Welfare Italia :: Cultura :: BENI CULTURALI:DECENTRAMENTO E FEDERALISMO Invia ad un amico Statistiche FAQ
7 Maggio 2024 Mar                 WelfareItalia: Punto laico di informazione e di impegno sociale
Cerca in W.I Foto Gallery Links Documenti Forum Iscritti Online
www.welfareeuropa.it www.welfarecremona.it www.welfarelombardia.it www.welfarenetwork.it

Welfare Italia
Home Page
Notizie
Brevi
Il punto
Lettere a Welfare
Cronaca
Politica
Dal Mondo
Dalle Regioni
Dall'Europa
Economia
Giovani
Lavoro
Cultura
Sociale
Ambiente
Welfare
Indian Time
Buone notizie
Radio Londra
Volontariato
Dai Partiti
Dal Parlamento Europeo
Area Iscritti
Username:
Password:
Ricordami!
Recupero password
Registrazione nuovo utente
Brevi

 Foto Gallery
Ultima immagine dal Foto Gallery di Welfare Italia

Ultimi Links







BENI CULTURALI:DECENTRAMENTO E FEDERALISMO
10.05.2003

I beni culturali sono un patrimonio dell'umanità.
I beni culturali sono di tutti, di tutte, senza distinzione di razza, di sesso, di religione, di nascita, di appartenenza geografica.
Tutte, tutti devono essere messi nelle condizioni di godere di quel patrimonio, perché tutte, tutti vi si possono riconoscere.
Tutte, tutti significa non solo i nostri contemporanei, ma anche coloro che verranno dopo di noi. La tutela e la corretta conservazione dei beni culturali costituiscono un impegno primario degli enti e delle istituzioni cui essi sono stati affidati.
La Repubblica deve costruire queste condizioni di uguaglianza tra cittadini, come richiesto dalla nostra Costituzione.
Costruire condizioni di uguaglianza significa aprire più musei per più tempo, stringere legami con le scuole perché sempre più studenti li visitino e frequentino gallerie, siti archeologici, biblioteche, istituti.
Costruire condizioni di uguaglianza significa investire denaro pubblico nella cultura.

Il centrosinistra ha detto e dice sì al coinvolgimento dei privati nella gestione dei servizi per i beni culturali e no alla privatizzazione dell'intera gestione dei beni culturali.
Il centrosinistra ha detto e dice sì al coinvolgimento delle regioni nella tutela e nella valorizzazione dei beni culturali e no alla negazione delle funzioni e delle prerogative dello Stato.
Il centrosinistra ha detto e dice sì all'autonomia delle competenze, dei tecnici, degli istituti e no all'ingerenza della politica nell'arte, nel gusto, nelle scelte culturali.
Il centrosinistra ha detto e dice sì a un Ministero per i beni e le attività culturali forte, autorevole, centrale nella definizione delle politiche per lo sviluppo del Paese e no a un Ministero che pretenda di dettare il canone del giusto e del bello.

Alla luce di questi princìpi, per noi irrinunciabili, vorremmo ragionare delle novità introdotte dalla riforma del titolo V della Costituzione in materia di beni culturali.
La riforma federalista dello Stato è stata fortemente voluta dal centrosinistra: avvicinare le istituzioni ai cittadini, infatti, è, oltreché una necessità, un nostro obiettivo primario.
Anche per i beni culturali?
Anche in materia di tutela?

Il dibattito, anche all'interno della sinistra e del centrosinistra, registra diverse posizioni come del resto le registrò al momento dell'approvazione parlamentare della riforma costituzionale.
Schematicamente potremmo dire che due sono le posizioni che si confrontarono allora e continuano a confrontarsi.
Da un lato, c'è la spinta federalista che punta al trasferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni, come quelle di tutela, che la stessa modificazione del titolo V continua a riservare allo Stato; dall’altro si osserva una certa resistenza – anche in seno alle principali associazioni culturali – a qualsiasi «indebolimento» del potere centrale in favore di una maggiore dialettica centro/periferia.
Senza nessuna pretesa di offuscare le ragioni dell'una o dell'altra posizione - o delle molte altre posizioni non riconducibili tutte alle due citate - vorremmo provare ad avanzare alcune proposte capaci, secondo noi, di avviare quella nuova stagione per la politica dei beni culturali che il nuovo quadro normativo e istituzionale richiede, alla luce delle riforme recentemente approvate.

