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Invece di nuove carceri, integrazione sociale...
24.10.2004

E se, invece di costruire nuove carceri, “costruissimo” piuttosto integrazione sociale?

La Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, che si riunisce a Roma da giovedì 21 a sabato 23 ottobre, rileva come nei 205 Istituti di pena attualmente in funzione sono recluse circa 57.000 persone, quasi 15.000 in più rispetto ai posti disponibili. A questa situazione di drammatico affollamento il Ministero della Giustizia risponde con un programma di edilizia penitenziaria che prevede, tra l’altro, la costruzione urgente di 13 nuove carceri: circa 2.500 posti-branda, per una spesa complessiva di circa 320 milioni di euro.

Cifra che si aggiunge ai quasi 3 miliardi di euro (2.967.045.195), vale a dire quasi 6.000 miliardi di lire, stanziati per il programma ordinario di edilizia penitenziaria dal 1971 sino alla finanziaria del dicembre 2001. Una somma enorme (vanno poi considerati i fondi speciali stanziati dalla legge 30.12.97, n. 458 “interventi urgenti per il potenziamento delle strutture, delle attrezzature e dei servizi dell'Amministrazione della giustizia”, con cui si sono destinati al DAP, per la realizzazione di interventi di edilizia penitenziaria presso le strutture di Roma Rebibbia e la casa lavoro di Castelfranco Emilia, finanziamenti per complessivi 21 miliardi di lire. Ulteriori fondi vengono dagli enti locali: i 2 nuovi istituti di Trento e Bolzano saranno realizzati con fondi e a cura delle rispettive Province Autonome. Altri finanziamenti arrivano con la modalità della locazione finanziaria: con i fondi stanziati dalla legge 259/2002 saranno realizzati, con il ricorso allo strumento della locazione finanziaria, i nuovi istituti di Varese e Pordenone) che tuttavia vede una situazione disastrosa: il presidente della Commissione Giustizia del Senato, Antonino Caruso, dopo aver visitato l'80% degli istituti e registrando un sostanziale abbandono di quasi tutte le carceri della penisola negli ultimi 50 anni, ha recentemente dichiarato che: “In un panorama nazionale non proprio edificante (...) abbiamo trovato i penitenziari di costruzione più recente spesso in condizioni peggiori di quelli più antichi”.

Peraltro, i tempi previsti per l’edificazione e l’apertura delle nuove strutture sono, credibilmente, di 8-10 anni e, nel frattempo, sarà necessario assumere e preparare il personale per farle funzionare: almeno 2.000 agenti, alcune centinaia di operatori “civili”. Dal 1990 a oggi il numero dei detenuti è aumentato (mediamente) di mille unità all’anno. Quindi, se questo corso non si inverte, il problema del sovraffollamento diventerà sempre più grave… nonostante la realizzazione delle nuove carceri.

La domanda che poniamo è: ha senso tutto ciò?

L’unico vero rimedio sta in una diversa politica penale, volta a evitare la recidiva (che porta, ovviamente, a riempire le carceri di persone che entrano ed escono senza prospettive) e a puntare a un effettivo re-inserimento (o inserimento, per chi inserito non lo è stato mai). Per questo bisogna:

· creare le condizioni “materiali” affinché i condannati con pene inferiori a tre anni possano scontarle fuori dal carcere (le leggi che lo consentono ci sono già, ma sono migliaia i detenuti che non accedono alle misure alternative per mancanza di un lavoro o di un alloggio);

· sostenere effettivamente i percorsi di reinserimento dei condannati ammessi a misure alternative alla detenzione e degli ex detenuti, in modo da ridurre le recidive.

Con quei 320 milioni di euro (o anche meno) si possono fare tante cose per la reintegrazione sociale dei detenuti ed ex detenuti, cominciando dal rafforzamento degli Uffici di Sorveglianza, dei C.S.S.A., degli educatori penitenziari (potrebbe anche essere l’occasione per riattivare i fantomatici Consigli di Aiuto Sociale, istituiti nel 1975 per garantire un minimo di assistenza penitenziaria e post-penitenziaria ma mai resi operativi per mancanza di risorse, ma ancor più per disattenzione sia dell’amministrazione che degli enti locali, al pari di tante altre parti della riforma carceraria).

Per il presidente della Conferenza, Livio Ferrari, spesso i percorsi di reinserimento sociale non riescono a partire, oppure falliscono, perché gli operatori dell’area trattamentale e i magistrati di sorveglianza sono pochi e oberati di lavoro: costruendo nuove carceri bisogna necessariamente assumere nuovi agenti, invece puntando alla decarcerizzazione e al reinserimento dei detenuti le stesse risorse economiche possono essere destinate all’assunzione di assistenti giudiziari e magistrati e, soprattutto, di assistenti sociali e educatori, da sempre la “cenerentola” degli operatori penitenziari.

Sul versante del lavoro servono incentivi alle aziende che assumono detenuti ed ex detenuti (gli sgravi fiscali previsti dalla “Smuraglia”, già di per sé assai ridotti, non si applicano per chi è finito in carcere dal luglio 2000 in poi e le cooperative sociali, che hanno delle particolari agevolazioni contributive, non possono offrire posti di lavoro a sufficienza per tutti).

L’altro problema su cui intervenire è quello dell’abitazione: servono strutture per la fruizione dei permessi premio, centri-diurni per i semiliberi, ma soprattutto alloggi per gli ex detenuti e per le detenute-madri, per la fruizione dell’affidamento e della detenzione domiciliare (da una recente ricerca, realizzata nella Casa di Reclusione di Padova, risulta che il 25% dei reclusi non ha un luogo dove andare ad abitare all’uscita dal carcere).

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