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Il punto di vista di una giovane audiolesa.
13.09.2004

IL PUNTO DI VISTA DI UNA GIOVANE DONNA AUDIOLESA.
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Innanzitutto mi presento: mi chiamo Monica Verlato e sono sorda profonda dalla nascita, felicemente integrata col metodo oralista.
Per questa mia particolarità racconto, scrivo e pubblico le mie esperienze di vita nella scuola, all' Università e nel lavoro.
Avrei pertanto il piacere di inviarle due miei articoli in allegato se li ritiene interessanti e coerenti alla linea politica del WELFARE ITALIA NEWS.

Il primo articolo è dedicato alle mie esperienze lavorative di audiolesa. Un percorso lungo, travagliato, con alti e bassi, non ancora stabilizzato.

Il secondo invece è relativo a vari aspetti della vita vissuti ogni giorno, con suggerimenti e proposte risolutive a vari tipi di problemi.
Monica Verlato
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Welfare Italia News ringrazia Monica dei suoi articoli e volentieri nè pubblicherà ancora.
Gian Carlo Storti,direttore responsabile
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Monica col laccio ad induzione magnetica

“…..vedevo mani che disegnavano nell’aria cose strane….
E non capivo cosa fosse…...”

“ IL PUNTO DI VISTA DI UNA GIOVANE DONNA AUDIOLESA”

MONICA VERLATO


Quando è stato pubblicato il primo articolo su “Roma da Vivere” il mese scorso, Gabriele, il direttore del magazine on line, mi ha onorata invitandomi a scrivere un altro pezzo, che continua in senso ideale un certo mio discorso affrontato il 25 giugno.
Accetto quindi con vivo piacere di contribuire anche stavolta, col mio solito verve logorroico, scusandomi fin da ora col lettore spazientito dalla lunghezza della mia scrittura. Non ho, forse, il dono della brevità e della sintesi, ma presumo di avere la capacità di comunicare agli altri alcuni aspetti del “mio mondo”.
Mi è stato proposto da più parti di riportare qui la mia esperienza scolastica come studentessa sorda.
In questa panoramica della mia vicenda nella scuola devo fare un richiamo alle mie origini, perché sono una chiave di lettura determinante ed emblematica. E’ importante, infatti, sottolineare che ho quasi 38 anni e provengo da un ambiente familiare di cultura normale, un padre ex imprenditore agricolo e una mamma casalinga, ora pensionati. In questo ambiente la cultura, e quindi tutta la ricchezza di stimoli intellettuali che essa sa suscitare, è stata un elemento estraneo ed al di fuori della nostra vita e della quotidianità, fino all’ ingresso all’ Università.
Alla luce di queste precise puntualizzazioni, posso quindi dire che come tanti altri audiolesi appartengo ad una delle prime generazioni di sordi oralisti, se non in Italia, almeno nella mia città, Ferrara.
Ripeto, la mia età anagrafica, ma non solo questo, è un dato illuminante che fa intuire tra le righe quanta strada abbiamo dovuto fare, quante battaglie abbiamo dovuto affrontare, e molto spesso inascoltati come “vox clamans in deserto”.
La mia vita, come ieri ed anche oggi, è un vero percorso ad ostacoli.
Ogni difficoltà incontrata un vero handicap. Ma il più grosso handicap è quello “mentale”. Ci si scontra con persone limitate dal punto di vista dell’intelligenza e del senso comune, che non sanno ascoltare i nostri problemi, non sanno scendere nel vivo del nostro mondo e capire fino in fondo la gravità della sordità.
Per riuscire ad arrivare ai risultati attuali a livello di riabilitazione del linguaggio e di integrazione lavorativa e scolastica nella società di tutti, ho dovuto sempre tenere duro, mantenere la curiosità viva, dare i “calci in culo “ (scusatemi l’espressione ma rende bene l’idea) a una sotterranea pseudo-depressione ed alla totale indifferenza alla vita e dagli altri.
Se ripenso alla mia vita all’indietro la vedo come una scala a pioli, in senso ascendente. E mi rivedo bambina alle prese con le prime “scatolette” di protesi acustiche, con fili ingombranti che si intrufolavano nel mio grembiulino rosa con tanto di numero 38 o 72 (all’ Istituto Gualandi dei sordomuti di Bologna, tra il ‘70 e il ‘71 il nostro corredo si distingueva da quello degli altri per il numero. Manco a farlo apposta, come appunto nei ghetti dei ricoveri psichiatrici, vedi Legge Basaglia)
In questo lontano contesto si colloca la mia avventura di sorda tra i sordi.
Di quegli anni bui, rievoco immagini flash che resteranno incisi a sangue nelle piaghe della mia corteccia cerebrale per sempre. Non ci sono parole adatte a descrivere le sensazioni di abbandono, di solitudine e di isolamento forzato o meno, ma sono sempre comunque sensazioni spiacevoli, dolorose, negative e traumatizzanti anche oggi che ne parlo in età adulta con spirito critico. Chiudo questa parentesi e ritorno al discorso iniziale.
A partire dagli anni ’70, mentre appunto frequentavo il Collegio dei Sordomuti al Gualandi di Bologna, si sperimentavano i primi casi di applicazione delle protesi acustiche. Inoltre si stavano mettendo in atto nuove tecniche riabilitative per il recupero del linguaggio in bambini sordi dalla nascita. E nell’ ottica di questa riabilitazione, si stavano scontrando due correnti di pensiero sulle ultime teorie di logopedia. Non c’era pertanto un preciso riferimento coerente e ben chiaro a cui rifarsi come modello per recuperare la voce del bambino sordo e con difficoltà di linguaggio e o di comunicazione.
Quindi, dagli anni 70 in poi, nascevano le prime “scuole speciali”, che iscrivevano solo ed esclusivamente alunni sordi di tutte le età, come le scuole elementari “Guarini” di via Bellaria a Ferrara, dove venni inserita in una sessione speciale nel 73, previo test di quoziente intellettivo per l’ammissione. Specifico che in quell’occasione mi fu fatto il test riservato ai bambini normoudenti, perché non avevano a portata di mano quello specifico per i portatori di handicap. Ne risultò che avevo oltrepassato i limiti consentiti dalla media. E questo dato mi ha sempre confortata in senso psicologico proprio nei momenti di maggiore sconforto e di delusione vissuti nel corso della mia vita.
Anche la scuola comune pubblica (la scuola aperta a tutti) non era ancora preparata, come oggi grazie ai corsi di specializzazioni per gli insegnanti di sostegno, ad accogliere un bambino sordo o comunque un alunno con handicap.
Ed è appunto in questo lontano contesto, dai contorni incerti e di grande confusione in merito alla scelta del metodo educativo migliore, che si colloca la mia vicenda biografica e scolastica, nell’ottica di un recupero verso l’oralismo e l’apprendimento del linguaggio vocale.
Cari lettori, voi provate a capire o lontanamente ad immaginare quali e quante difficoltà si trova a dover vivere da un giorno all’altro una famiglia con una bambina che non sente. Oltretutto io ero reduce dall’esperienza del collegio Gualandi, e per automatismo mi trascinavo i residui della comunicazione gestuale. I genitori non sapevano quindi come fare per gestire al meglio la mia “stranezza” di piccola che giocava a gesti con le mani, ma allo stesso tempo emetteva “voci e suoni diversi”, in un linguaggio tutto suo. Un caso anomalo ed ambiguamente sconcertante.
in quegli anni i miei genitori erano veramente da soli in ogni senso. Comunque eravamo stati dirottati al Gualandi di Bologna dalla locale sezione ENS di Ferrara, che ha avuto il merito, dico appunto merito, di farmi applicare le prime protesi acustiche.

