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Cavaliere, sia serio: vada a casa
11.11.2004

«Le promesse fatte si mantengono. Le persone serie mantengono le promesse, altrimenti se ne vanno a casa». Parola di Silvio Berlusconi il 29 ottobre agli atleti italiani della Paraolimpiade. Lo stesso concetto il leader della Casa delle libertà lo aveva solennemente sottoscritto nel 2001, prima delle elezioni politiche, nel contratto televisivo con gli italiani. Il testo è ancora lì, sul sito di Forza Italia. Vi si legge: «Nel caso in cui al termine dei cinque anni di governo, almeno 4 su 5 di questi traguardi non fossero stati raggiunti, Silvio Berlusconi si impegna formalmente a non ripresentare la propria candidatura alle successive elezioni politiche».

La parola d’ordine di questi tre anni è stata: ridurre le tasse. Innalzando quella bandiera Berlusconi ha vinto le elezioni e ha continuato a governare.

Al di là della realtà della situazione economica, al di là delle opportunità di equità sociale, al di là degli scrupoli di alcuni alleati. E dei ministri dell’economia.

Oggi un ministro abituato a far di conto e con una reputazione, anche internazionale, da difendere, con l’ennesimo rinvio della modifica delle aliquote Irpef sta di fatto certificando uf- ficialmente il buco. Lo fa mentre l’Istituto nazionale di statistica fotografa un paese che si percepisce impoverito da un anno all’altro, in cui quasi la metà dei cittadini ritiene molto insoddisfacente la propria condizione economica anche se la vita media si allunga.

"Meno tasse per tutti" non c’è più.

Al contrario, ci sono "più tasse". C’è la "manutenzione della base imponibile", espressione tecnica per annunciare che 7,8 miliardi di nuove tasse andranno a coprire il buco. E probabilmente non basteranno, visti gli avvertimenti del Fondo monetario internazionale.

Il contratto del 2001 recitava: esenzione totale dei redditi fino a 22 milioni di lire annui; riduzione al 23 per cento dell’aliquota per i redditi fino a 200 milioni; riduzione al 33 per cento di quella per i redditi sopra ai 200 milioni; abolizione della tassa di successione e della tassa sulle donazioni.

Di questo programma fiscale da paese di Bengodi si è visto solo l’ultimo punto, il più facile, il più inutile e socialmente iniquo. E il resto?

Il resto sono il calo costante e allarmante di competitività, i consumi che non riprendono perché il potere di acquisto delle famiglie si è assottigliato in modo preoccupante, sono i mancati ammortizzatori sociali per rendere meno precario il futuro dei giovani, sono il Mezzogiorno dimenticato in cui ad aumentare è soltanto la criminalità. E sì che il governo di centrodestra aveva promesso anche di rendere tutti più sicuri. Due miliardi di euro è quanto il governo ha calcolato di risparmiare con tutti i tetti messi agli interventi per il Sud: tetto di 6,5 miliardi ai fondi per le aree sottoutilizzate, tetto di 2,7 miliardi per il fondo per gli incentivi alle imprese, tetto di 450 milioni per la legge Obiettivo. E non si venga a dire che la colpa è dell’Europa e del Patto di stabilità. Nel 2001 il Patto di stabilità era pienamente operante e i governi precedenti l’avevano sempre osservato. Quanto alla crisi economica internazionale, certo, essa non era prevedibile. Può valere un terzo di promesse non onorate, forse la metà? Il cento per cento no.

ENRICO LETTA

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