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Cambiamo la legge sulla procreazione assistita.
30.06.2004

Ivana Bartoletti, dell’esecutivo nazionale della Sinistra Giovanile: “Trascendiamo le polarizzazioni, ovvero quegli scambi di anatemi tra i distruttori della dignità umana e i nemici oscurantisti di stampo medievale”.

L'articolo 1 del testo in materia di procreazione assistita recita: “al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”.

Vorrei cercare di andare al cuore del problema posto in discussione da questo testo di legge, ovvero quello dei diritti del feto e dell'aborto. Infatti, la norma più importante in materia di diritti del concepito, quella che apre la 194 proclamando che la vita umana è protetta “fin dall'inizio”, appare superata nel testo della legge dall'affermazione della vita non come diritto ma come tutela. Da qui il timore: allora anche la vita del concepito diviene un diritto riconosciuto verso la madre? E' questo un passo per mettere in discussione la liceità dell'aborto?

Abbiamo ritenuto questo testo una legge “burka”: ma per riuscire a passare in rassegna tutti i ragionamenti abbiamo bisogno di un'analisi approfondita di dati con cui acquisire dimestichezza, in modo da trascendere le polarizzazioni, ovvero quegli scambi di anatemi (anche trasversali nell'arena politica) tra i distruttori della dignità umana e i nemici oscurantisti di stampo medievale.

Sono venticinque anni che si effettua la fertilizzazione in vitro, cioè l'unione di un uovo con uno spermatozoo in provetta, e da più anni ancora che si pratica la fecondazione artificiale, cioè l'inseminazione di una donna attraverso seme di donatore, eppure il dibattito se il diritto a procreare sia sempre illimitato o no è sempre in corso. All'estero vi è una vasta gamma di leggi, più o meno permissive, più o meno favorevoli al diritto a procreare per vie non naturali, leggi che dipendono molto dal tessuto sociale e religioso. Ad esempio, storicamente l'Inghilterra è un paese in questo senso molto permissivo, anche per quanto concerne la sperimentazione sulle cellule staminali.

La questione principale è garantire, attraverso lo strumento legislativo, l'architettura coerente e vicina ai bisogni delle donne e degli uomini di questo paese, capace di:

1. Rispondere al problema della sterilità di coppia. Si tratta di un problema in aumento, che possiamo considerare una malattia come le altre, e a causa della quale molte persone si sentono menomati e ne soffrono. Non discutiamo se questa sofferenza sia motivata o immotivata, logica o illogica. Concediamo pure che la situazione vari da persona a persona, ma dobbiamo affermare che l'adozione non rappresenta una risposta al problema - o almeno non l'unica, dal momento che avere figli è, per molteplici ragioni, un elemento fondamentale per le donne e per gli uomini.

2. Tutelare la salute della donna. Qui non si tratta di decidere se l'embrione sia semplicemente “nel ventre” di sua madre o se sia “cosa sua”. Si tratta di affermare che ogni intervento sul feto è un intervento sulla madre e viceversa. In questo senso, solo la donna potrà decidere se sottoporsi o non sottoporsi a terapie o interventi necessari per tutelare il suo diritto alla vita e alla salute. Nella legge, all'articolo 14, si stabilisce che “le tecniche di produzione degli embrioni... non devono creare un numero di embrioni superiori a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, e comunque non superiore a tre. Così facendo, però, si costringe la donna a sottoporsi a cicli di stimolazione ormonale e al prelievo di ovociti senza per nulla considerare il rischio di tutto ciò per la sua salute. Inoltre, la pretesa di voler eliminare il controllo sugli embrioni allo scopo di verificare la presenza di malattie genetiche e poter, quindi, selezionare solo gli embrioni sani, vieta alle coppie che, nel dubbio di trasmettere una malattia, si asterrebbero dall'avere figli.

