ROMA «Ormai in questo Paese dire immigrazione significa dire criminalità , terrorismo e quant’altro di peggio viene in mente. Non è serio: non si affrontano così problemi di tale complessità ». Non potrebbe essere più drastico il commento di monsignor Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana, alle parole del ministro per le Riforme, Roberto Calderoli, secondo il quale «il terrorismo islamico usa la porta aperta dell’immigrazione clandestina come canale di accesso». «Stabilire una equivalenza tra terrorismo e immigrazione -prosegue monsignor Nozza- non ha senso. Bisogna evitare le facili banalizzazioni, perché il problema dell’immigrazione ha un’infinita serie di risvolti. Bisogna considerare il fenomeno in modo più ampio, non secondo una sola prospettiva».
Ritiene che ci si stia muovendo in questa direzione?
«No. Da quando il tema è sempre più spesso oggetto di scontro politico, il clima nei confronti degli immigrati è peggiorato. Bisogna avere più attenzione nei confronti di queste persone, riconoscere i loro diritti. Il fenomeno va governato, non negato».
In che modo?
«Bisognerebbe anzitutto capire che ci troviamo di fronte a persone che fuggono da situazioni di povertà estrema e di grande conflittualità , persone che andrebbero innanzitutto riconosciute nella loro dignità di esseri umani».
E invece?
«Il trattamento riservato a chi arriva in modo irregolare è noto: centri di accoglienza e poi rimpatrio».
Come si può migliorare la situazione?
«Bisogna porre in essere tutta una serie di azioni, a partire dalla creazione di un progetto europeo sulla politica migratoria, fondato su condotte comuni, sulla condivisione delle responsabilità e su accordi tra Stati europei, Paesi di origine e Paesi di transito, così da contrastare efficacemente i mercanti di schiavi che lucrano in maniera indegna sulla sofferenza di questa gente».
E noi, come singolo Paese, cosa potremmo fare?
«Beh, anzitutto, potremmo rivedere la politica delle quote di ingresso. L’immigrazione legale è troppo risicata rispetto alla domanda di lavoro reale. Col sistema attuale, molta gente entra clandestinamente per poi andare a lavorare in nero. Anziché continuare con programmazioni a posteriori, bisognerebbe quantificare in modo realistico il fabbisogno di manodopera e aumentare le quote di ingresso legale».
Non sembra che sia questo l’orientamento del governo. Si parla di un ulteriore giro di vite nella politica repressiva.
«Si tratta di proposte insensate che confermano che il problema dell’Italia è quello di darsi non solo una normativa ma anche un costume di accoglienza. Dobbiamo prendere piena confidenza con il concetto di integrazione. Dobbiamo investire di più sul pieno inserimento dei circa due milioni e mezzo di immigrati presenti sul nostro territorio, così da creare una società più coesa e solidale».
Cos’altro potremmo fare?
Varare una legge sul diritto d’asilo. Una lacuna gravissima per l’Italia, che va colmata con norme che consentano a chi fugge da luoghi in cui esiste il fondato timore di perdere la vita o la libertà personale di vedere riconosciuti i propri diritti. Bisogna rendere più corretti i riscontri. Col sistema attuale, quando attracca una carretta dove tutti sono clandestini, diventa impossibile distinguere quelli che possono richiedere asilo e sono titolari di un vero e proprio diritto d’ingresso, dagli altri».
Monsignore, come si risolve il problema dell’immigrazione?
«Attraverso la cooperazione internazionale, creando opportunità di lavoro e condizioni di vita dignitose nei Paesi in cui il fenomeno ha origine. Purtroppo, su questo versante, si sta abbassando la guardia, riducendo le quote destinate alla cooperazione. Sono da poco tornato da un viaggio in diverse missioni africane. Le assicuro che basta poco per rendere dignitosa la vita di quelle popolazioni. Tragedie come quella di Siracusa devono farci riflettere di più sul legame che esiste tra migrazioni e ingiusta ripartizione delle risorse e opportunità ».
Tornando all’Italia, sa che l’onorevole Gustavo Selva, di An, propone di fare della clandestinità un reato?
«Che dire, è difficile correre dietro alle dichiarazioni di chi non considera in modo sensato il problema. Bisogna mettersi in testa che, senza politiche dell’immigrazione ampie, lungimiranti e graduali non si riuscirà mai a tirare fuori un ragno dal buco
Intervista a cura di Domenico Lusi
da www.unita.it