Non conoscevamo altre realtà di associazioni di sordi a parte l’ENS di Fe.
Rispetto all’ENS, dove mi avevano associata bambina, la Fiadda, associazione di genitori di figli audiolesi, è piombata nella mia vita adulta, ormai già laureanda, nel 1995 a Genova, con un convegno “Per cambiare, c’è qualcuno in ascolto?”
Nel giro di poche ore, la Fiadda mi ha catapultata in un altro mondo, portandomi su una strada nuova, promettente, ricca di belle speranze ma anche di illusioni ed aspettative, non sempre attese, se devo essere sincera.
Anche la Fiadda ha contribuito, seppure in modo diverso, a farmi conoscere il senso della “possibile normalità” come sorda tra gli udenti e gli altri audiolesi come me. Ringrazio pubblicamente Silvana Baroni, la presidente della Fiadda di Genova.
Solo ascoltandola, (ndr. attraverso la stenotipia e la sottotitolazione in diretta) nei suoi interventi a convegni, con la sua grinta di carattere e la sua forte personalità è riuscita a farmi superare in senso psicologico il senso della mia inadeguatezza come persona.
E quindi a farmi vincere le sensazioni negative dell’ ”unicità” e della “diversità”.
Da quel convegno, come da altri organizzati dalla Fiadda in varie città italiane, nel tempo ed a goccia a goccia, ho trasformato tutte le mie sensazioni negative e i miei sterili autoconvincimenti in un rinnovato atteggiamento positivo.
Infatti non mi vergogno a dire di essere arrivata a 38 anni a propormi in maniera serena e rilassata agli altri. Mi ritrovo a sorprendermi per una nuova capacità, ossia in forma autoironica mi diverto a prendere in giro le “mie chiocciole” e la sordità stessa, prima un P-R-O-B-L-E-M-A nella mia vita e nella mia famiglia, ora è solo una mia caratteristica di individuo. E piano piano delineo la mia identità individuale, un’identità che credevo di avere perso o perlomeno confuso. Mi sono spesso chiesta a quale mondo io appartenessi. Un giorno mi rispondevo: sono sorda ma vivo tra gli udenti. Un altro giorno mi dicevo: sono udente in mezzo ai sordi, nel senso che mi ritrovavo a fianco di persone che sentono ma non capiscono i miei limiti e non si mettono nei miei panni….


Alla luce di tutti questi elementi, si evince che il mio percorso scolastico-universitario e di avviamento al lavoro sia stato lungo e sofferto ma sempre e comunque brillante negli esiti.

Sono “venuta su” (voglio salvare questa mia tipica espressione) in mancanza di qualsiasi supporto, come il tutor universitario previsto da pochi anni da una legge quadro in favore dell’handicap, la 104/92 e l’insegnante di sostegno nelle scuole, e in assenza di procedure educative standard (come il P.D.F. profilo dinamico funzionale e / o il piano individualizzato), come attualmente sono previsti dalla attuale programmazione didattico-scolastica.
Grazie ad una precoce ma intensa rieducazione della logopedista presso le scuole pre-scolastiche di Ferrara, in sessioni speciali per i sordi, ho imparato a parlare senza ritardi di apprendimento o ricadute su problemi psicologici. Da qui inizia il mio cammino verso l’oralismo.
Seppure sia vissuta nella primissima infanzia tra i sordomuti di Bologna, non conosco la LIS (Lingua Italiana dei Segni ). Di quel periodo, oggi restano i ricordi e la gestualità quando mi esprimo a voce. Con sguardo retrospettivo mi rivedo piccola e cosa ricordo?

” …..vedevo mani che disegnavano nell’aria cose strane…. E non capivo cosa fosse…..pensavo a un gioco e io, per paura di non essere isolata o derisa, cominciai a segnare…..mamma, come mi vedeva “segnare”…. non mi riconosceva più…. Non ero più la sua piccola bambina che le diceva a modo suo mamma ti voglio bene…in una voce ancora in via di definizione…”.

Ho giocato nell’infanzia solo con bambini udenti all’asilo e tra i miei numerosi cuginetti. Fino ai 30 anni ho vissuto e comunicato solo con persone normoudenti sempre più grandi della mia età.
Dal 1995 in poi, data fondamentale per la mia rinascita, ho conosciuto sia persone audiolese che sordomute con cui ho relazionato a voce, senza usare la Lis, e grazie alle potenzialità espressive offerte da Internet, via sms dai cellulari, e con fax. Tra poco adopererò anche il DTS (dispositivo telefonico sordi) perché ora vivo da sola e in completa autonomia sia a livello pratico che di comunicazione quanto al discorso “delle barriere di comunicazione”, meno visibili di quelle architettoniche ma non meno penalizzanti, anzi se non di più perché nel mio caso non si nota o perlomeno difficilmente si percepisce qualcosa della mia condizione di audiolesa in quanto sorprendo molte persone per il mio linguaggio e la buona dialettica, a dispetto della non indifferente perdita uditiva di oggi.
Ad eccezione di un periodo iniziale relativo alla scuola speciale e alle prime classi prescolastiche coi sordi a Ferrara, ho frequentato nel mio ex - comune di Voghiera solo scuole pubbliche di tipo comune dalle elementari alle medie fino all’istituto magistrale privato dalle suore e poi mi sono laureata a pieni voti in Materie Letterarie presso l’Università di Ferrara.
Il mio percorso scolastico è stato positivo: non sono mai stata rimandata a settembre
All’università, invece, l’iter è stato più faticoso, più lungo nei tempi ma comunque sempre brillante dall’inizio alla fine. Considerando il periodo storico della scuola tra gli anni 70 e 90, per tutta la durata della mia carriera scolastica – università compresa – non ho mai beneficiato di programmi individualizzati, né dell’ insegnante di sostegno, né del tutoraggio universitario, a parte un supporto esterno a pagamento e a totale carico della mia famiglia, come del resto tutte le tasse universitarie dal primo anno all’ultimo, nonostante avessi conseguito la maturità magistrale con il voto meritevole di 54/60.
Mentre frequentavo l’Università, seguivo un corso di informatica indirizzato solo ad allievi non udenti, all’interno del quale ho seguito una didattica personalizzata e a misura di noi audiolesi con il supporto di una lavagna luminosa, di lucidi schematizzati e personale preparato alle nostre esigenze di apprendimento. Magari avessi fatto l’ Università in questo modo! Mi sarei laureata in modo più sereno, rilassato, con minore fatica e nei tempi previsti dalla laurea breve.
Appena laureata, e alle prese con la disoccupazione, ho iniziato a lavorare come operaia nei turni serali in un centro commerciale. Frequentavo mattina e pomeriggio un corso di imprenditorialità femminile dell’Unione Europea, riservato a 20 donne udenti.
Il nostro obiettivo era quello di crearci un’opportunità lavorativa mettendo su un’impresa in ambito turistico. Un progetto ambizioso ed importante, in cui ampiamente avevo creduto fino in fondo e nel quale avevo riposto tutte le mie speranze di una realizzazione professionale.
Infatti contavo, attraverso un lavoro legato al turismo e alle potenzialità del WEB, di riuscire a farcela.
Le mie motivazioni erano cosi profonde e la convinzione nella riuscita finale era altrettanto grande, al punto tale da arrivare ad autolicenziarmi alle Mura - Pianeta Conad di Ferrara per poter appunto frequentare al meglio delle mie energie psico-fisiche il corso, dato che ci erano state richieste conoscenze informatiche di alto livello nonché competenze turistiche avanzate.
L’unico ausilio che ho adoperato in questo corso, e richiesto ed ottenuto solo di mia iniziativa personale, è stato un “campo magnetico”, sistema a radiofrequenza adatto solo ai protesizzati con residuo uditivo, per poter seguire al meglio delle mie possibilità uditive le lezioni frontali degli insegnanti in aula, come possiamo vedere nella mia foto in allegato.