3. Garantire il diritto alla maternità e alla paternità per tutti. Qui ci sono due problemi. Il primo concerne l'obbligatorietà che ad accedere alla fecondazione assistita siano escluse la coppia non convivente, la coppia omosessuale, la donna sola, la donna in età non fertile, la vedova, come sancito all'articolo 5. Non crediamo che questa possa rappresentare una scelta a favore della vita: anzi, si sancisce un criterio alquanto arbitrario nella definizione del principio di qualità della vita. Oltretutto, la società viaggia molto più avanti dei suoi rappresentanti: chi può regolare il fatto che una donna feconda che decide di fare un figlio possa utilizzare un rapporto occasionale, un rapporto occasionale o un amico solidale per raggiungere il suo obiettivo? Il secondo problema è quello che il divieto alla fecondazione eterologa, sancito all'articolo 4, comma 3 pone una serie di questioni:

- Esclude dall'aiuto medico tutte quelle forme di impossibilità di procreare dovute alla sterilità dell'uomo;

- Determina una discriminazione della coppia meno abbiente che non può permettersi viaggi della speranza in altri paesi, in cui tale tecnica è, invece, consentita;

- Pone, ed è gravissimo, i figli nati, nonostante i divieti, con la fecondazione eterologa in una posizione di serie B.

Un assetto legislativo capace di rispondere a questi tre problemi significa costruire un impianto normativo che a problemi reali risponde in maniera laica. Con la nascita, e solo con la nascita, l'essere umano ha quello stato unificato che lo immette nella scena giuridica, ovvero che lo dota della capacità giuridica più generale, come affermato nel codice civile.

La stessa Convenzione europea di bioetica (Oviedo, 1997) impegna gli Stati ad essa aderenti a “proteggere l'essere umano nella sua dignità e identità”. E il non nato è già, attualmente, destinatario di norme. Basti pensare al codice penale - infanticidio durante il parto o alle soglie del parto (art. 578), o al diritto al soccorso, alla salute ecc. ecc. Qui non si tratta di mettere in discussione quando inizi la vita: c'è chi che un embrione è un uomo in potenza. Se è un sostenitore del dualismo cartesiano, per cui l'uomo è composto di anima e corpo, sosterrà che l'embrione è già un uomo, perché quella unione di principi materiale e immateriale è, in parte, già avvenuta. Certamente, per una donna in particolare, è differente perdere un figlio alla seconda settimana piuttosto che al terzo mese e un aborto spontaneo è generalmente associato ad un evento traumatico.

La convinzione, quindi, che un embrione non sia solamente un ammasso di cellule - e quindi che eliminarlo non equivalga ad esempio a tagliarsi le unghie - è convinzione diffusa e interiorizzata. Se si chiede alla scienza se un embrione sia vivo oppure no, la risposta sarà certamente si. Così come sarà si, se si chiede se appartenga o meno alla specie umana. O quanti cromosomi abbia. Ma la questione della dignità di un embrione appartiene alla sfera della coscienza: ed è importante, quindi, affermare il dovere della legislazione laica che risponde a problemi reali e non antepone principi religiosi. Tutto questo è ancora più urgente per evitare inaccettabili commerci: inutile negare gli aspetti economici che soggiacciono alla questione delle cellule staminali, indipendentemente dalla clonazione terapeutica.

Ad oggi, tutte le tecnologie sulla clonazione sono state fatte oggetto di domanda di brevetto, e quindi, proprietà di ditte biotecnologiche o farmaceutiche che vogliono fare profitti nel settore della diagnosi e della terapia. Inutile dire che qualsiasi brevettazione delle tecniche legate alle cellule staminali dovrebbe essere vietata. Ma questo è un altro, e complesso ragionamento, su cui peraltro dovremmo riflettere. Anche perché la ricerca in questo senso è anche “vittima” delle convinzioni sociali e religiose. In Israele ad esempio, dove l'embrione è considerato acqua fino al quarantesimo giorno, le riflessioni in questo senso sono certamente differente che nel nostro paese.

Per concludere, dobbiamo costruire un terreno di opposizione civile a questa legge: spero di avervi fornito qualche strumento in più di analisi, che vi permetta di porre questo tema al centro dell'iniziativa politica.

Ivana Bartoletti

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