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Un ospedale nel deserto del Darfour in Sudan
2.07.2004

Emergency in Sudan
Un'ospedale nel deserto del Darfour.

Darfour, Sudan. Circa 2 ore di pick-up lungo una pista abbozzata nel deserto multicolore del nord Darfour separano El Fashir, capitale dello stato, da Mellit, fino a qualche anno fa fiorente centro commerciale, oggi poverissimo agglomerato di case di paglia.

Lungo la strada pochi villaggi sparsi, quei pochi che sono sopravvissuti alle razzie dei guerriglieri ribelli prima e dei janjaweed poi. Quasi ovunque solo donne e bambini che ci salutano dalle capanne. Ci chiediamo dove siano finiti gli uomini, ma in un contesto cosi complesso è quasi impossibile avere risposte esaustive. Il Darfour, da sempre terra di convivenza e di mescolanza di diverse etnie è da oltre un anno e mezzo teatro di un sanguinoso conflitto. Tribù di origine araba, supportate a lungo dal governo centrale contro tribù di origine africana, supportate da paesi stranieri e dalle forze di opposizione interna, si contendono il potere su un territorio grande quanto metà dell’Europa occidentale, ma privo di risorse e in gran parte desertico.

Parlando con la gente del posto l’impressione che ricaviamo è quella di una gran confusione. I cosiddetti ribelli reclutano militanti nei villaggi, indipendentemente dall’appartenenza tribale pagando profumatamente poveri contadini analfabeti e affamati perchè imbraccino le armi. Allo stesso tempo i cosiddetti jajaweed, banditi locali, sembrano essere sfuggiti al controllo delle autorità centrali dando vita a scorrerie e violenze diffuse a danno soprattutto delle popolazioni civili.

Andiamo a Mellit per visitare l’ospedale locale, unico dei pochi ospedali rurali del nord Darfour a non essere supportato ne’ dal ministero della sanità sudanese, ne’ da agenzie umanitarie. Prima di entrare in città ci si ferma al posto di blocco per controllare che i documenti di viaggio siano in ordine. Per spostarsi da una località all’altra, infatti, c’è bisogno di un’autorizzazione della sicurezza militare, e per avere tutte le firme necessarie ci è voluta un’intera mattinata. Fortunatamente il nostro è un controllo sommario, solo pochi minuti, poi possiamo proseguire. Meno bene è andata ad un autobus che usciva dalla città. Tutti i passeggeri sono stati fatti scendere e gli uomini della sicurezza hanno controllato ogni singolo viaggiatore e relativo bagaglio.

Mellit sorge in un suggestiva vallata verde circondata da montagne ormai levigate da millenni di vento e sole. Prima di quest’ultimo conflitto contava circa 30000 abitanti, oggi ne sono rimasti meno della metà.
Ad attenderci in ospedale, una delle pochissime strutture in muratura della cittadina, c’è il dr Muataz, responsabile medico del centro. Un po’ imbarazzato ci invita a seguirlo per fare il giro della struttura. In un amplissimo cortile di sabbia fine e rossa sono distribuiti in ordine sparso vari edifici all’apparenza in buono stato. I circa 40 posti letto sono divisi in 5 corsie: pediatria, ostetricia, medicina femminile, chirurgia maschile e medicina maschile.
Nonostante le buone condizioni degli edifici, l’interno dei reparti è veramente deprimente: letti sgangherati, materassi sudici, odori nauseabondi che provengono dalle latrine, mosche che si posano impietose sui volti sofferenti dei pazienti. Le patologie più comuni sono le solite che si incontrano in situazioni come questa, malaria, malnutrizione, infezioni legate alle malsane condizioni di vita. Stando alle cifre ufficiali dovrebbero esserci ben 30 infermieri e 10 addetti alle pulizie a lavorare in questo ospedale, noi incontriamo solo 3 infermieri e di cleaner nemmeno l’ombra. Alle nostre osservazioni in proposito il medico si scusa dicendo che molti degli infermieri sono a El Fashir per un corso di aggiornamento e che la maggior parte dello staff è in ospedale fino alle 2 del pomeriggio, quindi ormai sono tutti a casa da oltre 2 ore. Persino il pronto soccorso ed il laboratorio sono ciusi a chiave!

Visitiamo anche la sala operatoria, usata soltanto per interventi minori a causa della carenza di strumenti e materiale di consumo. I guanti monouso sono riutilizzati più volte ed i ferri vengono sterilizzati tramite bollitura, ma vista la qualità dell’acqua, sono ormai tutti incrostati di calcare. Inevitabili le infezioni post-operatorie, ma, ci dice sorridendo il dr Muataz ,si interviene con massicce dosi di antibiotici per ridurne la portata, quando i farmaci sono disponibili.

Questo pare essere il problema principale, infatti: la drammatica carenza di farmaci e materiale sanitario. Da quando è iniziato il conflitto i rifornimenti da parte del ministero della sanità, già precari in precedenza, sono stati drammaticamente ridotti. Per oltre una anno e mezzo la guerra ha reso insicure le vie di comunicazione, isolando completamente la cittadina ed impedendo la coltivazione del sorgo, principale risorsa locale. Chi ha potuto è andato via, quelli che sono rimasti si trovano ad affrontare oggi condizioni di vita davvero difficili. Siamo arrivati da Khartoum con due tonnellate di farmaci. Una parte di queste medicine saranno destinate all’ospedale centrale di El Fashir, un’altra parte sabato raggiungerà l’ospedale di Mellit.

Sappiamo per esperienza ormai che i farmaci da soli non bastano per curare in maniera appropriata un paziente. Abbiamo deciso quindi di acquistare in loco materassi e lenzuola per sostituire completamente quelli attualmente in uso e rendere più dignitosa e igienica la degenza. La donazione sarà integrata anche da riso, zucchero, latte e olio per far fronte alla diffusa malnutrizione infantile.

L’appuntamento con il direttore sanitario è per sabato mattina, quando dal magazzino dove sono stivati i nostri farmaci a Fashir consegneremo ufficialmente la donazione, consapevoli di non poter sopperire a tutte le necessità dell’ospedale, ma sicuri di aver contribuito a migliorare per qualche tempo le condizioni dei pazienti e dello staff di Mellit troppo a lungo dimenticati.

Rossella Miccio


La testimonianza è tratta dal sito di Emergency

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