Ho ricevuto uno spirito di accoglienza buono nelle scuole, e grazie a questa predisposizione naturale ai rapporti umani ho intrapreso un iter scolastico, e in generale di vita, brillante, soprattutto grazie alla rieducazione con il metodo oralista, grazie all’aiuto familiare, grazie al sostegno delle compagne, di amici e (talvolta anche a pagamento) da aiuto esterno alla scuola.
Oggi le politiche sociali dell’handicap hanno compiuto passi da gigante ma 30-40 anni fa non era affatto così. Posso solo dire che la mia esperienza di vita è un passato vissuto con spirito pionieristico, in posizione di retroguardia, all’ombra e con dedizione totale ai miei studi, a volte con tanta rabbia repressa per l’impotenza delle situazioni di cui sono stata protagonista e o testimone, sulla mia pelle.
In più di un’occasione, insieme ad un’altra mia amica sorda, abbiamo vissuto in comune situazioni di disagio e di difficoltà. Come lei, sono stata una delle prime sorde oraliste presenti a Ferrara e in provincia, ed inconsapevolmente abbiamo finito per fare da “battistrada”, in un territorio sconosciuto agli altri, per i giovanissimi sordi venuti dopo di noi.
Per raggiungere livelli di qualità di vita così elevati, come appunto i miei, dal punto di vista dell’integrazione sociale, scolastica e lavorativa mi sono state sempre necessarie volontà di ferro, forza d’animo e molta determinazione, rincarata dalla decisione di carattere e dall’ottimismo.

Devo dire grazie a me stessa, perchè non avrei, tanto per citare un episodio autobiografico, potuto ottenere la patente guida davanti a commissari militari resi ottusi da eccessiva burocratizzazione delle normative in presenza di minorazione plurima come è appunto il mio caso.
O per esempio, come dimostrai in occasione della proposta di collaborare con editori di Milano, di fare una prova di lavoro di 3 giorni in questa redazione multimediale. Dalla telefonata del primo contatto del pomeriggio precedente al mattino dopo mi trovavo già a Milano con la valigia e tante belle speranze…
Ho iniziato la mia gavetta lavorando qua e là, come supplente di scuola elementare appena fresca di laurea nel dicembre 96. Sarò sempre grata ai miei genitori e alla mia logopedista, la Sig.ra Servino, per la loro scelta educativa in favore dell’oralismo. Uno di questi motivi è ovviamente il fatto che non avrei mai potuto insegnare ad allievi udenti se non mi avessero prima insegnato a parlare. Ho anche lavorato nelle scuole materne ma finora non ho avuto la fortuna di fare esperienza presso gli istituti superiori dove mi piacerebbe molto riuscire a canalizzarmi come docente non abilitata ma in qualità di insegnante di sostegno per i sordi, Riforma Moratti permettendo ed ulteriori sviluppi.




La scuola con la riforma Moratti, infatti, sta rivoluzionando l’intero sistema scolastico e gli inevitabili cambiamenti, non privi di difficoltà, stanno interessando tutti quanti, normoudenti e disabili.
Da diverso tempo in Italia si sente parlare del collocamento mirato previsto dalla legge n.
68/99, legge che dovrebbe favorire in pratica l’ integrazione lavorativa dei disabili. Nel mio specifico caso la normativa in oggetto viene applicata parzialmente nel senso che il posto mi viene dato nel rispetto delle quote previste dalla legge riservate ai disabili, ma ciò era previsto anche
dalla precedente legge sul collocamento obbligatorio, la legge n. 482/68. E per me tutto inizia e tutto finisce lì. E non c’è nient’altro.
Dunque allo stato odierno mi trovo a lavorare al di fuori del mondo della scuola come impiegata part time in una ditta del settore escavazioni di materiali inerti con mansioni di segreteria con contratto di 20 ore settimanali. Quindi per il Ministero del Lavoro risulto ancora disoccupata e pertanto ancora iscritta nelle liste di collocamento perché il mio contratto non supera le ordinarie 24 ore lavorative.
Nello staff di questa azienda non vengono prese in considerazioni le mie precedenti esperienze lavorative come redattrice freelance multimediale a Milano e tantomeno le competenze acquisite a Bologna come Internet Navigator nel settore Internazionalizzazioni presso lo staff COIMPRESA, staff di consulenza direzionale e gestionale della C.N.A. Confederazione Nazionale dell’Artigianato.
All’interno degli uffici dove oggi lavoro devo impiegare un’attenzione all’ascolto e un livello di vigilanza costantemente molto alti. Per la più gran parte il mio inserimento nel mondo del lavoro si realizza soprattutto attraverso il mio adattamento e i miei continui sforzi di miglioramento professionale e di crescita delle abilità e competenze.
In generale ho instaurato rapporti di lavoro sereni a volte anche difficili ma comunque improntati da stima nei miei confronti sia con i colleghi, che con gli alunni e i loro genitori come supplente. Non sono mancate e tuttora non mancano occasioni di disponibilità da parte dei colleghi, anche se in passato si sono verificate situazioni poco piacevoli che hanno portato a fraintendimenti o all’indifferenza totale nei miei confronti, specie di persone poco sensibili e di scarsa umanità.
La mia esperienza di vita è costantemente illuminata da un pensiero mio e che mi ripeto ogni giorno per sempre: “Insegna agli altri ad aiutarti! Spiega a chi non sa come fare per venirti incontro”, così quando serve e al momento opportuno spessissimo sono io quella che suggerisce soluzioni e strategie per ridurre al minimo i disagi sia per me che per i miei colleghi. E’ quella che io chiamo “il kit di best pratice”, una sorta di vademecum e che nella maggior parte dei casi comporta sforzi maggiori per me rispetto agli altri.
Mi trovo infatti a lavorare in un contesto aziendale in cui non vengono realizzati adeguamenti procedurali e strutturali; in cui il mio ruolo e le mie mansioni non vengono modificate in relazione alla mia sordità. Riesco a cavarmela ugualmente anche se talvolta a un prezzo un po’ caro in termini di impegno, energie, attenzione, fatica e tensione. All’ inizio e i primi tempi è stato faticoso! Ora però grazie all’esperienza maturata, ai riscontri positivi ricevuti ho acquisito maggiore sicurezza e fiducia in me stessa. E oggi mi guardano con maggiore considerazione, vedendo che rendo e produco alla pari degli altri, se non di più. Ma non sta a me dirlo. Ad alcuni di voi sarà anche venuto giustamente il dubbio sul perché continuare ad insistere in questa azienda dove non mi sento realizzata e non cercare un altro lavoro vista la laurea in Lettere e le varie qualifiche conseguite nel settore informatico
Sono in questa situazione un po’ per abitudine un po’ per forza … è un po’ un paradosso.
Grazie alla mia laurea ho sostenuto alcuni colloqui presso aziende di Ferrara e Bologna di vario tipo per mansioni d’ ufficio. Colloqui che sono sempre andati molto bene ma che di fatto non hanno mai portato all’assunzione definitiva per la mia timidezza di carattere a rapportarmi con l’esterno, un po’ per la mia leggera difficoltà a comunicare telefonicamente. Nonostante io mi sia dichiarata disponibile ad essere assunta anche con mansioni di livello inferiore, la mia laurea in lettere porta a profili professionali di alto livello per i quali è necessario l’uso del telefono e mi pare che il problema sia dovuto al fatto che o non c’è posto nell’azienda o l’azienda stessa abbia timore ad assumermi sottodimensionata.
Così mi trovo a fare l’impiegata a livello semplice, un lavoro incentrato tutto su una serie di mansioni di ordinaria amministrazione e di routine. Ma mi chiedo continuamente quando mai potrò lavorare in un ambito dove tutto si basi sulla comunicazione, che appunto è il sogno della mia vita!! Oggi grazie a Internet, alle e-mails, ai fax, sms e ai sottotitoli tutto sarebbe a portata di mano, basterebbe solo far manovrare in modo calibrato e giusto le pedine, cioè far convergere nel momento giusto le persone giuste e far succedere qualcosa…..Ripeto, il mio attuale lavoro è un lavoro che riesco comunque a svolgere bene, non senza impegno, grazie alla mia forza d’animo, alla mia forza di volontà e alla mia tenacia.

