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Referendum: condividiamo oppure no la modifica proposta?!
10.05.2003

Personalmente sono sconcertato dalla piega che, di solito, questa discussione prende.

Si passano ore a discutere se il referendum sia una bomba contro Cofferati, contro tutto l\'Ulivo, contro Fassino, se si risolverà in un favore a Berlusconi o no, se Rutelli ci guadagna di più col NO o con il mancato quorum...

queste secondo me sono tutte sciocchezzuole a paragone della vera questione, che è tanto ovvia, eppure tanto ignorata (situazione comune nella politica italiana, salvo poi stare tutti a lamentarsi candidamente dello scollamento fra politica e cittadini): il referendum propone una modifica della legge che condividiamo oppure no?

  • cosa propone il referendum? Di abolire la limitazione di 15 dipendenti per far valere il reintegro previsto dall\'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Attualmente, nelle imprese sotto i 15 dipendenti, in caso di licenziamento senza giusta causa, non vale il reintegro ma è previsto un indennizzo;
  • cosa pensiamo noi che sia una modifica giusta della legge (in questo caso di una legge che riguarda il lavoro)? A mio parere la risposta è chiara, è giusta una modifica che favorisce in primo luogo i soggetti più deboli (in questo caso i lavoratori) e in secondo luogo l\'intera società interessata (in questo caso quella parte del sistema produttivo italiano costituita da imprese al di sotto dei 15 dipendenti);
  • che effetti avrebbe la modifica proposta dal referendum?
  • Per quanto riguarda i lavoratori, potrebbe avere un effetto neutro o negativo.
  • Nel caso in cui un lavoratore di una piccola azienda sia licenziato senza giusta causa, ciò avviene nella quasi totalità dei casi perché esiste qualche motivo personale di contrasto con il datore di lavoro (che nel caso delle piccole aziende è a contatto stretto con i suoi dipendenti, come certo non può essere un Berlusconi, al di là dei suoi impegni politici, o un Tronchetti Provera), se per caso un contrasto personale non preesistesse, sarebbe certamente creato dal contenzioso giudiziario. E\' un vantaggio per il lavoratore essere reintegrato, anziché ricevere un indennizzo, in una azienda in cui dovrà lavorare a stretto contatto con un padrone che è personalmente ostile nei suoi confronti? Evidentemente no, infatti, questo datore di lavoro avrà tutti i mezzi, se lo vorrà, (ed evidentemente lo vorrà) per costringere il lavoratore a licenziarsi di sua volontà, aggiungendo così al danno la beffa. Quindi nel caso in cui il giudice decidesse per il reintegro (perché la decisione fra reintegro e indennizzo è a discrezione del magistrato), nella quasi totalità dei casi il lavoratore ne avrebbe un danno, se invece decidesse per il risarcimento in denaro, la situazione sarebbe identica a quella attuale. Ecco perché la modifica proposta dal referendum non avrebbe effetti oppure sarebbe un peggioramento per la condizione dei lavoratori.
  • Ma c\'è un altro grande valore dell\'articolo 18, e mi sto naturalmente riferendo al suo fungere da deterrente contro i licenziamenti ingiusti. Anche qui la modifica proposta è peggiorativa, infatti in una piccola azienda ciò che fa più paura (almeno nella maggioranza dei casi) è dover pagare un ingente quantitativo di denaro, piuttosto che reintegrare un lavoratore indesiderato, che si avrà comunque il potere di far poi licenziare per vie traverse (perché questo potere il datore di lavoro ce l\'ha quando si parla di piccole aziende, e non sarà certo questo referendum a toglierglielo). La situazione è del tutto opposta a quella delle grandi aziende, per le quali un tot di mensilità non sono che una bazzecola, mentre doversi tenersi un lavoratore che non vogliono è un danno, che può quindi fungere da efficace deterrente. Dunque, anche dal punto di vista del valore di deterrenza, è chiaro che una vittoria del SI rappresenterebbe un danno per i lavoratori;
  • Le considerazioni di cui sopra i sindacalisti le hanno ben presenti, tanto è vero che tutti, compresa la Cgil, sono sempre stati contrari a modifiche di questo tipo (perché non è certo Bertinotti il primo demagogo arrivato a proporle, anche se solo oggi si arriva addirittura ad un referendum), i motivi per cui ultimamente alcuni hanno cambiato opinione non hanno a che vedere con il merito della questione, e non mutano il fatto che la modifica proposta dal referendum è peggiorativa. Del resto, sia detto di passata, chi ha steso lo statuto dei lavoratori non era certo stupido, né, tanto meno, nemico dei lavoratori, e non ha certo inserito un limite minimo di 15 dipendenti per futili motivi;
  • Per quanto riguarda le imprese, non mi addentro in un discorso approfondito, in primo luogo perché mi interessa di meno, e secondariamente perché è già stato ampiamente spiegato a destra e a manca quale sarebbe il danno derivante da una eventuale vittoria del SI (dal che, qualcuno deduce che sia giusto votare SI solo per questo... "tanto peggio tanto meglio"... simili posizioni si commentano da sole).
    Dunque, analizzando la cosa concretamente e con razionalità, è evidente che una vittoria del SI non potrebbe che tradursi in un risultato sbagliato, dal punto di vista di chi ha interesse a rendere l\'Italia un posto migliore in cui vivere e lavorare. Per questo, e non per astrusi motivi tattici (che, giustamente, non sono e non saranno mai capiti dall\'elettore comune), il referendum deve fallire, l\'unica scelta che resta da fare è se astenersi o votare NO. Penso che la cosa più efficace da fare sia aspettare la sera, vedere se il quorum viene raggiunto e solo nel caso in cui lo sia andare a votare NO (altrimenti andare a votare lo stesso, ma rifiutare la scheda [non lasciare scheda bianca che conta comunque per il quorum], perché l\'altro referendum, quello sconosciuto proposto dai verdi, invece è interessante).