Lo stato della questione
Le modifiche al titolo V della Costituzione hanno definito un nuovo quadro di rapporti tra lo Stato e le Regioni per quanto riguarda il potere legislativo relativamente ai beni culturali e ambientali.
In particolare la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 stabilisce all’art. 117 che lo «Stato ha legislazione esclusiva» in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali». Nel medesimo articolo si precisa che «valorizzazione dei beni culturali e ambientali» nonché «promozione e organizzazione di attività culturali» costituiscono materia di «legislazione concorrente».
L’interpretazione più comune di quest’ultima espressione riparte tra Stato e regioni a statuto ordinario la potestà legislativa sulla base del criterio secondo il quale al primo compete la determinazione dei principi fondamentali, mentre le seconde si farebbero carico dei provvedimenti correnti.
Fin qui, dunque, il ruolo imperativo dello Stato appare inconfutabile. L’art. 117, però, apre uno scenario diverso e potenzialmente più ampio laddove puntualizza che la «legge statale… disciplina forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali». Nello stesso articolo si sottolinea che «le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni… sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza».
In verità, già il DPR 14 gennaio 1972, n. 3, trasferiva (art. 7) «alle regioni a statuto ordinario le funzioni amministrative degli organi centrali e periferici dello Stato in materia di musei e biblioteche di enti locali». Tra le altre, le funzioni trasferite concernevano «la manutenzione, l’integrità, la sicurezza e il godimento pubblico delle cose raccolte nei musei e nelle biblioteche di enti locali o di interesse locale». Tali funzioni coincidono, o sono comunque assai prossime, a quelle che in genere vengono comprese nell’espressione «tutela dei beni culturali».
L’art. 8 del medesimo decreto trasferiva alle regioni le soprintendenze ai beni librari, mentre l’art. 9 delegava loro attività che certamente possono essere incluse in quelle di tutela («vegliare sulla conservazione ed eventuale riproduzione dei codici, degli antichi manoscritti… e curare la compilazione del catalogo generale di tali opere…»). La precisazione, contenuta nel medesimo articolo, che «Le funzioni amministrative delegate con il presente articolo vengono esercitate dagli organi regionali in conformità delle direttive emanate dal competente organo statale.» sembra coincidere, ancorché emanata nel lontano 1972, con l’interpretazione di legislazione concorrente riferita sopra.
Infine «in caso di persistente inattività degli organi regionali nell’esercizio delle materie delegate... il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente, può disporre il compimento degli atti relativi in sostituzione dell’amministrazione regionale.». È appena il caso di sottolineare che tale potere di surroga – nonostante i molteplici casi di totale inattività da parte delle regioni, segnatamente di quelle meridionali – non è mai stato esercitato.

