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La caduta del Muro vista dalla Bolognina.
12.11.2004

Esiste un legame strettissimo tra il 9 novembre e il 12 novembre dell'89, tra la caduta del muro di Berlino e la Bolognina.

La sera del 9 novembre Gunther Schabowski, responsabile per l’informazione della Sed, dà il sensazionale annuncio "in diretta" a trecento giornalisti di tutto il mondo: "Una notizia che mi comunicano in questo momento…" L’indomani i cittadini della Germania Orientale potranno recarsi liberamente in quella Occidentale attraverso la frontiera più difficile d’Europa. Gli impiegati del centro stampa che ascoltano Schabowski piangono e si abbracciano. Commozione e incredulità nelle strade di Berlino. Il mondo è stupito. Io mi trovo a Bruxelles per incontrare il leader laburista inglese Neil Kinnock, quando nel cuore di in un colloquio nel quale cercavo di convincere il leader del partito laburista a fare accogliere i comunisti italiani nell' Internazionale socialista, arriva la notizia bomba. Guardo in Tv, assieme a Kinnock, le immagini che giungono da Berlino, e assistiamo assieme, visibilmente commossi, ai colpi di piccone al muro. "Siamo di fronte a un mondo totalmente diverso da quello che abbiamo imparato a conoscere dal 1945 in poi", dico immediatamente e a caldo ai giornalisti. "Ora l’epoca della guerra fredda è davvero finita." "Fino a oggi – aggiungo – l’equilibrio mondiale si è fondato sullo scontro-incontro tra i due blocchi. Oggi si devono trovare nuovi equilibri e si tratta di governare i tumultuosi processi in corso." Parlo subito, senza essere nei giorni seguenti smentito da nessuno, della necessità di "una politica non ideologica ma positiva" da parte di "tutte" le forze occidentali, perché le trasformazioni sono così radicali che non investono più solo l’Est ma tutto il mondo, e l’Europa in particolare. "Saltano tutti gli assetti del dopoguerra e tutte le forze più avvertite sono ora obbligate a ridefinirsi." Il 12 novembre mi reco alla Bolognina, dove parlerò ai partigiani della battaglia di Porta Lame, e dico loro che questi sono "tempi di grande dinamismo" e ricordo che Gorbaciov "prima di dare il via ai cambiamenti in Urss incontrò i veterani e disse loro: voi avete vinto la seconda guerra mondiale, se ora non volete che venga persa non bisogna conservare, ma impegnarsi in grandi trasformazioni", concludendo così: "Da questo dobbiamo trarre l’incitamento a non continuare su vecchie strade ma ad inventarne di nuove per unificare le forze di progresso. Dal momento che la fantasia politica in questo fine ’89 sta galoppando, nei fatti è necessario andare avanti con lo stesso coraggio che fu dimostrato nella Resistenza."

I mass-media immediatamente concentrano tutta l’attenzione sulla questione del nome del Pci. E’ un momento difficile. Si trattava, dunque, di avanzare una proposta nei suoi giusti termini. Lunedì 13 convoco una riunione di Segreteria allargata al direttore de "l’Unità". Espongo le mie idee, vi è accordo sulla proposta da presentare in Direzione: quella di avviare la fase costituente di una nuova formazione politica. Martedì 14 è riunita appunto la Direzione.

Sono poche paginette quelle che leggo, con un certo tono lapidario, il cui incipit voglio, dopo 15 anni, riportare per intero, perché da solo fa giustizia, a mio avviso, della tesi che si è trattato di una coraggiosa improvvisazione.

"La situazione politica generale -dico- ha subito una accelerazione di proporzioni incalcolabili. Non ci troviamo infatti solo dinnanzi a eventi che, come ho già avuto occasione di sottolineare, tendono a cambiare la configurazione degli assetti mondiali così come sono scaturiti dalla seconda guerra mondiale. Si tratta anche, in questo caso, di qualcosa che chiama in causa la suddivisione del mondo decisa a Yalta, che non può non aprire una questione internazionale di proporzioni sconosciute nel dopoguerra, e che si riassume nell’esigenza di un nuovo governo del mondo che, a partire dal riconoscimento dell’autodeterminazione dei popoli, non potrà essere ingessato dentro i limiti del bipolarismo.

La questione tedesca andrà affrontata in un contesto del tutto nuovo. Molto probabilmente solo nel quadro di una intensificazione del processo di integrazione europea. Infatti, se è vero che occorre tenere i nervi a posto, è anche giusto prendere in considerazione le prospettive dell’unificazione tedesca."

E aggiungo, in un silenzio carico di drammatica emozione: "Ciò che sta avvenendo esige una accelerazione di proporzioni fino a poco tempo fa impensabili; una riflessione attenta ma non pigra sulla funzione e collocazione di tutta la sinistra, e quindi anche nostra. Si tratta infatti di prendere per tempo coscienza del fatto che ciò che è accaduto a Berlino si presenta come il catalizzatore, nello stesso tempo sconvolgente ed emblematico, di un processo che nel corso di questo ’89 ha messo in luce ciò che sapevamo, ma ha anche sgretolato un mondo, lo ha colpito non solo nell’immagine ma nella possibilità di presentarsi come una realtà che, sia pure attraverso vie autoritarie, poteva in qualche modo costituire una tappa, per quanto terribile, verso il socialismo".

