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Cani (di Paola Carini)
7.11.2004

Cani

A elezioni presidenziali americane compiute, dopo che lo sfidante democratico Kerry ha ceduto le armi all’oppositore repubblicano Bush, dopo che lo sconcerto ha percorso come una scossa l’Europa unita, o meglio, il 70% dei suoi cittadini che tifavano per Kerry, dopo che lo sbigottimento, lo sconforto, la disillusione hanno lasciato increduli molti americani davanti a quello che sembrava impossibile o, quantomeno, non auspicabile, dopo che gli analisti politici hanno già sfornato ipotesi, illazioni, deduzioni su come sarà il secondo mandato di Bush, concentriamoci su alcuni episodi pregressi che hanno già acquisito la solidità dei dati certi. Pur non essendo stati un campanello d’allarme per un numero sufficientemente grande di americani, sono pur sempre dei piccoli tasselli di Storia recente e a volte, si sa, sono le più piccole sfumature ad aggiungere dettagli preziosi per la visione d’insieme.

Iniziamo con una notizia passata quasi inosservata a casa nostra: se, secondo Reporters Sans Frontières, nel 2004 l’Italia è ruzzolata al 39° posto insieme alla Spagna di Aznar a causa del conflitto di interessi del premier e per svariate violazioni alla libertà di stampa, gli Stati Uniti sono al 22° per la violazione delle fonti giornalistiche, per aver negato il visto a dei giornalisti, per averne arrestati parecchi altri durante le manifestazioni anti-Bush. La libertà di stampa è garantita dall’Articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma è soprattutto uno dei sintomi dello stato di attuazione concreta della democrazia di un paese. Il quarto potere, nel delicato equilibrio dei poteri di una nazione, è quello che funge da contrappeso alle altre forze. Che le grandi testate americane si siano schierate per Kerry, magari all’ultimo momento ma apertamente e liberamente, fa onore alla tradizione democratica americana, tuttavia il precedente rimane. Perché un presidente democraticamente eletto dovrebbe tentare di imbavagliare la stampa quando essa registra o esprime il dissenso? Dalle nostre parti una risposta forse si potrebbe trovare.

Passiamo oltre.

Tutti abbiamo ancora nelle orecchie gli stati-chiave di queste elezioni: la Florida, per i trascorsi poco cristallini in sede di seggio tanto da meritarsi gli osservatori dell’OSCE, e l’Ohio, in cui la distanza tra i due candidati era esigua. Si riteneva però che anche Minnesota, New Mexico e Wisconsin, per la presenza delle comunità nativo americane, potessero essere terreno decisivo per influenzare l’esito delle elezioni. Il South Dakota poi, con l’alta percentuale di votanti nativo americani, avrebbe dato del filo da torcere ai repubblicani. Anche nelle riserve del South Dakota ci sono state intimidazioni affinché i nativo americani non andassero a votare; anche qui, come per le minoranze etniche di altri stati, il recarsi a votare è stato reso estremamente difficoltoso da cavilli – spesso insostenibili – obiettati da schiere di avvocati repubblicani.

Nella campagna elettorale per il Senato del 2002 John Thune, candidato repubblicano dello stato, aveva perso per soli 524 voti contro il candidato democratico Johnson, prendendosela con gli elettori delle riserve sioux e sventolando accuse di frodi. In questa tornata, per non rischiare un possibile seggio da soffiare al democratico Tom Daschle, senatore di origini irlandesi ma sostenitore della minoranza nativo americana, Thune e il suo staff non hanno lasciato niente al caso. La sua acerrima campagna elettorale si è svolta essenzialmente su due fronti: la televisione e il volantinaggio.

A parte i telegiornali di Fox News, rete del conservatore Murdoch, molte delle emittenti a carattere religioso, cioè cristiano come il Christian Broadcasting Network, non solo hanno fatto propaganda elettorale per i candidati repubblicani e per Bush, ma hanno usato il mezzo per scagliarsi contro gli elettori degli avversari. In South Dakota se la sono presa con i nativo americani e, partendo dalle presunte irregolarità nel voto del 2002, hanno rispolverato beceri attacchi in nome di Dio. Ad elezioni concluse, il messaggio televisivo fondamentalista cristiano si può dire che abbia attecchito su di un terreno vasto, imprevedibilmente vasto.

Il neo-senatore Thune ha tratto i suoi bei vantaggi da queste reti amiche; d’altra parte durante la prima presidenza Bush, il fondamentalismo cristiano è progressivamente diventato una forza all’interno del partito repubblicano ed è servito spesso, come in Texas, ad aizzare l’opinione pubblica che vi si riconosce contro la nazioni indiane, contro la loro sovranità, contro le loro libertà. Ma Thune ha raggiunto l’apice della campagna elettorale con un colpo di teatro una settimana prima del voto, inondando la buca della posta dei cittadini della parte occidentale dello stato e delle riserve di Pine Ridge e Rosebud con il volantino che vedete a fianco di quest’articolo. Il riferimento ai cani della prateria è duplice e molto ben congeniato: i cani della prateria, cresciuti enormemente di numero, sono un vero problema per gli agricoltori dello stato, ma il fatto che lo slogan non dica i cani della prateria bensì "I CANI SONO IN FILA PER VOTARE TOM DASCHLE" è un implicito rimando ad una usanza americana in voga fino a pochissimi decenni fa, quando i negozi esponevano il cartello che diceva: NON SONO AMMESSI CANI O INDIANI. Il fatto che sia stato inviato pochi giorni prima del 2 novembre, quando una buona fetta degli elettori delle riserve aveva già votato, rende l’equazione ancora più evidente. All’interno del volantino un’ulteriore chiarificazione: "Non è una sorpresa che i parassiti stiano andando alle urne per votare per lui".

Mai come in queste elezioni il voto nativo americano è stato più compatto. A partire dai navajo, la più numerosa nazione indiana, i nativo americani si sono schierati apertamente con Kerry, spaventati dal "presidente-di-guerra", dalla sua deriva fondamentalista, dall’intolleranza religiosa e quindi razziale e quindi politica. Avevano creduto alle intenzioni di Kerry del suo vice Edwards di dare visibilità e peso politico alla popolazione nativo americana aprendo le porte del sancta sanctorum giudiziario anche a giudici federali di origini nativo americane, creando posizioni specifiche di collegamento tra la Casa Bianca e le comunità native nei singoli Dipartimenti, lavorando per uno sviluppo economico sostenibile delle riserve, per divenirne partner nello sviluppo e nella ricerca di fonti di energia alternative, nell’appoggiare le loro ragioni contro le prevaricazioni dei singoli stati. Questi progetti sono andati in fumo, almeno per i prossimi quattro anni, mentre rimane, indelebile, l’immagine di quei piccoli roditori paragonati ad esseri umani. Come peraltro l’immagine della bandiera italiana usata come carta igienica da qualche esimio ministro. O come l’immagine che la mia amica Serena mi ha ricordato, quella degli ebrei paragonati ai topi nel film della propaganda nazista Der Ewige Jude. Ma anche una frase, illuminante nella sua semplicità, di Tahar Ben Jelloun: il razzismo si esprime in maniera violenta, comunica alle persone male informate notizie false perché si spaventino.

Certe cose non cambiano mai. A qualsiasi latitudine.

Paola Carini

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