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Mio Dio ! Che cosa abbiamo fatto!
5.08.2004

ciao, vi giro questa lettera, che "Beati i costruttori di pace" tentera' di consegnare venerdi' mattina ai militari della Caserma Ederle di Vicenza. Vi chiedo di pubblicarla sul vostro giornale come contributo di approfondimento in vista del 6 agosto, anniversario dello sgancio della prima bomba atomica su Hiroshima. Vi ri-allego anche il comunicato dell'iniziativa che i Bcp organizzano a Vicenza e Padova dal 6 al 9 agosto. Resto a disposizione per ogni informazione.

mariagrazia bonollo
uff.stampa Bcp
348 2202662
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LETTERA APERTA AI MILITARI STATUNITENSI
DI STANZA NELLA CASERMA EDERLE DI VICENZA

6 agosto 2004


“Mio Dio! Che cosa abbiamo fatto!”
Colonnello Paul Tibbetts, USAF, pilota dell’Enola Gay
pochi secondi dopo aver sganciato la bomba su Hiroshima,
6 agosto 1945, ore 8.12.

Anche quest’anno, nell’anniversario dell’esplosione atomica su Hiroshima, vorremmo rivolgervi un saluto. Lo scorso anno ci è stato impedito di comunicare con voi: è come se fossimo noi i pericolosi. Sentiamo invece l’urgenza di condividere con voi le nostre ansie e le nostre speranze e ci ferisce essere, per questo, considerati una minaccia. Anche questo è il frutto della guerra.

In un anno sono successe molte cose. La devastazione della guerra e dell’occupazione è continuata. La situazione sul terreno in Iraq mostra ogni giorno che passa con maggiore chiarezza che violenze, massacri e distruzioni non aprono vie di pace, ma chiudono inesorabilmente tutte le porte alla convivenza, alla democrazia, alla riconciliazione. Sono ormai quasi 1000 i vostri commilitoni che hanno perso la vita in Iraq, mentre il popolo iracheno piange più di 13.000 morti. Dei soldati americani feriti, il 50% ha subito ferite così gravi che non potrà mai riprendere il servizio. E molti altri, pur non feriti nel corpo, sono stati rimpatriati perché non più in grado di reggere emotivamente le tensioni.

Negli Stati Uniti si è costituita da pochi giorni una nuova associazione, Iraq Veterans against the War (Reduci dell’Iraq contro la Guerra), che si va ad aggiungere a molti altri gruppi: Veterans for Peace, Vietnam Veterans against the War, Military Families Speak Out, ecc. Sono vostri compagni che hanno visto da vicino gli orrori della guerra e che ritengono loro dovere, anche patriottico, denunciare le responsabilità di chi li ha mandati a combattere una guerra ingiusta. Come le famiglie delle vittime degli attentati dell’11 settembre, anche i Reduci dell’Iraq contro la Guerra si pongono l’obbiettivo di dire “Non in nostro nome” e di ricostruire una moralità comune per il popolo statunitense che non sia più fondato sul disprezzo di altri popoli.

Del resto anche l’uomo che desidera diventare il vostro nuovo presidente, John Kerry, nell’aprile 1971, rendendo testimonianza a nome di oltre mille reduci dal Vietnam davanti alla Commissione Affari Esteri del Senato degli Stati Uniti, da ex combattente che aveva visto gli orrori, dichiarò: “Oggi ci impegniamo a portar a termine un’ultima missione: quella di snidare e sradicare anche l’ultimo rimasuglio di questa guerra barbara, per pacificare finalmente i nostri cuori, per sconfiggere l’odio e la paura che hanno governato questa nazione nell’ultimo decennio, di modo che quando, tra trent’anni, i nostri fratelli cammineranno per strada senza una gamba o senza un braccio, o con il volto devastato, e i bambini chiederanno perché, potremo rispondere loro ‘Vietnam’ senza che questa parola significhi un deserto, un ricordo osceno, ma significhi invece quel luogo dove l’America finalmente voltò pagina, cambiò strada, e dove i nostri soldati la aiutarono ad imboccare la nuova via.”

Dipende anche da voi, oggi, che il Senatore Kerry ritrovi il coraggio che ebbe nel denunciare il disastro della guerra del Vietnam.

L’anno scorso, nella lettera che i vostri superiori ci hanno impedito di consegnarvi, vi scrivevamo di sapere la differenza tra chi impartisce ordini da distanza e chi, come voi, affronta dal di dentro il macello della guerra. La disastrosa guerra del Vietnam finì anche perché i “soldati d’inverno” resero pubblica la loro angoscia. Grazie a loro, l’America voltò pagina e cambiò strada in Vietnam. Oggi questo compito tocca anche a voi.

Negli Stati Uniti si usa l’espressione “the poverty draft”, il servizio di leva per povertà. Vediamo che tra di voi sono prevalenti giovani di famiglie meno abbienti, alla ricerca di un futuro, oppure appartenenti a minoranze, o anche stranieri in cerca di cittadinanza o carte verdi per poter lavorare. Nessuno dei figli di coloro che con cinismo ordinano le guerre presta servizio accanto a voi. E, quando le atrocità più bieche, le violazioni più eclatanti come quelle di Abu Ghraib vengono alla luce, i signori che danno gli ordini vorrebbero discolparsi parlando di “mele marce”. Vorremmo che sapeste che noi non crediamo neanche a queste menzogne.

Alcuni di noi sono appena tornati da Baghdad, dove abbiamo visto come l’occupazione militare di quel Paese sia oggi la causa della mancanza di sicurezza e non la soluzione. Abbiamo visto iracheni terrorizzati dalle azioni improvvise dei militari USA in mezzo alla folla o al traffico; abbiamo ascoltato persone che hanno perso un familiare nelle famigerate “random shootings” (sparatorie senza obbiettivo specifico) dei vostri commilitoni; abbiamo visto i minacciosi cartelli (solo in inglese) che recitano “Deadly Force Authorized” (è autorizzato l’uso della forza letale). Ma abbiamo anche intravisto, dietro la apparentemente invincibile corazza che indossate, elmetti e giubbotti di Kevlar, la paura negli occhi, i gesti nervosi di chi sa di poter diventare un bersaglio da un momento all’altro.

Vogliamo ricordarvi le parole dei reduci statunitensi di altre guerre, prima di questa. “Se deciderete di combattere in Iraq, dovete rendervi conto che farete parte di un esercito occupante. Lo sapete che cosa si prova a guardare negli occhi gente che vi odia con tutto il cuore?” Ve lo ripetiamo, sebbene a Baghdad abbiamo potuto anche ascoltare alcune persone irachene che ci hanno detto di vedere nei soldati americani solo dei giovani, come i loro figli, coinvolti loro malgrado nella spirale di violenza crescente innescata dalla guerra e dall’occupazione. Sono persone che tengono aperta la porta della pace, della riconciliazione e del perdono.

Nell’anniversario di Hiroshima, vi rivolgiamo una richiesta. Accettate di incontrarci, di avere con noi uno scambio. Il futuro del mondo non sta nella guerra ma nella pace, nella giustizia, nel rispetto reciproco. La pace sarà il frutto di un lavoro comune, in cui servono l’impegno e la buona volontà di tutti. In altri tempi e altri luoghi sono stati proprio i soldati, ribellandosi ad ordini ingiusti, a dare l’avvio al cambiamento. Questa svolta è possibile, oggi. Facciamo un primo passo insieme.


“Beati i costruttori di pace”
presenti oggi, 6 agosto 2004, davanti alla Caserma Ederle
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