presenza molto apprezzata (ben differenziata da quella statunitense ed anzi contrappeso nei confronti di essa).

Tutto comincio' con l'appoggio alla pacificazione in America Centrale negli anni 80 (uno scenario nel quale non si poteva essere a fianco degli Usa, che quelle guerre civili le avevano alimentate e a volte provocate), poi con l'appoggio deciso all'integrazione regionale, che ebbe particolare successo nel caso del Mercosur.

Nel corso degli anni novanta la presidenza Clinton si rese conto che l'Europa aveva fatto breccia in America Latina contro tutte le previsioni (vedasi pioggia d'investimenti europei nella regione, privatizzazioni totalmente appannaggio delle imprese d'Europa meridionale), a scapito degli interessi Usa. Da qui la previsione di un ritorno in fiamma degli Usa nella regione (piano Colombia, ALCA), indebolito pero' dall'11 settembre, che ha distratto le attenzioni Usa.

In questo quadro, i governi del PSOE guidati da Felipe González giocavano un ruolo molto attivo, quelli italiani nessuno, data la tradizionale assenza d'attenzione della nostra politica nei confronti di quei paesi.

Aznar invece venne a fare tutto il contrario: quando tutti si aspettavano un sostegno forte all'autonomia latinoamericana nei confronti degli Usa mediante un uso intelligente del ruolo spagnolo in Europa ed approfittando del calo d'attenzione di Washington, Aznar s'invento' un assurdo collaborazionismo con gli Usa proprio la' dove l'Europa deve fare il contrario (cioe' distanziarsene).

L'atteggiamento del governo spagnolo in occasione delle crisi argentine e venezolane potrebbe essere usato come caso - scuola su cosa non bisogna fare in corsi di formazione per diplomatici.

Nel momento piu' nero della crisi argentina, al momento dell'elezione del quinto presidente in tre mesi (Duhalde), Aznar dimostro' d'essere un modestissimo funzionario di partito anziche'  il grande statista che si e' voluto propagandare: invece d'appoggiare un presidente che stava ereditando una situazione delicatissima,lo rimbrotto' ricordandogli i grandi interessi economici che le imprese spagnole avevano in Argentina (era in gioco la manutenzione della parita' 1:1  tra peso e dollaro nei contratti di concessione alle imprese privatizzate).

Giustissimo in linea teorica, ma l'uomo di stato per definirsi tale deve sapere interpretare il momento ed adottare la forma d'espressione adeguata. L'Argentina, paese legato alla Spagna ed all'Europa a filo doppio, era in ginocchio, gli interessi delle imprese che sostenevano Aznar sarebbero  stati meglio tutelati da un atteggiamento piu' comprensivo e costruttivo.

In Venezuela, la Spagna s'affretto' a riconoscere (sola assieme agli Usa) il colpo di stato contro Chávez, senza peraltro informare i soci europei. Entrambe le circostanze sono doppiamente gravi perche' in quel momento la Spagna era presidente europeo di turno, per cui tali atteggiamenti irresponsabili potevano essere interpretati come scelte europee.

Cosa c'era dietro tali scelte dei governi di Aznar? Senza dubbio molta miopia di stampo tipicamente aznarista (un'America latina vista non come partner in crescita ma in un'ottica vetero - coloniale dal profumo di Vecchia Castiglia) ma anche un obiettivo e folle allineamento sulla politica Usa. Cioe' esattamente il contrario di cio' che ci chiede l'America Latina e di cio' che interessa l'Europa.

Nel caso argentino, un'incapacita' di leggere la situazione e di capire che i grandi profitti generati negli anni dall'assurda parita' peso - dollaro non erano sostenibili a lungo periodo, come qualunque osservatore minimamente informato sapeva benissimo (ma non evidentemente gli strateghi delle investitori spagnoli nel paese). Nel caso venezolano, la necessita' d'imbrigliare Chávez, personaggio eccentrico e limitato finche' si vuole, ma terribilmente guastafeste nel contesto OPEC e sudamericano. Riconoscere un colpo di stato contro un presidente democraticamente eletto a Caracas  fa quindi il paio con una certa visione strategica del Medio Oriente. Quella europea? No, quella Usa. Ahi ahi Aznar....

Chiaro che un governo diverso a Madrid riapre il discorso, e questo in un contesto strategico interessante: l'ossessione dei Bush - boys con la guerra al terrore (e con la rielezione) ha riportato l'America Latina in secondo piano a Washington, il progetto ALCA non avanza anche per il ruolo attivo di Lula e Kirchner (venti nuovi spirano in sudamerica).

L'Europa puo' riprendere l'iniziativa e ridivenire interlocutore credibile: tra l'altro il negoziato UE - Mercosur e' molto avanzato e potrebbe concludersi entro l'anno, aprendo un nuovo straordinario asse d'integrazione economica, l'area di libero commerco UE - Mercosur, il primo spazio regionale al mondo.

Una Madrid di nuovo sensata serve, e molto.

Del ruolo della Spagna si e' detto. I governi italiani, di tutti i colori, hanno sempre brillato per la loro assenza.

Al di la' di generiche affermazioni sulle radici comuni, l'origine italiana di molti cittadini d'America e sulla possibilita' di sviluppare un tessuto di PMI nel subcontinente non vi e' mai stata una vera e propria politica italiana in America Latina ne' un ruolo propulsore di Roma all'interno dell'Europa su questo tema. Anche le imprese (Fiat, Telecom ed altre) sono andate la' per conto loro, non nel quadro d'una strategia d'insieme.

Piutosto che un asse italiano - spagnolo, bisognerebbe invece puntare su un'azione organica europea, di cui esistono i presupposti e gli strumenti.

Putroppo, l'indifferenza nei confronti dell'America Latina continua da noi: non e' un problema dell'attuale governo, ma strutturale. Anche all'interno della Margherita, dove pure ci si muove bene sui temi europei, gli altri scenari vengono tenuti in sordina, e le professionalita' che potrebbero venire implicate per sviluppare nuovi progetti tenuti in disparte. Si preferisce un appoggio dilettantistico all'organizzazione di una rete di competenze.

Il risultato e' una lettura del mondo per "aree di prossimita'" che non ha piu' senso nel mondo globalizzato del XXI secolo.

Stefano Gatto

 

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