10.10.2004
La provocazione di Tullio De Mauro Italia, un paese ignorante di Rosa Polacco
Tullio De Mauro, La cultura degli italiani a cura di Francesco Erbani, Laterza, 2004, pp. 252, euro 10
La cultura degli italiani – meglio, la non cultura degli italiani – secondo Tullio De Mauro, linguista, professore, ministro della Pubblica istruzione nel secondo governo Amato, protagonista della vita culturale ma anche politica, che ripercorre gli ultimi cinquant’anni del paese in una conversazione con Francesco Erbani, giornalista di Repubblica. Pamphlet, più che saggio, j’accuse per le critiche e journal intime per le confessioni: pagine di lettura appassionata da cui è difficile staccarsi.
De Mauro comincia con una semplice ma non scontata distinzione: la cultura in Italia è sempre stata intesa come cultura letteraria, un brillante matematico che non conosca Montale colto non è. Sapere è diverso da saper fare e sarà per questo che molti hanno un romanzo nel cassetto e molti altri, i cervelli (scientifici), fuggono all’estero. Da questa premessa prende le mossa un discorso sulla cultura che è soprattutto un discorso sulla scuola e su come la politica e le sue alte sfere se ne siano sempre, trasversalmente, disinteressate. C’è “imbarazzo” in certi politici ad affrontare il discorso: Rutelli e Fassino, per esempio, a disagio se devono trattare l’argomento perché è evidente che “non lo conoscono”. A sinistra si salvano Prodi e Veltroni, per aver proposto “uno scatto etico”, nei confronti della questione scuola, e per aver messo l’istruzione sempre al primo posto dei programmi elettorali. Ma ricorda, il professore, come anche nel Pci ci fosse, fin dagli anni 60, una certa diffidenza verso riforme come quella della scuola media unifica che innalzava l’obbligo a 13 anni. Ricorda Amendola, che era contrario, perché poi nessuno avrebbe più fatto l’operaio.
Provocazione o eleganza: salva uno dei ministri più contestati della storia, la dc Franca Falcucci; trova una parola buona per Margaret Thatcher e ne trova altre non proprio amichevoli per colleghi come Luciano Canfora o Cesare Segre. Critico ma indulgente con il suo predecessore Luigi Berlinguer, isolato anche dal partito ai tempi della riforma, affettuoso e rispettoso verso i buoni maestri, come Lombardo Radice e Don Milani. Inutile dire del governo Berlusconi e soprattutto del suo ministro Moratti: “Poco competente in fatto di scuola : insieme, per tacere della Riforma, hanno tagliato nell’ultima finanziaria i fondi alla ricerca e all’Università , al doposcuola, agli insegnanti di sostegno. Hanno attuato un meccanismo grazie al quale a 13 anni i ragazzi devono scegliere se continuare a studiare o se buttarsi nella mischia di un’incerta formazione lavoro. “Due, tre anni di Moratti fanno danno, ma il danno, se non si prolunga oltre, si può riparare”, in un sistema scolastico che prevede sedici anni di studio. Nella ricerca invece il problema è più urgente: “Cinque anni di questi ministri e annientano due, tre generazioni di ricercatori”.
Tutto questo mentre snocciola dati, freddi e inquietanti: se il 9% degli adulti possiede una laurea (la media europea è del 21%), più allarmante è il fatto che soltanto il 42% abbia un diploma. Quello che più spaventa, però, è che secondo un’indagine del Cede il 5% della popolazione adulta non è in grado di leggere una frase elementare come “il gatto miagola”, e un altro 33% non va oltre a “il gatto miagola perché ha sete”. Tradotto significa: due milioni di analfabeti, 15 di semianalfabeti, e altri 15 a rischio. Come facciano allora 32 milioni di italiani a votare, a tutelare i propri diritti e a esercitare attivamente la democrazia, è un problema da affrontare. Questi numeri ci spiegano come mai solo un italiano su dieci compri un quotidiano e il 77% delle famiglie italiane non possegga più di cinquanta libri. Spiegano anche perché Romano Prodi già negli anni 80 disse agli industriali emiliani: “Potete sperare di essere ignoranti e ricchi per una generazione, non per due”.
Le ultime pagine escono dal suolo italico per affacciarsi su una prospettiva ben più inquietante del numero di copie vendute di quotidiani e best seller; le ultime parole sono per riportare la denuncia del Nobel Joseph Stiglitz, costretto a lasciare la Banca mondiale per aver documentato che questa chiede ai paesi più poveri di bloccare le spese per l’istruzione e l’alfabetizzazione degli adulti in cambio dell’accesso ai prestiti. “Non la Moratti – conclude De Mauro –, non Berlusconi: questa è la sfida che abbiamo dinnanzi in Italia e nel mondo”.
fonte: www.rassegna.it
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