Per quanto riguarda gli strumenti e le possibilità offerte dalla legge 68/99 gli unici ausili a mia disposizione sono le protesi acustiche personali e il campo magnetico in casa per poter seguire la televisione. Ma avrei necessità di altri tipi di ausili per poter fruire di una comunicazione totale e a 360 gradi, indispensabile, ineliminabile e non sempre ovviabile con le attuali soluzioni offerte ad esempio dalla posta elettronica e da Internet. Genitori e amici comunicano con me sotto forma di sms dai cellulari e ora sono letteralmente affascinata dalla novità del videotelefono Telecom con lo display sul telefono di casa, che sarebbe la soluzione finale a tutti i problemi di comunicazione telefonica per noi sordi.
L’attuale ambiente di lavoro non è ancora adattato alle mie esigenze di ipoacusica, infatti la mia postazione telematica con il pc è posizionata in maniera infelice perché ho i colleghi udenti in controluce e molto distanti rispetto a me, quindi mi ostacolano non solo la lettura labiale ma mi complicano la comunicazione diretta. E quindi la relazione interpersonale diventa più problematica per me che per gli altri, e nonostante i tentativi di farlo notare al capo personale dell’azienda, tutto è rimasto invariato con la motivazione di una giustificazione dettata da ragioni di logistica. Ma mi chiedo dove le mettono le mie esigenze come sorda? Tacere è davvero la migliore arma per non avere grane sul lavoro coi colleghi? O forse non sarebbe meglio parlarne tutti insieme e in modo costruttivo per la ricerca di una soluzione ottimale non solo per me ma a vantaggio di tutti? Quale è la migliore strategia di comunicazione aziendale nel mio caso?
Sarebbe molto utile, secondo me, una semplice manovra di cambio di postazione e ciò andrebbe a vantaggio anche delle persone udenti. Ci sarebbe la possibilità, oltretutto nuova, grazie a Telecom di installare il videotelefono ma siamo solo agli inizi di una nuova era della comunicazione audiovisiva. La lettura labiale sullo schermo del videotelefono mi aiuterebbe a comunicare di più e quindi ad avere maggiori spazi di autonomia nelle relazioni con il pubblico, in questo caso i fornitori e i clienti della mia ditta.
Avrei bisogno di segnali visivi lampeggianti quando arriva la chiamata dal citofono di casa mia (vivo da sola) in modo che possa all’ occorrenza aprire la porta o per avvisarmi dell’arrivo di una chiamata telefonica mentre sono impegnata ad ascoltare la TV in campo magnetico.
Assai comoda sarebbe la dotazione degli ambienti di lavoro con segnalatori luminosi per le situazioni di emergenza come un incendio. Proporrei un servizio di pronto emergenza via sms da ENEL spa a tutti i nostri cellulari di sordi in caso di blak-out. Inoltre chiederei a FERROVIE dello STATO SPA di attivare un servizio sms via cellulare per comunicare ai sordi cambi di binario dei treni e o eventuali ritardi di orari.
Sarebbe davvero molto utile potenziare la sottotitolazione di materiale come videocassette, audiovisivi, proiezioni multimediali e cinematografiche, conferenze, convegni, cineforum, dibattiti. Esistono sul mercato sistemi di amplificazione acustica supplementari che migliorano la percezione delle voci e dei dialoghi, in modo da favorire una comprensione più agevole e meno faticosa delle riunioni tra colleghi, o un film molto ricco di conversazioni al cinema. Io sono una di quelle sorde con un buon residuo uditivo ben sfruttato, ben allenato e quindi sono una fruitrice accanita del “campo magnetico”, ben tollerato da chi, come me, riesce a sentire bene con protesi acustiche dotate di bobina magnetica T. E lo integro con i sottotitoli di Televideo su RAI e Mediaset.
Sono stati davvero di grandissimo aiuto ed indispensabili l’ottima riabilitazione oralista ricevuta da piccola e l’allenamento acustico fatto su di me da Bruna Servino. Infatti, nonostante la notevole perdita uditiva, che sfugge a molte persone, e appare altresì improbabile per la scioltezza di lingua attribuitomi e la padronanza delle competenze linguistico-lessicali, mi è stata data la possibilità di vivere e provare un inserimento lavorativo ritenuto anni fa - e forse nemmeno allora - pura fantascienza!
Per raccontarvi di me come audiolesa ho dovuto vincere un certo pudore, una certa ritrosia e un certo timore. La paura è quella di suscitare oltre a una legittima curiosità, anche una sorta
di interesse eccessivo. Ciò mi porta a cercare prima di dimostrare agli altri le mie capacità, poi in un secondo momento, a far conoscere la mia sordità, per il timore che la conoscenza a priori della mia condizione di disabilità mi discrimini negativamente.
Mi sono resa conto inoltre, confrontandomi con altri giovani sordi oralisti, come me primi sordi
oralisti in Italia, che per molti di noi si è verificato il passaggio dal desiderio di trovare un lavoro
autonomamente, al ripiego sulla legge sul collocamento prima chiamato obbligatorio poi
mirato, ad una successiva grande delusione per gli ostacoli e le difficoltà intrinseche riscontrati nell’applicazione della legge stessa.
Occorre pertanto battere il chiodo finchè è caldo, cercare di risvegliare gli Uffici Provinciali dello Inserimento Lavorativo Disabili e sollecitare con viva forza sia aziende che enti pubblici a comunicarci le loro reali disponibilità di personale dalle categorie protette dei disabili, ed effettuare controlli a tappeto sulla effettiva applicazione della legge stessa.
C’è ancora molta strada da fare in questo senso, ma sono certa che un’incisiva sinergia di azioni comuni e ben coordinate e ben integrate tra Provincia, Ministero del Lavoro, Aziende ASL e Associazioni di disabili possa riuscire a centrare l’obiettivo che tutti ci auspichiamo: un corretto e felice inserimento lavorativo degli audiolesi e dei disabili in generale secondo la nostra tipologia di studi e di qualifiche professionali, per una piena integrazione lavorativa che possa essere la più ampia possibile in termini di opportunità di scelta professionale e delle mansioni correlate.
Grazie ai fondi stanziati per la campagna di sensibilizzazione a Telethon, dobbiamo perseverare nella ricerca e nell’approfondimento di metodi riabilitativi sempre più efficaci per l’ apprendimento della lingua orale, che è oggi indispensabile perché viviamo in un mondo dove tutti parlano a voce e la voce è comunicazione, è espressione, è accettazione o rifiuto, ma è sempre comunicazione, la voce, infatti, è segno distintivo di vita pensante, dell’ uomo che pensa, che ragiona, che vive.
Per la fruizione di questi strumenti tecnologici occorre ancora oggi un lunghissimo e lento percorso di maggiore informazione, di conoscenza delle difficoltà provocate dalla sordità, comprese appunto le barriere psicologiche, che sono appunto le più difficili da combattere e da rimuovere. E qui apro ma chiudo subito una parentesi su un tema di grande delicatezza, appunto qui entrano in gioco le cosiddette barriere psicologiche, che sfuggono alla nostra razionalità e al nostro controllo.
Mi ci sono voluti anni ed anni, una vita intera forse, e ancora oggi mi ritrovo a convivere in vario modo con persone a cui devo ancora spiegare, con la dimostrazione di quello che finora sono riuscita a fare su di me stessa, che la sordità non implica incapacità intellettuale, né tanto meno ritardo mentale e difficoltà di gestione di se stessi e della propria vita.

