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Il «male minore» è una furbata, non una politica.
10.05.2003
Non si può sostenere un referendum sbagliato.
Di Antonio Panzeri

Il «male minore» è una furbata, non una politica.
Di Antonio Panzeri* da ilriformista.it


Quella che si apre sembra essere una settimana importante. Domani e dopodomani il Direttivo nazionale della Cgil deciderà formalmente la posizione da assumere in vista del referendum del 15 giugno sull'art.18. Dopo che i giornali hanno reso noto l'orientamento prevalente emerso in Segreteria Cgil, si è aperta una ricca e articolata discussione e hanno cominciato a delinearsi differenze di valutazione e giudizio. Ritengo tutto ciò un bene. Non si può sfuggire infatti alla consapevolezza che ciò che si deciderà potrà avere più di una conseguenza sul quadro politico e sociale italiano. Proviamo un po' a riflettere.

Questo referendum la Cgil non lo ha voluto. Lo ha subito.

L'iniziativa messa in campo dalla Confederazione, nel corso degli ultimi mesi, è stata quella di indicare nel percorso legislativo la via maestra per estendere le tutele ed i diritti a chi oggi ne è privo. In ragione di questo obiettivo si sono raccolte cinque milioni di firme in appoggio a due leggi di iniziativa popolare. La Cgil, dunque, è vincolata a quel mandato. Non ad altro. Credo sia bene ricordarlo per evitare che con troppa superficialità, nel dimostrare una presunta coerenza con il pronunciamento favorevole nel referendum, si offuschino le opzioni strategiche compiute e condivise, a quel tempo, da quasi tutto il gruppo dirigente quando decise di non aderire alla raccolta delle firme.

Anzi la riaffermazione delle scelte di fondo pone a tutti noi, oggi, un serio interrogativo, che deve avere una risposta, e cioè se il referendum favorisce o meno la strategia della Cgil. Autorevolmente è stato, in più occasioni, detto che il referendum è sbagliato, divide e non è una strada da praticare per fornire risposte ai temi che abbiamo sollevato. Ora se queste affermazioni hanno un senso appare assai problematico decidere che il referendum vada sostenuto.

Tralascio le evidenti contraddizioni di tale comportamento. Ciò che sembra più utile sottolineare è che, se assunta, una presa di posizione di tale natura presuppone la teorizzazione del cosiddetto "male minore". Una teoria che, come si sa, da sempre è e rimane una furbata ma non rappresenta una linea politica. Risulterebbe infatti poco convincente una strada che fosse, per così dire, intrisa di disinvoltura tattica. L'idea cioè, che sembra evidenziarsi, che una miscellanea composta dal sì al referendum, dalla probabile rottura sul contratto dei meccanici, dal confronto con Confindustria, da quello con il governo sulle pensioni e dai complicati rapporti con Cisl e Uil possa essere tranquillamente governata.

Come dire un colpo al cerchio e uno alla botte. C'è ovviamente da augurarsi che il governo di queste evidenti contraddizioni sia possibile, ma ho l'impressione che, purtroppo, i fatti nudi e crudi, nel loro proporsi, possano incaricarsi di vanificare questo sforzo mettendo in seria difficoltà la nostra azione sindacale.

Sta dunque qui l'importanza delle scelte che saranno compiute ed ecco perché ritengo assolutamente indispensabile che vengano fatte con ponderazione. In piena autonomia ma con grande accortezza. Il pronunciamento sul referendum non è semplicemente un ostacolo da rimuovere al più presto, per archiviarlo. Bisogna essere consapevoli che, proprio perché in politica le scelte non sono mai neutre, occorre avere una visione lungimirante.

Non è obbligatorio per una grande organizzazione che conta più di cinque milioni di iscritti farsi trascinare in una contesa dalla stessa organizzazione non voluta. La Cgil, forte di una linea adottata in questi mesi, non ha l'esigenza di dividersi su strategie indicate da altri. Se fossimo in grado di assumere questa consapevolezza, risulterebbe, allora, più agevole indicare la strada più giusta e più utile per coloro che rappresentiamo e per il Paese.

*Segretario generale Camera del Lavoro di Milano
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