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Un freno per la ripresa del Paese.
14.07.2004

Conti pubblici / La manovra correttiva
Un freno per la ripresa del Paese
di Beniamino Lapadula
La manovra correttiva decisa sabato scorso dal Governo se difficilmente salverà l'Italia dall'early warning (che è stato solo rinviato di qualche mese), sicuramente frenerà una ripresa che, per il nostro Paese, si presenta già debole e incerta. Il decreto di correzione dei conti pubblici, i cui contenuti erano stati illustrati all'Ecofin da Berlusconi, non presenta differenze sostanziali dal piano dei tagli messo a punto da Giulio Tremonti prima della sua defenestrazione. La scure della manovra da 7,5 miliardi si abbatte innanzitutto sugli incentivi alle imprese (colpite la 488 e tutte le altre leggi di agevolazione), inoltre vengono aumentate le imposte a banche, assicurazioni, fondazioni bancarie e tagliate le spese di ministeri, enti locali, Regioni. La spesa per consumi intermedi degli enti locali non potrà superare la media degli anni 2001-2003 ridotta del 10 per cento. Si tratta di un taglio di 1,4 miliardi di euro che riguarda programmi ed impegni già definiti. Con un atto di dubbia correttezza costituzionale viene così intaccata l'autonomia degli enti locali. In base alla manovra gli edifici che ospitano uffici della P.A. saranno ceduti ad un fondo immobiliare. D'ora in avanti lo Stato dovrà pagare gli affitti per rimborsare il ricavato delle cessioni. Si tratta dell'ennesima operazione di finanza creativa che si sostanzia, a tutti gli effetti, come un ulteriore forma di indebitamento.

Novità dell'ultima ora sono state l'aumento delle accise sui tabacchi e la proroga del condono edilizio fino al 10 dicembre per renderlo coerente con la recente sentenza della Corte Costituzionale. Le Regioni avranno 120 giorni di tempo per legiferare sugli abusi condonabili sul proprio territorio.

L'insieme delle misure contenute nel decreto legge vale 5,5 miliardi di euro. A questi si aggiungeranno altri 2 miliardi di risparmi che saranno realizzati con provvedimenti amministrativi.

L'incidenza più negativa sulla crescita l'avranno soprattutto il taglio dei consumi intermedi delle Pubbliche Amministrazioni, che si tradurranno in minori commesse per le imprese, e la fortissima "stretta" sugli incentivi. Nel corso di quest'anno, infatti, non potranno essere erogati più di 1,7 miliardi di euro. Poiché ne sono già stati spesi 1,2 per fronteggiare gli impegni già assunti dal ministro delle Attività Produttive, restano solo 500 milioni di euro che dovranno essere utilizzati, in via prioritaria, per cofinanziare i programmi europei. Il blocco della spesa riguarderà circa 20 mila programmi di investimento (contratti di programma, patti territoriali, leggi 488 e 64), l'80 per cento dei quali riguardano il Mezzogiorno, che pagherà così il prezzo più alto all'aggiustamento dei conti pubblici.

Da un punto di vista strettamente quantitativo, la manovra dovrebbe ridurre la crescita di poco più dello 0,1 per cento del PIL, ma gli effetti reali saranno ben più pesanti perché aumenterà la sfiducia delle imprese nei confronti dello Stato. Il dubbio, infatti, che non si tratti di un semplice slittamento dei pagamenti al prossimo anno è forte e non rassicurano le esperienze precedenti. Anche nel 2002 il Patto per l'Italia stabilì solo il blocco temporaneo dei crediti d'imposta per gli investimenti e l'occupazione, ma poi le regole del gioco furono cambiate, anche per le imprese che avevano già perfezionato il diritto ai benefici.

La manovra del Governo non colpisce, quindi, solo con i tagli ma, quello che è ancora più grave, alimenta la sfiducia degli operatori. Occorrerebbero invece misure per aiutare le nostre imprese a riconquistare competitività sui mercati internazionali, a ricollocarsi su un modello di specializzazione produttiva più avanzato, ma il Governo annaspa, sembra ormai privo di qualsiasi bussola, invece di creare un clima di fiducia, deprime le aspettative, mentre la favorevole congiuntura internazionale comincia già a mandare segnali di rallentamento. Corriamo così il rischio di non agganciare del tutto la ripresa. In questo contesto la ripetizione ossessiva del "mantra" del taglio delle imposte è destinato a produrre come unico effetto l'ulteriore declassamento del nostro debito pubblico. Le agenzie di rating si interrogano, infatti, su come Berlusconi intenda finanziare la riduzione fiscale e, non trovando risposta, ci ritengono sempre meno affidabili come Paese debitore. A questo proposito non c'è da rallegrarsi per il fatto che, al momento, solo Standard & Poor's abbia abbassato il rating. E' prassi consolidata che in un breve arco temporale anche le altre Agenzie si allineino nel giudizio. C'è da attendersi, dunque, che presto, anche Moody's & Fitch procedano ad analogo declassamento.

Del resto già prima che l'Italia subisse il primo declassamento di un Paese sovrano nella zona euro, i nostri Bot costavano 19 punti base più di quelli tedeschi, come quelli della Grecia, paese molto meno sviluppato del nostro. Con il declassamento subito la scorsa settimana nella graduatoria europea siamo ora penultimi: ci collochiamo prima della Grecia, ma dopo il Portogallo. Berlusconi si ripete: già nel 1994, gli interessi sui nostri BTP decennali, a causa della scarsa reputazione internazionale del suo Governo, "schizzarono" dall'8,69 per cento al 12,48 per cento. Se oggi i danni sono più contenuti lo dobbiamo soltanto al fatto che c'è la moneta unica, quell'euro così stoltamente vituperato dal Premier e dal suo geniale ex superministro dell'Economia.

Il downgrading deciso da Standard & Poor's è purtroppo destinato ad avere effetti negativi che non riguardano solo il debito statale, non solo sui titoli emessi da Regioni ed Enti locali, ma anche su imprese e famiglie. Come si è detto i guai non sono finiti: la verifica della maggioranza di governo è ancora in corso. Si preannuncia un quadro a dir poco incerto, che non potrà che preoccupare le agenzie di rating e i mercati finanziari. Dichiarazioni come quelle del ministro Alemanno, che parla esplicitamente di uno sfondamento del deficit al 4 per cento, non possono che aumentare le forti riserve che già esistono sulla capacità dell'Esecutivo di assicurare una copertura finanziaria sostenibile ai tagli fiscali che vengono ossessivamente proposti. Queste riserve rischiano di tradursi rapidamente in significativi aumenti degli interessi sul nostro debito a compensazione del maggior "rischio Italia". Se si tiene conto dell'enorme ammontare del nostro debito pubblico c'è da esserne terrorizzati, l'aumento dello 0,1 per cento dei tassi di interesse vale infatti 1,45 miliardi di euro, l'1 per cento 14,5 miliardi, il doppio della manovra correttiva decisa sabato scorso.


(12 luglio 2004)

fonte: www.rassegna.it

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