Qualche proposta
Il quadro normativo brevemente schematizzato contiene interessanti potenzialità e richiede proposte capaci di misurarsi con il mutato contesto.
Ecco, dunque, il senso delle proposte che mettiamo a disposizione di chiunque voglia discutere con noi e partecipare così a quell'ampio dibattito senza il quale non è possibile costruire quella nuova stagione per i beni culturali richiesta innanzitutto dalle centinaia di persone che, con professionalità, passione, competenza, esercitano ogni giorno i diversi e tutti fondamentali mestieri dei beni culturali e poi dai cittadini che, lo ripetiamo, hanno diritto a fruire di un patrimonio che parla della loro, della nostra storia, del loro, del nostro passato, e, dunque, del nostro futuro, delle tracce che lasceremo a chi verrà dopo di noi.
1) Centralità della figura del Soprintendente regionale. Si tratta di una nuova figura, istituita dalla riforma del Ministero per i beni e le attività culturali come figura cardine per la realizzazione di un concreto dialogo tra Stato, regioni, enti locali. Rendere centrale questo ruolo significa dotare le soprintendenze regionali degli strumenti essenziali a sostanziarne l’azione rafforzandone così il ruolo, segnatamente per quanto riguarda i rapporti con l’ambito geografico nel quale esse sono chiamate a operare.
2) Autonomia degli Istituti periferici. L'attribuzione della gestione autonoma agli Istituti periferici non può limitarsi ai poli museali, ma deve essere estesa – sia pure mediante una graduale modulazione sulla base delle dimensioni e degli impegni dei singoli istituti, senza derogare dall’attribuzione del capitolo unico di bilancio a ognuno di essi – all’intera periferia.
3) Valorizzazione delle strutture tecnico-scientifiche. Nello scenario sommariamente abbozzato diviene cardinale il ruolo delle strutture tecnico-scientifiche, in primis quello degli Istituti centrali, cui dovrà essere affidato il compito di mettere a punto le metodiche per la valorizzazione e la tutela dei beni culturali sul territorio. Nell’ultimo periodo si è assistito al consolidamento di una tendenza peraltro già in atto da almeno un decennio che consiste nell’estendere il sistema privatistico dai servizi alle strutture di ricerca, di indirizzo e coordinamento nei settori dell’inventariazione, catalogazione, conservazione e restauro. Si tratta di ambiti particolarmente delicati che verrebbero gravemente alterati dalla privatizzazione il cui obiettivo fondamentale è quello di assicurare il massimo profitto al minor costo.
4) Investimento nelle risorse umane. La politica di progressiva riduzione di assunzioni nel settore pubblico se è giustificabile, visto il coinvolgimento dei privati, nello specifico settore dei servizi, appare del tutto autolesionistica nel campo della ricerca e dell’indirizzo metodologico. Quest’ultimo richiede infatti investimenti continui in giovani ricercatori i quali siano in grado di portare all’interno delle strutture tradizionali – che, non a caso, hanno acquisito nei lunghi decenni di attività un indiscusso prestigio internazionale – energie nuove che le salvaguardi dall’inevitabile obsolescenza. La progressiva privatizzazione, di cui è già possibile intravedere chiare premesse nell'azione di governo del centrodestra, va in senso opposto a questa tendenza e condurrà inevitabilmente da un verso allo smantellamento del prestigioso patrimonio scientifico accumulato da tali strutture e dall’altro alla sottoccupazione dei giovani ricercatori nella cui formazione sono state investite negli ultimi anni ingenti risorse.
5) Formazione per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali. Il settore dell’alta formazione per i beni culturali è stato gestito, negli anni trascorsi, esclusivamente dall’Università. Il bilancio dei corsi di laurea in conservazione dei beni culturali non è positivo e la riforma dei corsi universitari, compiuta dai governi del centrosinistra, potrebbe costituire un fondamentale momento di svolta in questo settore. Ma il «saper fare», base del nuovo ordinamento universitario, esige che gli studenti escano dal chiuso delle aule per stabilire un contatto reale e continuo con i beni culturali. Il raggiungimento di questo obiettivo impone un rapporto concreto tra gli istituti del Ministero per i beni e le attività culturali, le Università, le regioni e gli enti locali. Anche in questo caso sarà possibile venire a capo del grave problema di una formazione efficace ed efficiente soltanto se le diverse componenti coinvolte sapranno concorrere, ognuna per la propria parte, alla sua soluzione.


Sono solo alcune tra le proposte possibili per proseguire il cammino verso quella valorizzazione e quella centralità che, in un Paese come l'Italia, le politiche per i beni culturali non possono non avere e che, invece, rischiano di perdere se prevarrà la strada intrapresa dal centrodestra, di un disimpegno pubblico il quale, lungi dal portare nuove risorse nella gestione dei beni culturali, finirebbe per marginalizzare un settore che, per costi oltreché per vocazione, non può essere governato seguendo la sola logica del profitto e del mercato.

Welfare Italia
Hits: 1800
Cultura >>
I commenti degli utenti (Solo gli iscritti possono inserire commenti)
Terza pagina

Sondaggi
E' giusto che Bersani si accordi con Berlusconi per le rifome ?

Si
No
Non so
Ultime dal Forum
La voce del padrone di Lucio Garofalo
Salotti culturali dell'Estate bolognese
Pippo Fallica querelo' Corriere della Sera e La Sicilia?
NO LEADER, NO PARTY di Luigi Boschi
UN PARTITO LENINISTA (LEGA) CHE SPOSA IL VATICANO di A.De Porti
POESIA DI VITA di Luigi Boschi
La vita spericolata del premier di Silvia Terribili
Romea Commerciale di Orlando Masiero
Sondaggio, 15mila i voti finora espressi
Buon che? di Danilo D'Antonio
L'Italia è una Repubblica "antimeritocratica" fondata sul lavoro precario
LA PROTESTA DEI SANGUINARI di Luigi Boschi
L'AQUILONE STRAPPATO di Antonio V. Gelormini
Il reality scolastico su "Rai Educational"
Vuoto indietro diventa proposta di legge,





| Redazione | Contatti | Bannerkit | Pubblicità | Disclaimer |
www.welfareitalia.it , quotidiano gratuito on line, è iscritto nel registro della stampa periodica del Tribunale di Cremona al n. 393 del 24.9.2003- direttore responsabile Gian Carlo Storti