"Non è ancora possibile immaginare -dicevo allora- cosa tutto ciò possa produrre, quali effetti può avere il venir meno di identità di fondo, quali interrogativi tutto ciò può suscitare anche riguardo la nostra collocazione".

Rimaneva tuttavia dinnanzi a noi un dato inoppugnabile: il processo storico da cui venivamo si trovava a fare i conti con uno sconvolgimento che presentava tutte le caratteristiche di una crisi storica. In quella crisi non saremmo stati in discussione solo noi: eravamo di fronte a un vero e proprio salto di qualità, che trovava le sue ragioni più immediate in una gigantesca ricollocazione delle forze in campo. La campana del nuovo inizio avrebbe suonato per tutti.

Appariva con sempre maggiore chiarezza che lo stalinismo aveva trasformato la grande vittoria politica e morale della Resistenza in una politica di potenza che alla luce dei fatti aveva condotto a una dissipazione di quel patrimonio ideale, del suo più grande significato di lotta per la libertà.

Nella caduta del muro vedemmo in sostanza una grande liberazione di energie nuove: cadeva non solo il muro di pietra ma anche il muro ideale che aveva diviso, in Italia, i diversi riformismi di cui era ricca la nostra tradizione politica. "Esiste la possibilità - dissi sempre in quella occasione- di raccogliere energie nuove, ma vedo anche la possibilità di rimettere in moto tutte le forze disperse di una sinistra diffusa, di una sinistra sommersa e scoraggiata. Ciò che ci deve guidare è una grande visione, la visione di una grande forza democratica che risponde alle esigenze della nazione. . .assolvendo anche a una funzione più generale di ricomposizione della sinistra."

La data della Bolognina è indissolubilmente legata a quella della caduta del muro perché, come si vede, quella proposta di cambiamento non prendeva le mosse da meschini calcoli provinciali : al contrario noi mantenevamo fermo l'orgoglio delle nostre idee e della nostra funzione; la nostra riflessione nasceva da qualcosa di molto più importante, da un mutamento della realtà del mondo.

Altro che improvvisazione! Avevamo dietro le spalle anni di ricerche, di sofferte autocritiche, e di forti mutamenti.

In quella relazione con la quale proponemmo non solo il cambiamento del nome ma l'apertura di una costituente per la formazione di un nuovo soggetto politico, parlavamo già dell'esigenza di democratizzare la globalizzazione, di una new governance del mondo, dell'unificazione della Germania, della centralità della integrazione europea e della funzione dell'Internazionale socialista e preconizzavamo, tra l'incredulità generale, il mutamento di tutto il panorama politico nazionale.

Non ci diede retta una parte della sinistra. Ma non ci diedero retta soprattutto i socialisti di Craxi, che abbagliati da una furente alterigia annessionista, non vollero accettare la sfida del comune rinnovamento. Gli anni successivi - ahimè! - dimostreranno quanto anch'essi ne avessero bisogno. E' probabile che il nostro tradizionale settarismo nei loro confronti abbia reso meno efficace quella sfida e annebbiato alcune mie iniziative: sta di fatto che venne meno una sponda politica fondamentale. Ci rifiutammo così di lasciarci fuorviare dalle due opposte proposte, quella dell'unità socialista e quella del neocomunismo. A quindici anni continuo a credere che entrambe ci avrebbero condotto in un vicolo cieco, o, persino, verso qualcosa di peggio, se pensiamo all'epilogo drammatico del Psi. Quell'epilogo non aiutò, al contrario, danneggiò gli sviluppi successivi della svolta.

Proprio per questo occorreva comprendere che, anche diversamente da quello che io stesso speravo nei giorni della Bolognina, bisognava immaginare nuovi percorsi, al fine di raggiungere comunque lo stesso obbiettivo: quello di una feconda contaminazione tra le diverse culture riformatrici. Mettendoci per davvero al servizio di una autentica ricomposizione unitaria della sinistra e non della multiforme riproposizione di meri cartelli elettorali.

Lo stesso processo che ha avuto inizio nell' ottantanove si è diviso in due tronconi: quello che riteneva e ritiene necessaria una fuoriuscita da sinistra dal crollo del socialismo reale, e quello che si è mosso nella direzione di un riformismo moderato. Gli eventi sempre più drammatici che ci sovrastano rendono ancora più evidenti le differenze tra i due riformismi, che devono sapere convivere ricominciando, soprattutto, a pensare.

Ciò sta a dimostrare che, come nei giorni della Bolognina, è ormai matura la necessità di una riorganizzazione complessiva della sinistra, che naturalmente non deve fermarsi alla mera ingegneria organizzativa, ma deve, al contrario, prendere le mosse da una nuova svolta progettuale della sinistra e di tutta la democrazia militante, da un salto culturale, da una costituente delle idee, dalla messa in campo di un sapere rinnovato che tutti insieme, e in modo autocritico, siamo chiamati ad elaborare.

Achille Occhetto

 

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