    Chi ancora volesse continuare a calcolare quanto il referendum sia una mossa politica contro questo o quell\'altro personaggio e a fare ragionamenti del tipo "mi si nota di più se ci sono o se non ci sono", lo pregherei accoratamente di cambiare atteggiamento, di pensare agli interessi concreti e reali che determinano la vita concreta e reale di tanti lavoratori e di tanti imprenditori, e sulla base di ciò (magari senza ignorare gli argomenti sopra proposti) decidere cosa sia giusto votare. E se invece si continuasse a ritenere che è più importante decidere se un quesito referendario sia utile o dannoso a qualche politico, piuttosto che pensare a quale esito sia utile o dannoso per i cittadini che ne sono interessati... beh, io me ne tiro fuori.

    Due piccole note ulteriori e finali:

1. particolarmente irritante trovo l\'esempio, spesso ripetuto a favore del SI, del referendum sul divorzio. A parte il fatto che in quel caso il referendum proponeva qualcosa di concretamente giusto, al contrario di quanto accade oggi, trovo sconcertante che a tanti anni di distanza qualcuno meni vanto di analizzarne gli esiti e le influenze sulla politica in modo tanto politicista e partitocratico, come fa chi lo porta ad esempio di come il PCI da riluttante che era seppe portarsi all\'avanguardia in un certo tipo di battaglie. Se anche all\'epoca queste persone ragionavano allo stesso modo, c\'è da chiedersi per quale incredibile congiunzione astrale sia potuto accadere che si siano schierati dalla parte giusta.

2. anche l\'obiezione teorica, che un diritto debba valere universalmente, apparentemente interessante, non è per nulla pertinente, in realtà. Infatti, qui si tratta di discutere sulle sanzioni necessarie per far valere un diritto, quello a non essere licenziati senza giusta causa, che è comunque riconosciuto. Ma che per situazioni differenti debbano essere applicate sanzioni differenti non è nulla di strano, è un fatto totalmente pacifico, giù dai tempi del diritto romano.

Guido Parietti

(feanaaro@yahoo.it)

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