Non nascondo però che nel mio percorso di vita vi sono stati momenti toccanti di forte maturazione interiore negli altri attraverso il racconto delle mie esperienze di vita come audiolesa. E ne ho la riprova diretta dalle persone stesse che mi ringraziano di vero cuore per essere venuti a contatto con il mio mondo, la parte più nascosta di me stessa, un patrimonio sotteraneo di emozioni, di sensazioni, di conoscenze, di esperienze che, secondo me, si devono vivere nella condivisione della sofferenza per poi ritornare sotto forma di dono agli altri della parte migliore di ciascuno di noi.

Monica Verlato, 25 luglio 2004
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Le mie esperienze lavorative di audiolesa

Monica Verlato

Salve, entro in punta di piedi in questo luogo virtuale nella rete su invito di un amico giornalista, che molto gentilmente mi ha incitata ad uscire allo scoperto, a vincere la mia proverbiale timidezza rivelando agli altri la mia piccola testimonianza in qualità di sorda oralista.
Mi chiamo Monica Verlato, ho quasi 38 anni e provengo da Ferrara, dove vivo e lavoro. Rappresento il Gruppo Giovani della Fiadda (associazione Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi) di Bologna. La Fiadda ha la sede nazionale a Genova ed è guidata dalla Presidente Silvana Baroni che opera sia a livello nazionale sul territorio italiano attraverso le singole sezioni che in ambito comunitario come Presidente Europeo della FEPEDA (Federazione Europea dei genitori di bambini sordi).
A Ferrara dove tuttora vivo, non c’è al momento una sezione Fiadda ed appunto per questo motivo tra i miei futuri progetti personali rientrerebbe il proposito e la volontà, creando una sezione provinciale nel mio territorio, di portare avanti a livello locale e nella mia provincia una cultura della conoscenza della sordità a titolo di mia piccola esperienza di vita.
Sono audiolesa in forma grave dalla nascita e nel tempo la perdita uditiva si è seriamente aggravata, tanto da farmi maturare, purtroppo, i requisiti per essere candidata all’impianto cocleare, come già mi è stato proposto in uno dei convegni Fiadda, nel 1995, da un esperto tedesco di fama mondiale. Grazie a una tempestiva ed ottima riabilitazione oralista, sotto la guida della logopedista Bruna Servino di Ferrara e svolta parallelamente in stretta collaborazione con mia madre, grazie anche ad una efficace e mirata protesizzazione, ed all’inserimento nelle scuole normali pubbliche, ho potuto raggiungere risultati più che positivi nella comunicazione con tutti e nella mia autonomia personale. Ora vivo felicemente da sola in un appartamento in città e sono indipendente sotto tutti gli aspetti, compresi quelli delle “barriere di comunicazione”.
Ho preso coscienza della mia condizione di ipoacusica prematuramente, a volte anche in modo doloroso, un po’ osservando i comportamenti di scherno a scuola, dai bambini, e un po’ anche per la normale curiosità degli altri che riscuotevo intorno a me, dapprima come bambina, e poi nel corso della vita come adolescente. Non ho mai vissuto situazioni tali da farmi considerare di essere una bambina prodigio, o un caso fenomenale, ma ugualmente le sensazioni della “diversità” e della “inferiorità” mi hanno sempre accompagnata come una seconda pelle nel mio Io più profondo.
Solo da pochissimi anni riesco a parlare serenamente di me stessa e della mia caratteristica peculiare, pur restando sempre consapevole di essere prima di tutto una persona, che si chiama Monica e poi, in secondo luogo, di essere un individuo normalissimo che convive in modo equilibrato con un problema uditivo e che si trova ogni giorno a vivere le sue piccole difficoltà, come tutti del resto.
Non è facile, qui, in questo spazio telematico dove la comunicazione con Internet ruota a 360 gradi, raccontarvi la mia storia mantenendo un atteggiamento critico e con il senno della mia personale esperienza oltre che con il dovuto distacco dal passato. Ora, ripercorrendo i fili e le trame della mia memoria, emerge dalle ombre del mio passato più lontano un quadro buio, di luci e di ombre della mia primissima infanzia.
Un periodo veramente infelice e traumatizzante, quello che ho vissuto nei primi anni della mia vita, in collegio a Bologna tra i piccoli sordomuti dell’ Istituto Gualandi. Preferisco ricordare il meglio di quel periodo buio nel “ghetto”, quel “salto nel vuoto” e lo racconto solo oggi per la prima volta con una certa commozione, pur consapevole di essere stata molto, molto fortunata ad iniziare a portare le protesi acustiche, addirittura all’età di quattro anni, incirca, proprio in quel particolarissimo ambiente dove la comunicazione, allora come anche oggi, si esprime a gesti, nella Lingua Italiana dei Segni.
Ora, in età adulta, dopo aver compiuto tutti i passi necessari per superare il mio handicap, cioè dopo aver imparato a parlare, a sentire e distinguere ogni tipo di rumore, a discriminare tutti i timbri di voce umana, ma soprattutto ad ascoltare con curiosità ed attenzione tutto e tutte le persone, e quindi non solo una certa categoria di persone, dato che vivo come tutti in una società parlante, dove la voce è la prima cosa che si nota nella comunicazione interpersonale e collettiva, alla luce di tutti questi presupposti e delle mie considerazioni, mi suona strana ed al contempo insolita la mia particolarissima riflessione, ed oltretutto dovere di cronaca, oltre che una testimonianza anomala per la verità dei fatti, affermare che il mio percorso oralista, nasce paradossalmente proprio a Bologna presso l’Istituto Gualandi in un ambiente opposto, come cultura e mentalità in merito alla riabilitazione del sordo, proprio nella “culla” della Cultura del Sordo che “segna”. Non me ne voglia Ida Collu, Presidente dell’ ENS, Ente Nazionale Sordomuti, verso la quale ho il massimo rispetto della persona, come anche per la sua ideologia del Sordo che comunica a “gesti”. Tanto ho rispetto dei sordomuti a tal punto da avere appunto nella mia cerchia di amici, diversi sordomuti con cui intrattengo da molti anni una comunicazione non gestuale ma mediata da Internet, una corrispondenza fittissima che spazia dalle e-mails, ai fax ed agli sms, oltre che direttamente attraverso la labiolettura negli incontri a tu per tu. E viviamo in pace e in accordo reciproco tenendo fuori certi discorsi sterili ed inconcludenti. L’amicizia è su altre cose e noi vogliamo mantenere i nostri cordialissimi rapporti.
