12.06.2004
Niente di nuovo con l'accordo sul Telelavoro
L'Accordo Sindacati-Confindustria sul Telelavoro non favorirà la diffusione del telelavoro se non camberanno alcune condizioni di fondo che finora l'hanno ostacolato
La stampa nazionale ha dato grande risalto all'accordo, il primo della gestione Montezemolo, tra Confindustra e Cgil-Cisl-Uil sulla regolamentazione del telelavoro, probabilmente perché ne viene data una lettura politica di migioramento dei rapporti imprese-sindacati. Nel merito, invece, dell'accordo vero e proprio non emergono particolari novità normative rispetto ai già molti accordi e contratti che prevdevano questa nuova modalità del lavoro. Infatti già nel 1998 Cgil-Cisl-Uil e Telecom Italia introdussero nel contratto nazionale di lavoro Telecom il trattamento analogo a quello previsto dall'accordo Confindustria-Sindacati , che poi fu ripreso nel 2001 nel contratto Nazionale delle Imprese di Tlc che si applica anche ai concorrenti di Telecom Italia come Wind, Infostrada, Fastweb, Vodafone.
Già queste regole si applicano a circa 690 lavoratori del servizio Info12 che rispondono dalle proprie case. Ma non è solo nelle Tlc che esiste questo istituto contrattuale: già il Contratto dei Metalmeccanici, quello dei Chimici, dei Bancari, degli Assicurativi, dei Poligrafiici, del Commercio e per le imprese artigiane prevedono il telelavoro da circa 4-5 anni, già da più di 1 vigenza contrattuale.
Per il Pubblico Impiego già un accordo intercomparto del 2001 prevede la possibilità di introdurre nella Pubblica Amministrazione Centrale e Locale il telelavoro come è già stato fatto al Comune di Roma.
Quindi il Telelavoro già da tempo è entrato a pieno titolo nel mondo del lavoro italiano e, come sempre avviene, un accordo interconfederale assume e solennizza quanto è emerso nelle singole categorie.
Ma allora perché, pur essendoci un forte interesse e disponibilità , da parte dello stesso Sindacato italiano, molto di più che su altri istituti della flessibilità , in Italia il telelavoro non è decollato?
Il primo motivo è tecnologico: in Italia la banda larga, cioè l'Internet ad alta velocità , solo ora comincia a diffondersi con l'Adsl, ma è ancora troppo poco diffusa, soprattutto nei piccoli e medi centri, e nel sud, che costituiscono l'ossatura del sistema economico italiano e ancora troppo costosa.
No Banda larga, no Telelavoro, e ancora l'adsl non è banda larga, servirebbero le fibre ottiche ma dopo la privatizzazione telecom Italia non vi investe, Fastweb non ha abbastanza risorse e Soru di Tiscali si è distratto con la politica.
Insieme al gap tecnologico vi è poi un gap culturale, non solo nel senso di un ancora troppo poco diffusa alfabetizzazione informatica ma nel senso, su cui spesso è tornato il sociologo Domenico De Masi, massimo studioso in Italia del telelavoro, che in Italia le Aziende, le gerarchie aziendali, non hanno accettato la rivoluzione che il Telelavoro comporta.
Non si vogliono accettare tutte le conseguenze sull'organizzazione del lavoro e i rapporti interni alle imprese: indipendenza ed autonomia del lavoratore, controllo sui risultati più che sulle modalità del lavoro, coinvolgimento e partecipazione anzichè mera subordinazione.
L'inesistenza di incentivi economici che aiutino il telelavoro, ottimo antidoto al traffico e all'inquinamento, oltre che aiuto alle donne che devono conciliare, e non ci riescono, lavoro e famiglia, completa il quadro di condizioni sfavorevoli allo sviluppo del teleworking in Italia che un accordo non può colmare.
Pier Luigi Tolardo
Fonte : ZEUS News - www.zeusnews.it - News, 11-06-2004
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