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Acli: non è ancora venuto il tempo di andare in pensione.
3.09.2004

Era il 26 Agosto di 60 anni fa. Nel salone dei domenicani nel convento di S. Maria Sopra Minerva nascevano le Acli. In quell’incontro dell’Agosto del ’44, quando ancora l’Italia era divisa in due dall’occupazione tedesca, si pongono le basi per la nascita delle Acli.

Achille Grandi, il fondatore, le aveva concepite insieme con l’idea dell’unità sindacale. Era stato lui infatti a firmare il patto di Roma, dal quale prese vita la Cgil unitaria. Era il 12 giugno del 1944 e Achille Grandi, a nome della Democrazia Cristiana, Giuseppe di Vittorio, per il partito comunista e Emilio Canevari, per il partito socialista ponevano le basi per un esperimento di sindacato unitario. Il protocollo del Patto di Roma conteneva altresì un allegato, voluto fortemente da Grandi, nel quale si affermava la possibilità che, oltre al sindacato, i lavoratori potessero organizzarsi "in associazioni libere e private per scopi educativi, politici, assistenziali e ricreativi, ed in altre opere di carattere cooperativo e professionale". In quelle poche righe dell’art. 5 dell’allegato al Patto di Roma c’era già il Dna delle Acli. Grandi, che era stato un leader carismatico del sindacato cristiano nel primo dopoguerra, aveva sostenuto con determinazione la via dell’unità sindacale e insieme aveva concepito le Acli. Conosceva i rischi a cui andava incontro. Per questo volle che la corrente sindacale cristiana avesse nelle Acli uno strumento formativo tale da costituire un argine all’egemonia comunista sui lavoratori. D’altro lato la nascita delle Acli rappresentava una premessa per l’autonomia dello stesso sindacato, considerato che sia il Pci che la Dc lo concepivano come semplice cinghia di trasmissione dei partiti.

Questa retrospettiva non ha un carattere meramente storico. Dice qualcosa del futuro delle Acli: ovvero che l’autonomia culturale e sociale è non solo elemento costitutivo fin dalle origini, ma forza decisiva per i nostri giorni. Specialmente in un tempo dove l’identità cristiana rischia di essere ridotta al foro privato della coscienza, di non essere più fermento per l’agire pubblico e dove l’autonomia sociale è ogni giorno rimessa in discussione da un bipolarismo politico che vorrebbe semplicemente arruolare le formazioni sociali, anziché riconoscerle e valorizzarle.

Se l’idea delle Acli nacque nella mente e nel cuore di Achille Grandi, il nome invece è un invenzione di Vittorino Veronese, Presidente dell’Icas (Istituto cattolico di attività sociali), anche lui presente all’incontro fondativo del 26 Agosto e componente della prima Commissione centrale provvisoria nominata proprio in quei giorni. L’acronimo – che rinvia ad Associazioni cristiane dei lavoratori italiani – contiene almeno due elementi fortemente innovativi ed originali.

Il primo, la "A", va letta al plurale e non al singolare come spesso avviene nella vulgata popolare. Perché quel plurale? Perché lo statuto prevedeva che, sotto la bandiera della medesima organizzazione, vi fosse una pluralità di forme associative: circoli, nuclei aziendali, società cooperative, sportive, teatrali, associazioni di categoria. Oggi le Acli sono ancora un universo plurale, come plurale è il mondo associativo e del Terzo Settore. E questa pluralità rappresenta un elemento distintivo, originale, non comprimibile che richiede però – come in parte è avvenuto in questi anni – una più chiara e consapevole identità culturale e lo sviluppo di forme di rappresentanza comuni come il Forum del Terzo Settore. È da notare che l’originale formula – un’unica bandiera ma forme associative plurali – ha segnato fortemente la storia delle Acli che ancora conservano una unitarietà che non si rintraccia in altre grandi organizzazioni – per esempio l’Arci – che hanno conosciuto processi di diversificazione non solo delle forme organizzative ma anche della loro identità.

Il secondo elemento originale è la "C" da leggere non come "cattoliche" ma "cristiane". Per quegli anni era una scelta anomala che rinviava alle esperienze di Paesi quali la Germania e il Belgio dove le associazioni operaie si chiamavano già "cristiane" e non "cattoliche", perché quelle società erano pluriconfessionali. Tale scelta venne approvata da Pio XII, che essendo stato Nunzio Apostolico della Santa Sede in Germania, comprendeva la necessità di un’identità capace di unire e non di dividere.

La terza lettera, la "L", è forse la più tradizionale. Anche se la tutela e la promozione delle persone che lavorano, si presentano oggi con caratteri del tutto inediti e obbligano a concentrare l’attenzione su quell’universo sempre più esteso di lavoratori atipici evitando che la flessibilità diventi precarietà. Ma la "L" contiene una sfida ancora più radicale: come riuscire ad organizzare la solidarietà di fronte a lavoratori e lavoratrici che vivono condizioni di lavoro ed esprimono attese molto più diversificate, spesso individualizzate.

Infine la "I" di italiani. Oggi questa "I" potrebbe anche essere letta come "internazionali" in quanto le Acli sono presenti in quasi 40 Paesi, sia perché hanno accompagnato i tanti nostri connazionali che sono emigrati in cerca di lavoro, sia perché – più recentemente – hanno sentito l’urgenza di una presenza laddove povertà e conflitti sono fonte di morte e di disperazione.

Questo allargamento dell’azione sociale delle Acli si presenta come il compito urgente per gli anni a venire. Come originale modalità per reinterpretare il carisma delle origini alla luce dei principi di interdipendenza e di fraternità. Insomma anche se le Acli stanno per compiere 60 anni, non è ancora venuto il tempo di andare in pensione.

Luigi Bobba, Presidente nazionale delle ACLI

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