Grazie anche al contributo dell’allora Istituto Gualandi di Bologna, dove sono stata inserita in Via Vallescura nel lontano 71-72, per la prima volta ho provato gli apparecchi acustici a scatoletta coi fili.
Voglio esprimere comunque, attraverso queste righe, un eterno ringraziamento ai miei genitori, che mi hanno sempre sostenuta fin da piccola a parlare e che tuttora mi sono vicini nelle difficoltà di vita quotidiana.
Dopo la laurea in Lettere nel dicembre 96, e con il massimo dei voti, ho iniziato la mia gavetta nel difficile mercato del lavoro accettando qua e là supplenze occasionali e in modo frammentario nelle scuole materne ed elementari della mia zona di residenza. E’ stata, tra tutte le mie esperienze di lavoro maturate nel corso di questi anni, la più faticosa e la più stressante, perché mi obbligava oltre che a continui spostamenti fisici nelle varie sedi scolastiche, a dover mantenere il livello dell’attenzione e della vigilanza visiva (labiolettura) al massimo nel seguire i bambini udenti sia in classe che nelle loro attività di ricreazione ed extrascolatiche del doposcuola.
Non avendo una grandissima capacità di lettura labiale, era piuttosto complicato per me ascoltare i bambini perché le aule erano rumorose e mi trovavo sempre in condizioni difficili, come il linguaggio poco chiaro, come la scarsa visibilità di luce, l’eco dell’aula, eventuali difetti di pronuncia di certi bambini, il loro continuo movimento tra i banchi o in fondo all’aula. Cercavo di ovviare a questi inconvenienti usando degli accorgimenti tecnici per poter comunicare meglio con i bambini, per esempio cercavo di avvicinarmi ai loro banchi, oppure facevo venire gli alunni alla lavagna, o spiegavo loro che era una regola molto importante dover parlare tutti uno alla volta adagio e forte, per il bene non solo dell’insegnate sorda ma per il senso di rispetto verso tutti gli altri, udenti e non udenti. Grazie a queste tecniche che dovevo improvvisare di mia iniziativa per necessità rigorosamente professionale, imparavo anche io a tentativi, da errori ed insuccessi come anche da piccole vittorie e soddisfazioni “sul campo di battaglia” a studiare ed ad escogitare la migliore forma di comunicazione con gli altri, pur rendendomi conto della mia duplice difficoltà come insegnante non udente in mezzo ai bambini udenti e come supplente inesperta alle primissime armi nella carriera di insegnante.
Ho resistito per alcuni anni finche ho potuto farcela psicologicamente e malgrado il mio grande desiderio, irrealizzato, di insegnare arte, italiano ed informatica nelle scuole superiori, finchè un giorno un mio alunno in classe, nella sua totale spontaneità ma senza l’intenzione di ferirmi mi chiese: “ Ma tu sei una vera maestra?” Questa domanda mi umiliò talmente nel mio Ego e nel mio orgoglio di persona, ed oltre a farmi capire varie cose, mi fece toccare con mano l’ inadeguatezza del mio ruolo di insegnante. Così improvvisamente decisi di chiudere, almeno temporaneamente, con la strada dell’insegnamento, e con non poca sofferenza.
Il mio attuale lavoro non mi consente di fare progressione di carriera e tantomeno un percorso di crescita professionale e lavorativa, per cui ora mi sto informando sulle reali possibilità di rientrare nella suola come docente non abilitata riservista nelle graduatorie provinciali di Ferrara dei singoli Istituti.
Devo ancora una volta ringraziare i miei insegnanti, la logopedista Bruna Servino e la mamma per avermi tutti incoraggiata nel percorso oralista, perché se non avessi imparato a parlare così bene, come ora sto facendo, molto probabilmente non avrei di conseguenza potuto fare l’insegnante, oltretutto insegnante sorda tra bambini udenti.
Nel frattempo mi sono buttata sulla strada dei concorsi pubblici per un posto da bibliotecaria all’ Università di Ferrara ma senza esito positivo. Ho inviato negli anni, e tuttora continuo ad inviarli, molti curriculum via e-mail, attraverso Internet e presentandomi di mia iniziativa e personalmente alle aziende ferraresi e di Bologna. Ho lavorato anche in un centro commerciale di Ferrara come addetta alla vendita nel reparto ortofrutta grazie alla allora Legge 482/68
Lavoravo part time su turni serali, e contemporaneamente seguivo un corso biennale di informatica con frequenza obbligatoria al mattino e pomeriggio. Era un corso finanziato dal Fondo Sociale Europeo e riservato alle future donne imprenditrici. Io stessa, che sono audiolesa, sono fiera di essere riuscita a superare la durissima selezione tra 100 donne udenti di diversa estrazione sociale e culturale, in partenza, e di essermi poi ritrovata all’ammissione a questo corso con sole 13 corsiste, accomunate dall’obiettivo di crearci un’impresa al femminile nei servizi turistici. Ringrazio ancora quel bravo psicologo selezionatore che ha fiutato in me i requisiti giusti per creare qualcosa di nuovo da un’idea.
A fine corso si è creata una piccola società cooperativa nella quale contavo con grande determinazione fin dagli inizi del corso, di inserirmi professionalmente ma le corsiste-socie mi hanno rifiutata con decisione non ritenendomi alla loro altezza oltre che persona adeguata al loro stesso livello di preparazione informatica e di professionalità appena acquisite dal medesimo corso. L’umiliazione è stata grande, digerita in silenzio ed umiltà, ma è stata al tempo stesso anche la spinta finale per un salto di qualità notevole nel mio curriculum di studi, di competenze e di esperienze tutte certificabili. Infatti dopo poco tempo sono stata contattata via Internet da una famosa società editoriale di servizi multimediali di Milano per un colloquio di lavoro. Superato brillantemente questo periodo di prova, mi è stata prontamente proposta una forma di collaborazione coordinata e continuativa di sei mesi che ho subito accettato, senza mettere in rilievo davanti ai vertici della dirigenza editoriale la mia condizione di audiolesa, e quindi le agevolazioni previste dalla Legge 68. In sostanza, grazie alle elevate competenze informatiche acquisite da quel corso, lavoravo in una redazione di servizi multimediali, LA LUPO & AGNELLO EDITORI di Milano, dove eseguivo ricerche di livello avanzato, in modo mirato, su Internet per realizzare contenuti editoriali, contribuendo al lavoro di squadra con altri giovani per la grafica e i contenuti per l’allestimento di siti web e la creazione di portali verticali.
Il lavoro mi entusiasmava moltissimo, tanto che lavoravo anche oltre l’orario prestabilito da contratto. Vista la mia completa autonomia, la capo redattrice mi ha affidato un progetto individuale sulla rilevazione di accessibilità delle barriere architettoniche e di comunicazione di tutti i musei italiani da svolgere a casa in telelavoro. Il progetto, peraltro decisamente ambizioso e di grande innovazione sotto l’aspetto socio-culturale per il momento storico in cui mi è stato proposto, in anticipo rispetto ad altri progetti collaterali sui tempi, poi, per misteriose ragioni di strategie aziendali degli editori, non è mai stato pubblicato e l’azienda, in crisi endemica da molti mesi, è stata rilevata da una grossa multinazionale di Milano.
Quindi non solo di nuovo disoccupata, ma la prima ed unica disabile licenziata in una redazione di circa 40 collaboratori normoudenti e persone normalissime nelle loro capacità, dove al cui interno ero piuttosto ben integrata, e in ottimi rapporti di amicizia con tutti i redattori e collaboratori, dal primo all’ultimo. Un pianto ininterrotto per vari giorni, finchè ho deciso che era ora di guardarmi altrove.
Senza mai arrendermi, mi sono subito attivata nella mia zona e così ho avuto la possibilità, grazie all’intervento di un tutor della Città del Ragazzo di Ferrara, di fare un tirocinio aziendale alla CNA di Bologna (Confederazione Nazionale dell’ Artigianato). Mi occupavo della realizzazione di varie newsletter, in forma cartacea e multimediale, per lUfficio Internazionalizzazione: cioè dovevo navigare in Internet in modo mirato sui mercati esteri per individuare le domande e le offerte più interessanti per i consorzi aderenti a CNA.
Nel corso di questo periodo di prova come tirocinante, ad insaputa della CNA di Bologna, sono stata chiamata proprio dal Direttore della CNA di Ferrara che mi convocava per esaminare la mia candidatura. Al colloquio spiegai che in quel momento ero impegnata a fare un tirocinio alla CNA di Bologna ed il direttore, alquanto sorpreso, mi prospettava migliori condizioni lavorative, un impiego piuttosto interessante come grafica in CNA e condizioni contrattuali buone, un part time vicino a casa e un periodo di prova che se superato positivamente si sarebbe poi tramutato in lavoro a tempo indeterminato. Ero ormai decisa ad avvicinarmi a casa e per correttezza, ma anche con molta ingenuità, ne volli parlare al mio capo dell’ufficio di Bologna. Lei, da vera leader, riuscì abilmente a farmi cambiare idea e a convincermi piuttosto bene a rimanere in quegli uffici con l’illusione di una prospettiva di rapidi avanzamenti di carriera e di una maggiore retribuzione contrattuale. Così, io vedendo con mano quanto lei aveva a cuore la mia prestazione lavorativa fino a quel momento dimostrata grazie a questo stage, decisi di accordarle la fiducia rimanendo a Bologna e di rifiutare la proposta, seppure molto allettante, di FERRARA. Non l’avessi mai fatto e mi pentirò per sempre di questo mio errore di valutazione della dirigente, F.A. M.. Infatti, a soli 8 giorni dalla scadenza del mio contratto a tempo determinato di un anno, la direzione della CNA di Bologna mi comunica senza tanti preamboli e in modo altrettanto formale che non ci sarà un rinnovo contrattuale, come mi era stato prospettato qualche mese prima. Più che arrabbiata sono piuttosto sorpresa. Come me, tutti: le colleghe della CNA, amici, familiari e conoscenti. Chiedo ragioni ma la Direzione ai piani alti delle 2 Torri è piuttosto evasiva. Mi rivolgo pertanto al sindacato CGIL di Bologna che però non può aiutarmi perchè si sta giù occupando di un suo associato che ha, guarda caso, gli stessi problemi con la Cna di Bologna e non vuole compromettere le sue delicatissime trattative sindacali con l’azienda. Sempre più amareggiata, e memore delle precedenti bastonate di Milano, tento di provare a chiarirmi con il Direttore della Cna di Ferrara. Ma rifiuta categoricamente ogni mia telefonata e o tentativo di chiedergli tramite il centralino un appuntamento nel suo ufficio allo scopo di chiarirgli il motivo del mio voltafaccia, ripeto non per mia scelta, ma per essere stata indotta psicologicamente a decidere di continuare a lavorare in CNA SERVIZI di BOLOGNA. A quella donna mi piacerebbe tanto e davvero puntare gli occhi e guardarla per ore per tutto il giorno nel suo ufficio, finchè non sentirà il peso, semmai ce l’ha, del senso di colpa sulla propria coscienza. E’ giusto che si sappia pubblicamente che ci sono anche per noi disabili questi guai dai quali bisogna cautelarsi molto bene. A mie spese ho imparato che nel mondo del lavoro ci sono anche “piccoli” giochi sporchi dietro alla vantata legge 68-99, che per mettersi in regola con le gare d’appalto, l’azienda, una grande azienda nota a livello nazionale, appunto del calibro di CNA non esita ad assumere per un anno un disabile dalle categorie protette e alla scadenza del contratto, con una motivazione più o meno convincente, o con argomentazioni del tipo “scarso rendimento”, “non coerenza con le caratteristiche ricercate”ecc…lascia a casa il disabile dalla mattina alla sera senza tante cerimonie, ed oltretutto nel mio caso specifico, mi fa addirittura perdere una grande occasione di lavoro, in linea con le mie aspirazioni di grafica, proprio nella mia città. Semmai la mia colpa, in tutta questa lunga disavventura è stata quelle di essere stata facilmente credulona nei confronti di quella donna, prima di tutto una mia coetanea, con la quale si era anche instaurato durante lo stage, durato vari mesi, e poi nel corso di un intero anno di lavoro un bel rapporto di amicizia, o almeno cosi pensavo, di stima reciproca sul piano professionale.
Non è possibile che a una persona con handicap che la legge 68 in teoria dovrebbe agevolare nel discorso di integrazione lavorativa, possa capitare ancora oggi, nel 2004, a pochi anni dal decreto applicativo ed attuativo della citata normativa, una esperienza cosi negativa, così grave e di questo genere. Lascio a voi i commenti e la libertà di opinione. Questa è la mia reale esperienza lavorativa e mi sembra giusto raccontarvela pubblicamente attraverso questo giornale virtuale perché non succeda ad altri giovani portatori di disabilità quello che è capitato a me.
Sempre con spirito combattivo ma al tempo stesso pacato, mi sono presentata all’inaugurazione della CNA di Portomaggiore per poter avvicinarmi a uno dei dirigenti per poter esporre la mia disavventura, Ma il caso ha voluto che quel giorno, incredibile ma vero, incontrassi un amico che stava appunto cercando una persona da assumere per coprire la quota prevista dalla legge 68-99, cioè un ‘impiegata con caratteristiche simili alle mie. Il colloquio di lavoro è andato molto bene tanto che oggi lavoro da un paio d’anni in questa azienda di Ferrara, la S.E.I. SPA, ditta del comparto escavazioni di materiali inerti che produce e commercializza la sabbia a livello locale e regionale. Lavoro quindi per l’imprenditore Alvaro Orpelli e per il suo entourage come supporto allo staff di consulenza direzionale e gestionale di Consorzio TRE A.
In questo ambiente lavoro come impiegata part time con 20 ore settimanali ma senza grandi soddisfazioni quanto alle aspettative professionali, di retribuzione oltre che di progressioni di carriera. Ho un discreto rapporto di comunicazione con tutti i colleghi udenti e faccio attività di segreteria: passo dalla scrittura di lettere commerciali alla fotocopiatura di qualsiasi documento, all’invio dei fax, mi occupo della gestione ed archiviazione della posta in arrivo e in uscita, mi affidano frequentemente commissioni esterne, per cui vado in molte banche, consegno e ritiro buste dagli avvocati, dal commercialista, effettuo pagamenti e bonifici bancari oltre che raccomandate alle poste. Ma non mi sento completamente soddisfatta perché sento di non essere ancora impiegata in modo ottimale come risorsa nel modo giusto, come appunto vorrebbe trasparire dalla filosofia della legge 68. Questa normativa vuol far tanto sbandierare il concetto di collocamento mirato della persona disabile al posto giusto e con le persone giuste e con le competenze giuste. Ma mi sento sottovalutata e utilizzata in modo disarmonico rispetto allo spirito contemplato dalla legge 68. Io, infatti, in questa ideologia, o perlomeno in questo spirito di pensiero ancora non mi identifico e non mi ci ritrovo in pieno perché le mie competenze, dalla navigazione in Internet alla scrittura e ricerca di particolari informazioni attraverso tutti i canali di routine, alla lettura e successiva interpretazione ed estrapolazione dei dati desunti dalle fonti, alla grafica ed alla comunicazione, al momento non sono richieste dal mio attuale datore di lavoro.
Fermo restando che considero questo attuale impiego una sorta di parcheggio ideale in attesa di tempi migliori per il delicato mercato del lavoro, che oltretutto proprio a Ferrara si è arenato in seguito alla Riforma Biagi.
Ma intanto mi attivo su più fronti parallelamente, consultando banche dati sul lavoro, attraverso annunci su giornali locali, girando le filiali di agenzie di lavoro interinale, tramite la rete, alla ricerca del lavoro “giusto” per me, in linea, se possibile, con le mie competenze acquisite negli anni e nelle diverse e pur variegate esperienze lavorative. Tutto questo dal 1996, otto anni dalla laurea. Non demordo, non voglio arrendermi e non voglio cedere di fronte a un momento che è davvero difficile per tutti i lavoratori, normoudenti e sordi, laureati e non laureati, tizio, caio e sempronio.
Alla fine ciò che conta per me, non è tanto lavorare qui o là perché l’azienda o un ente pubblico è tenuto, per legge, ad assumerti per coprire la quota prevista per legge, o ancora peggio, per mettersi in regola per poter poi partecipare alle gare d’appalto pubblici, e poi licenziarti a fine contratto annuale, come appunto mi è successo in CNA. Ciò che per me ha più senso e quindi maggior valore, almeno per me, è poter lavorare secondi i propri desideri, secondo la propria indole, in base agli studi intrapresi, e alle qualifiche conseguite in un particolare settore di specializzazione. Io ho una laurea, seppure conseguita con il massimo punteggio, poco spendibile nel mercato del lavoro. La laurea in Lettere, infatti, è comunque una laurea “debole”, perché preclude tante altre possibilità occupazionali e a maggiore ragione, nell’ottica di un continuo aggiornamento professionale, mi sono impegnata con enormi sacrifici, con grande dedizione ed impegno, ma anche con una ferrea forza di volontà, a conseguire ed ottenere con successo ben tre qualifiche tramite corsi di formazione professionale per udenti in ambito informatico, turistico e nella accoglienza dei clienti con esigenze speciali dovute alla loro disabilità. Ma vuoi per sfortuna, vuoi per mancanza di conoscenze giuste, vuoi per la Riforma Biagi, per un insieme di concause, a tutt’oggi non sono ancora riuscita, a 38 anni, a trovare l’occupazione adatta a me ed alle mie attitudini, ed alle mie aspirazioni future.
Tuttavia ho delle idee nella mente da molto tempo, un progetto piuttosto ambizioso di vita da sviluppare e poter poi nei tempi e nei momenti opportuni presentare alle persone che io ritengo giuste e in linea con i miei obiettivi.
Mi auguro di riuscire a concretizzare questo mio progetto e concludo questo mio lunghissimo, ma spero efficace, intervento con una considerazione del tutto personale: quando arriverà quel giorno in cui potrò “navigare” in rete, utilizzare le competenze informatiche e le conoscenze derivanti dalla mia formazione umanistica, quando potrò esprimermi a 360 gradi attraverso la scrittura e la comunicazione, la navigazione e la grafica, solo allora potrò finalmente dire che la legge 68-99 ha realizzato in pieno l’obiettivo di collocare in modo mirato la persona giusta al posto giusto.
Solo allora quando un giorno sentirò con le mie orecchie e le mie insostituibili protesi acustiche, magari perché no…, i miei colleghi di lavoro mormorare di me alle mie spalle: “ questa Monica non è qui per caso, non è qui per fare numero, o per coprire una quota, ma è qui perché lavora bene, è capace, e rende come tutti, ed è veramente “tosta”…. E’ una donna ma ha…”le palle quadrate”…. Allora si che potrò credere, io per prima, davvero alle potenzialità ed alle possibilità di questo collocamento mirato.
Vi ringrazio per l’attenzione e per avermi concesso la possibilità di esprimermi in questo spazio virtuale.

Monica Verlato, 25/06/2004
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